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Il problema dell’inglese come lingua ufficiale d’Europa in caso di Brexit
L’Unione europea ha 24 lingue ufficiali (solo elencate qui), da tempo però l’inglese è diventata nella prassi la lingua di lavoro per molte istituzioni europee, gradualmente soppiantando il francese come lingua più utilizzata tra gli euro-burocrati. Delle 27 nazioni che fanno parte della Ue, però, soltanto due parlano inglese: Gran Bretagna e Irlanda. La prima, sia per demografia che per Pil, ha uno grande peso nell’Unione, mentre la seconda è un Paese relativamente piccolo.
Cosa succederà, allora, nel caso la Gran Bretagna dovesse lasciare l’Unione europea? Se lo sono domandati l’Economist e Quartz, in vista del referendum sulla Brexit, previsto per il 23 giugno.
Se il referendum dovesse passare, scrive l’Economist, si verificherebbe una «condizione bizzarra». E cioè: «Un’unione di nazioni per un totale di 450 milioni di abitanti si ritroverebbe dominata da una lingua parlata ufficialmente dalla Repubblica irlandese (4,6 milioni di abitanti) e da Malta (che ha 420 mila abitanti)». Oggi l’Ue supera il mezzo miliardo di abitanti, ma nel calcolo sono stati sottratti il numero di britannici che non sarebbero più cittadini europei. Inoltre il settimanale conta Malta, che usa l’inglese come idioma “co-ufficiale” ma che ha come prima lingua il maltese.
In altre parole, già oggi il primato dell’inglese in Europa – attribuibile a fattori di comodità, e al fatto che la lingua sia dominante anche nel resto del mondo – riflette poco la sua diffusione come prima lingua tra i cittadini europei. Cosa succederà se, con un’eventuale Brexit, questo squilibrio dovesse diventare ancora più marcato?
Ad alcuni francesi piacerebbe pensare che il loro idioma tornerebbe a essere la lingua franca della Ue. Tuttavia è improbabile che questo avvenga, perché se è vero che pochi europei parlano l’inglese come prima lingua e che questo numero si abbasserebbe di parecchio in caso di Brexit, sono moltissimi quelli che la parlano come seconda lingua, ormai molti più di quelli che parlano francese come seconda lingua.
Secondo Quartz però un’eventuale Brexit potrebbe cambiare il tipo di inglese che si utilizza nelle istituzioni europee. Com’è noto, infatti, esistono tanti tipi di inglese: quello usato nel Regno Unito, quello nordamericano, quello utilizzato in India, eccetera. Col tempo, si è sviluppato anche una sorta di euro-inglese, una specie di ibrido dei burocrati, che preserva lo spelling e le regole dell’inglese britannico ma attribuisce significati diversi ad alcune parole: per esempio la parola “delay” (ritardo, in inglese britannico), nei documenti della Ue (cioè in euro-inglese) significa “deadline”. Finora le “stranezze” dell’euro-inglese sono state tenute a bada dall’influenza economica e culturale della Gran Bretagna, dunque i termini il cui significato si allontana dall’inglese britannico, sono relativamente pochi.
In caso di Brexit, però, l’influenza di Londra si ridimensionerebbe, inoltre diminuirebbe il numero di euro-burocrati che vivono, hanno vissuto, o visitano spesso la Gran Bretagna, assorbendone le regole linguistiche. È inoltre difficile pensare che l’Irlanda, che non gode di un peso paragonabile, farebbe sentire la sua influenza linguistica nella Ue. Dunque, ipotizza Nikhil Sonhad su Quartz, in caso di Brexit è possibile che l’euro-inglese si allontani sempre più dall’inglese britannico, diventando un creolo a sé stante.