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L’Occidente sta scomparendo?

È questa la domanda a cui hanno cercato di rispondere i leader della politica mondiale riuniti alla 56ma Conferenza sulla Sicurezza di Monaco di Baviera.

di Lorenzo Monfregola

Poliziotti piazzano una transenna davanti all'Hotel Bayerischer Hof, dove tradizionalmente si svolge la Conferenza sulla Sicurezza

“Westlessness”: un mondo con meno Occidente, magari senza Occidente, o forse sempre più de-occidentalizzato. Partendo da questo tema si è svolta dal 14 al 16 febbraio la 56ma Conferenza sulla Sicurezza di Monaco di Baviera. Più di 40 presidenti e primi ministri da tutto il mondo, oltre a ministri degli Esteri e della Difesa, analisti militari e strategici, élite dirigenti pubbliche e private: all’Hotel Bayerischer Hof non c’erano certo tutti, ma sono stati in tanti a mettere in scena gli equilibri (e gli squilibri) dei poteri internazionali. Al centro, la domanda di partenza: il mondo sarà sempre più “senza Occidente”? Una domanda che, ovviamente, ne genera molte altre, a partire da cosa si voglia intendere per Occidente. Nel report di presentazione della Conferenza – diretta da più di 10 anni da Wolfgang Ischinger, diplomatico tedesco dalla rete di contatti quasi infinita – il concetto di “Westlessness” è stato presentato con una impostazione chiara: l’Occidente sta soprattutto scomparendo come modello e alleanza compatta di democrazie liberali, e la causa è la crescente lacerazione portata internamente ai Paesi occidentali dal nazionalismo illiberale e la parallela rinuncia al multilateralismo nel confronto con gli attori non occidentali. Al tempo stesso, è proprio l’Occidente dei nuovi nazionalismi a essersi autoproclamato la sola salvezza occidentale e a vedere esattamente nella società aperta liberale e nel multilateralismo la più pericolosa debolezza di fronte ai player esterni. In altre parole, entrambi i fronti interni all’Occidente si accusano a vicenda di essere la causa della potenziale scomparsa di un Occidente diversamente inteso: come sistema di valori liberali che si vogliono universali, da un lato, o come identità culturale e di fatto etnica, dall’altro. La realtà internazionale però, come hanno dimostrato proprio i tre giorni della Conferenza bavarese, è oggi così complessa e intricata da non poter essere letta attraverso una semplice dicotomia ideologica.

Entrambi i fronti interni all’Occidente si accusano a vicenda di essere la causa della potenziale scomparsa di un Occidente diversamente inteso: come sistema di valori liberali che si vogliono universali, da un lato, o come identità culturale e di fatto etnica, dall’altro

L’Occidente secondo Berlino e l’Occidente secondo Donald Trump
Aprendo la  Conferenza di Monaco, il Presidente della Repubblica Federale tedesca Steinmeier ha subito lanciato l’allarme per una “dinamica distruttiva” nella politica mondiale, criticando Russia e Cina ma anche gli Stati Uniti d’America, che si starebbero muovendo verso un mondo unilaterale e hobbesiano in cui ogni Paese «pone il proprio interesse sopra quello degli altri». Al Presidente tedesco ha risposto poche ore dopo Mike Pompeo, Segretario di Stato degli Stati Uniti e uomo di Donald Trump, che ha dichiarato: «Sono contento di far sapere che la morte dell’alleanza transatlantica è ampiamente esagerata. L’Occidente sta vincendo e stiamo vincendo insieme». Un Occidente che poi Pompeo ha identificato come chiunque rispetti «la libertà individuale, l’impresa libera e la sovranità nazionale».

Guerre fredde tech e nuove sintesi francesi
Nel confronto degli Usa con i suoi avversari extra-occidentali, intanto, la lacerazione teorica fra politiche internazionali liberal e neo-nazionaliste è molto meno netta di quanto si possa pensare. Emblematico è stato certamente il fronte comune che a Monaco è emerso sul tema 5G tra Mike Pompeo e Nancy Pelosi (Speaker della Camera dei rappresentanti Usa e accolta in Germania come più celebre leader anti-Trump). «State lontani da Huawei» se non volete scegliere «l’autocrazia invece della democrazia», ha dichiarato Pelosi, confermando che quando si tratta di intelligence tecnologica e di competizione con la Cina non ci sono così tante differenze tra democratici e repubblicani. La guerra fredda tech, sia chiaro, è solo agli inizi.

Dell’impaziente ricerca di nuove sintesi si è reso protagonista Macron, che a Monaco ha trovato una cornice scenografica per riaffermare a tutto campo la sua idea di una sovranità europeista per sconfiggere i sovranismi nazionalisti. Sovranità europeista che però è anche un progetto di protagonismo post-gollista francese e, proprio per questo, lascia titubanti gli stessi tedeschi e altri partner europei, nonostante tutti credano in un’Ue che si prenda più responsabilità. All’Hotel Bayerischer Hof, Macron, che poche settimane fa aveva dichiarato la «morte cerebrale» della Nato, ha nuovamente affermato che è in corso «un indebolimento dell’Occidente» e che anche secondo lui gli Stati Uniti stanno «ripensando la loro relazione con l’Europa». L’Ue ha quindi bisogno di non essere più «junior partner» e di saper «agire indipendentemente» da un punto di vista militare, fermo restando che «la sicurezza comune in Europa ha due pilastri, il primo è la Nato e l’altro è una difesa europea». L’intervento di Macron è rimasto tatticamente ambivalente e rimanda anche in questo caso al dibattito a venire sul futuro dell’alleanza atlantica, ma dimostra come le strategie politiche di diversi governi europei abbiano già superato (se mai è esistita) la dicotomia tra multilateralismo e realpolitik nazionalista e cerchino invece percorsi ibridi capaci di sfruttare entrambe le impostazioni.

C’è chi ha rivendicato che i valori liberaldemocratici non siano più solo faccenda occidentale, come nel caso della ministra degli esteri sudcoreana Kang Kyung-Wha, che ha addirittura citato la vittoria del film sudcoreano Parasite agli Oscar

Le forti voci non occidentali
Pur essendo la Conferenza di Monaco sempre stata un momento di dibattito occidentale, parlando di “Westlessness” quest’anno le voci non occidentali hanno assunto un’importanza maggiore. Le voci si sono espresse in modo eterogeneo. C’è chi ha rivendicato che i valori liberaldemocratici non siano più solo faccenda occidentale, come nel caso della ministra degli esteri sudcoreana Kang Kyung-Wha, che ha addirittura citato la vittoria del film sudcoreano Parasite agli Oscar come espressione di un crescente “global mindset” che non è più solo primato dell’Ovest. C’è chi invece ha lucidamente ricordato la semplicità delle mutazioni in corso, come il ministro degli esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar, che ha detto: «Negli ultimi 30 anni abbiamo visto nel mondo un ribilanciamento economico e questo si sta traducendo in un ribilanciamento politico». Ci sono poi state le dichiarazioni più attese, quelle dei governi di Russia, Iran e Cina. Sia il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov che il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif hanno mostrato plasticamente come venga vista la “Westlessness” a Mosca e Teheran: un’occasione per approfondire proprio la distanza strategica tra Europa e Washington e sedurre porzioni di Europa verso prospettive euroasiatiche. Zarif, soprattutto, ha invitato Germania, Francia e Regno Unito a rivedere le sanzioni contro il proprio Paese al fine di poter tornare all’accordo sul nucleare del 2015 (lo stesso da cui l’amministrazione Trump è uscita due anni fa). Ricerca di collaborazione con l’Europa e confronto sempre più aperto con gli Stati Uniti sono emerse anche dalle parole a Monaco del ministro degli esteri cinese Wang Yi, che di fronte alle critiche americane di poche ore prima, ha risposto: «Tutte queste accuse contro la Cina sono bugie, non basate su fatti… Ma se sostituiamo la Cina e il soggetto di queste accuse fosse l’America, forse queste bugie diventerebbero fatti». Le parole cinesi alla Conferenza di Monaco dello scorso anno, per intenderci, erano state molto meno apertamente conflittuali.

Fuori dall’Occidente, intanto, continuano a trovarsi i territori insanguinati da conflitti armati. Qualunque cosa sia la “Westlessness”, e malgrado le forze occidentali siano sempre meno i decision maker assoluti nelle guerre in corso, l’essere libero da guerre nelle proprie città resta oggi il primato e il privilegio più distintivo dell’Occidente contemporaneo. A Monaco gli scenari di guerra sono stati discussi sul palco e nei numerosi (e ancora più decisivi) incontri bilaterali non pubblici, in cui si è parlato tra gli altri di Libia (a cui si è dedicata molto la delegazione italiana), Ucraina, Siria, Israele-Palestina, Nagorno-Karabakh e, con risultati evidenti, Afghanistan (per cui sarebbe molto vicino un accordo di pace USA-talebani). Non c’è tema o dossier che non si sia dimostrato particolarmente complicato e con molteplici attori in campo.

La geopoliticizzazione del mondo
Al di là delle numerose dichiarazioni e dei lunghi dibattiti, al di là dei dubbi su quanto (o per quanto) i vari poteri in mostra alla Conferenza siano stati espressione diretta delle cittadinanze e delle nazioni di cui portano le bandiere, la “Westlessness” di Monaco ha dimostrato di non significare la fine dell’Occidente, ma la fine definitiva della sua più grande auto-suggestione: quella secondo cui l’ordine internazionale sarebbe frutto di principi valoriali e non, anche e soprattutto, di concrete e mutevoli geometrie di potere.