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19:15 giovedì 13 novembre 2025
A poche ore dalla vittoria al Booker Prize è stato annunciato che Nella carne di David Szalay diventerà un film Ad acquisire i diritti di trasposizione del romanzo sono stati i produttori di Conclave, noti per il loro fiuto in fatto di adattamenti letterari.
Il nuovo film di Tom Ford è già uno dei più attesi del 2026, per tantissime e buonissime ragioni Un progetto che sembra quasi troppo bello per essere vero: l'adattamento di uno dei più amati romanzi di Ann Rice, un cast incredibile, Adele che fa l'esordio da attrice.
Nel primo teaser del Diavolo veste Prada 2 si vede già la reunion di Miranda e Andy Le protagoniste salgono insieme sull’ascensore che porta alla redazione di Runway, riprendendo una scena cult del film originale.
L’unica persona ancora convinta che Trump non sapesse niente dei traffici di Epstein è l’addetta stampa della Casa Bianca Nonostante le ultime rivelazioni riguardanti gli Epstein Files, Karoline Leavitt continua a ripetere che «il Presidente non ha fatto nulla di male».
È uscito il primo trailer di Marty Supreme, il film sul ping pong con cui Timothée Chalamet punta a vincere l’Oscar Il film di Josh Safdie è stato accolto con entusiasmo dalla critica e il suo protagonista è già lanciatissimo verso la statuetta per il Miglior attore. 
Da oggi scatta il blocco ai siti porno per i minorenni, solo che al momento non è bloccato niente Dal 12 novembre i portali per adulti devono controllare l'età degli utenti con un sistema esterno e anonimo, che però non è ancora operativo.
È morto Homayoun Ershadi, leggendario attore iraniano che Abbas Kiarostami scoprì a un semaforo Il suo ruolo ne Il sapore della ciliegia lanciò una carriera iniziata per caso: nonostante il successo, non si è mai sentito un vero attore.
Papa Leone XIV ha rivelato i suoi quattro film preferiti e tra questi non ci sono né ConclaveThe Young Pope E neanche Habemus Papam e I due Papi né nessun altro film che parli di Papi.

Che fine hanno fatto i marchi medi?

Brand come Abercrombie & Fitch, Gap e J. Crew hanno perso l’appeal di un tempo. C'entrano Amazon, il fast fashion e un nuovo modo di fare shopping.

11 Maggio 2017

Esiste una sorta di filo conduttore nei variegati trend degli anni Zero, che inizia probabilmente con Paris Hilton – il cui armamentario fatto di abiti glitter e tute in ciniglia di Juicy Couture è ora sdoganatissimo sulle passerelle e fra le influencer – e passa per i poster boy di Abercrombie & Fitch (ricordate Luke di The O.C.?) e le ragazze che, come Jenna Lyons di J. Crew, una delle star indiscusse delle prime gallery di streetstyle, abbinano la giacca militare agli occhialoni da vista hipster e la gonna in paillettes. È facile, rileggendo quest’ultima frase, riconoscere cosa è rimasto di tutto quell’immaginario e cosa, invece, anche a distanza di così pochi anni, è finito per diventare inesorabilmente fuori moda. Se Hilton, infatti, è ormai riconosciuta e celebrata come l’icona che ha anticipato il Millennial pink, la cultura del selfie e quella della celebrità dell’apparenza – e in ultima istanza, colei che ha prodotto Kim Kardashian – il resto sembra oggi svanito nel nulla. Nulla di strano, in fondo, se non fosse che il fastidio che ci provoca la parola hipster è solo il primo sentore della progressiva scomparsa di un calderone di tendenze vastissimo, in cui finiscono marchi conosciuti per la loro solidità e che si sono poi rivelati del tutto inadeguati ad affrontare il mercato del presente. Cos’è successo ai brand medio-alti come J. Crew o alle catene pop come Gap? E cosa può dirci il disinnamoramento del cliente nei loro confronti sullo stato attuale dell’industria? Molto di più di quanto pensiamo, in realtà, perché l’apparente polarizzazione del mercato (da una parte il fast fashion, dall’altra il lusso che fatica a definirsi tale) ha provocato la progressiva estinzione di una specifica fascia dell’offerta nel settore dell’abbigliamento, quella dei marchi che riuscivano a coniugare una buona fattura dei capi con uno stile piuttosto riconoscibile, a prezzi non bassi ma neanche spropositati.

GAP Open Their First Outlet In Indonesia

Qualcosa di simile è successo in Italia quando anche i nostri “colossi” (come Benetton e Stefanel) sono entrati in crisi di fronte all’ascesa del fast fashion e all’affermarsi di un modello produttivo insostenibile per molti. È importante specificare, però, che non si tratta più soltanto di produrre molto, in maniera veloce e a basso costo, perché quello stesso modello è ora in fase di profondo ripensamento, come dimostrano le recenti operazioni di H&M, ma anzi di una cultura del prodotto che è cambiata moltissimo negli ultimi vent’anni. Il successo di marchi come COS e & Other Stories (di proprietà di H&M) dimostra infatti come quella fascia del mercato in realtà esista ancora, ma anche come questi ultimi siano profondamente diversi dai brand che li hanno preceduti. Come spiega bene John Thorberck del fondo di investimento Change Capital LLC a Chantal Fernandez di Business of Fashion, nel lungo periodo i marchi americani legati ai grandi centri commerciali hanno risentito della crisi congiunta del settore apparel (di fatto, si comprano meno vestiti) e del negozio fisico (si compra sempre più online), facendo venire così a galla tutta l’inadeguatezza della loro catena produttiva di fronte alle nuove abitudini di consumo. Anche perché «i Millennials non vanno più al mall» con buona pace di tutti quei telefilm, da Dawson’s Creek allo stesso The O.C., che li hanno celebrati con episodi memorabili. A questo punto è necessario però citare Amazon, che ha provocato una sorta di doppio effetto deleterio: da una parte, navigare nel suo sterminato catalogo virtuale ha livellato la specificità di ogni marchio, di fatto depotenziando lo stesso concetto di brand e rendendo sempre più difficile la fidelizzazione del cliente, dall’altro ha finito per imporre quella che su BoF chiamano «l’esperienza Amazon Prime», francamente difficilissima da riprodurre per chiunque non sia Amazon stesso.

Abercrombie & Fitch - UK Flagship Store Opens

L’evolversi del modo di fare shopping, poi, ha fatto il resto. Il consumatore di oggi, e ne abbiamo parlato più volte, sembra essere schizofrenico quando vuole comprare solo marchi che hanno fatto dell’etica della produzione e dei materiali il loro punto di forza, ma allo stesso tempo pretende velocità ed efficienza nella consegna, varietà nella scelta e competitività dei prezzi. Eppure, qualcuno riesce ad accontentarlo (o a prenderlo in giro) e se, come racconta Joshua Rothman sul New Yorker, alla fine nessuno vuole più far parte della crew di J. Crew, qualche altro motivo ci sarà: l’ago spietato del desiderabile si è spostato su marchi che hanno saputo sfruttare Instagram in maniera furba, come ad esempio Reformation ed Everlane, mentre i cambiamenti che pure queste grandi aziende hanno affrontato, dalla direzione creativa alla sperimentazione di linee di distribuzione alternative, non sembrano essere bastati a convincere il mercato. In fin dei conti, se Juicy Couture è tornato a essere cool, più che del re-branding intellettual-ironico a opera di Vetements è merito dell’inscalfibile status di icona di Paris Hilton, e di lei, ahimé, ce n’è una sola.

Immagini Getty Images
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