Attualità | Cronaca

Il primo weekend con COVID-19

Discorsi, polemiche, vocali su Whatsapp: il coronavirus visto da Milano.

di Cristiano de Majo

Piazza Duomo, Milano, 23 febbraio 2020 (Photo by ANDREAS SOLARO / AFP) (Photo by ANDREAS SOLARO/AFP via Getty Images)

“Da qualche parte nel Nord Italia”: i messaggi sulla chat dei genitori di classe e su quella del lavoro, che da sabato pomeriggio iniziano ad aumentare vertiginosamente di frequenza, gli amici di Napoli e di Roma che ti scrivono «che succede?» per avere anche loro un contatto in “quarantena”, mentre con quelli che inviti a cena non si parla d’altro tutta la sera, le pagine dei giornali di news che riaggiorni inutilmente minuto dopo minuto, i supermercati mezzi svuotati, i locali chiusi dalle 18 di domenica: non ce l’ha un nome quella sottile e stranissima eccitazione che proviamo nel mezzo delle emergenze? Neanche in tedesco? Ma si tratta di quello, di quel misto di paura ed euforia che ricordo di aver provato da piccolo nei giorni dopo il terremoto in Irpinia nell’80 e forse soltanto un’altra volta, con l’esplosione della centrale di Chernobyl. Solo che qui tutto è reso più strano da come ci siamo finiti dentro, tra una battuta e l’altra, tra una sdrammatizzazione e l’altra, e ora non sappiamo neanche dire, nessuno lo ha veramente capito, se la situazione è grave, se non stiamo esagerando, stretti tra contrastanti pareri medici, come se ci fossimo fatti visitare due volte con due risultati diversi, una dalla virologa del Sacco, l’altra da Roberto Burioni. Bisogna abbassare i toni. No, dobbiamo essere veramente preoccupati. Meglio non uscire di casa se non è strettamente necessario. Ma neanche una passeggiatina? Tra i due scelgo allora la pediatra di Gessate e Cambiago, diventata incredibilmente virale su Whatsapp, con un messaggio che è bello ascoltare e riascoltare, come se fosse una hit di Sanremo: «È molto importante che l’epidemia non abbia picchi importanti, cioè che ci sia troppa gente contagiata tutta insieme», oppure: «Gli adulti che stanno bene avranno una forma virale simil-influenzale. Su cento persone, venti avranno la polmonite, e di queste 4-5 finiranno in rianimazione. Non ho letto su PubMed di bimbi in rianimazione. È medicina, non matematica. È biologia», o ancora: «Per i bambini non esiste il problema Coronavirus, perché in generale sono abituati ad affrontare i virus, che sono tutti nuovi per loro. Dal raffreddore all’influenza, passando per la mononucleosi… Come non vi ha preoccupato questo finora, non deve preoccupare il nuovo Coronavirus». Girata su tutti i gruppi Whatsapp genitoriali, da quello di classe a quello della scuola calcio, è lei, la sconosciuta Lorenza Crippa, la vera eroina della giornata di domenica. Così, anche in casa, iniziamo a dirci che il problema non è la gravità della malattia ma la sua possibile diffusione, che è una questione di sanità nazionale e non individuale e di effetti che il virus avrà su di noi. Questo almeno fino a quando il sindaco Sala non preannuncia la chiusura delle scuole. Allora il problema ritorna a essere molto individuale perché, se gli uffici e le aziende restano aperti, chi li tiene i bambini? E allora ecco che, anche se “non è il momento di fare polemiche” e “in Italia siamo bravi solo a fare polemiche”, diventa questa una delle due grandi domande del primo Coronavirus Sunday, e cioè: qual è il senso di tenere le scuole chiuse e tutto il resto aperto? Nel frattempo diventiamo tutti molto consapevoli del fatto che non si tratterà di una settimana, com’è stato disposto, ma che sarà una cosa lunga. Prepariamoci a un periodo di sospensione in cui le nostre vite cambieranno: lavoro da casa, riunioni su Facetime, spesa comprata online e consegnata da fattorino in mascherina, come ipotizza l’altra virologa iconica Ilaria Capua. Se non altro saremo finalmente legittimati a usare l’aggettivo “distopico”, ma un po’ d’ansia sale. E sale anche per tutte le considerazioni di carattere economico collegate a un rallentamento interminabile – fine primavera? – delle attività. L’altra grande domanda di giornata è perché l’Italia è improvvisamente diventato il Paese con più casi in Europa? “Non è il momento di fare polemiche”, ma si presentano i soliti dubbi sulla nostra efficienza nei controlli, mentre al contrario si sostiene che questo succede perché abbiamo iniziato a fare controlli a tappeto, che ci sono Paesi che potrebbero avere situazioni simili ma non lo sanno. Il COVID-19 è tra noi e chissà da quanto.

Il pomeriggio di domenica allora si esce anche per vedere “l’effetto che fa”. C’è meno gente del solito in strada, ma non così tanta in meno. C’è un sole bellissimo e fa un caldo surreale per essere a Milano a fine febbraio. Sarà un’apocalisse tiepida. L’Esselunga di Porta Garibaldi non è neanche così assediata. Ma è vero che ci sono scaffali mezzi vuoti, quello dei legumi secchi per esempio e, chissà perché, sono rimaste pochissime banane. Andando oltre, verso Moscova, la normalità di una domenica di centro città diventa sempre più contagiosa: ci si dimentica delle breaking news – il terzo morto a Crema – delle scuole chiuse, del dubbio domani se prendere la metro o no per andare al lavoro e si pensa che potrebbe essere tutto così, consueto come sembra, solo con un’influenza che gira in più.