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Come può uscire la Gran Bretagna da questa crisi?

Abbiamo intervistato James Blitz che segue la Brexit per il Financial Times.

di Francesco Maselli

Giornalisti e emittenti televisive lavorano in un centro multimediale temporaneo eretto di fronte al Parlamento il 15 gennaio 2019 (Daniel Leal-Olivas/Afp/Getty Images)

Ieri sera la Camera dei comuni ha respinto con 432 voti contrari e 202 favorevoli l’accordo sulla Brexit trovato dal primo ministro Theresa May con l’Unione europea. Il risultato è storico: è la più ampia sconfitta subita da un governo in carica nella storia del Parlamento britannico. Ne abbiamo parlato con James Blitz, Whitehall editor del Financial Times.

ⓢ Il voto di ieri poteva essere evitato in qualche modo? O questa conclusione era inevitabile?

Credo fosse inevitabile, vista la strada intrapresa dal primo ministro Theresa May. Nel 2016 i britannici hanno votato per il leave, ma non hanno specificato in che termini volevano lasciare l’Unione Europea. Il grande problema strategico del primo ministro è stato quindi dover gestire questo rompicapo, già di per sé di difficile soluzione. In più, May ha commesso degli errori catastrofici: da un lato ha tracciato molte linee rosse, spiegando fin da subito di voler lasciare il mercato unico, l’unione doganale e il sistema della Corte di giustizia, rendendo la sua capacità negoziale meno forte; dall’altro ha attivato troppo presto la procedura, dando il via a un processo intricatissimo senza lavorare a un piano B né a un dialogo più fruttuoso con le altre forze politiche, o con i membri del suo stesso partito. Avrebbe dovuto: ridefinire il nostro rapporto con l’Unione europea in un anno e mezzo non era del tutto scontato.

ⓢ Ieri il governo ha subito la più importante sconfitta parlamentare della storia. Come si spiega che il risultato sia stato così schiacciante e che il primo ministro abbia deciso di non dimettersi?

In qualunque altra circostanza, in qualunque altro Paese democratico, un voto del genere avrebbe generato immediatamente le dimissioni del capo del governo. Se questo non è avvenuto, è perché nel partito conservatore sono consapevoli che in caso di dimissioni la crisi si aggraverebbe: adesso dobbiamo trovare il modo di lasciare l’Unione europea in poche settimane, semplicemente non c’è tempo né serenità per eleggere un nuovo leader del Partito conservatore o indire nuove elezioni.

ⓢ Quali saranno i prossimi passi di Theresa May?

May cercherà un compromesso, ma è molto difficile. Consideriamo le alternative: il cuore del suo progetto è lasciare l’unione doganale, che prevede una sola tariffa commerciale per le merci che entrano nell’Unione europea, e avere quindi la libertà di negoziare accordi commerciali bilaterali con tutti gli altri paesi del mondo. Questo crea sia un problema di ordine logistico, perché i nostri porti non possiedono le infrastrutture adatte per affrontare una situazione del genere, sia un problema di ordine politico, perché nel Partito conservatore non sono tutti d’accordo, e il Labour è tendenzialmente contrario. Un’altra possibilità è copiare il modello norvegese, che prevede una situazione molto simile a quella attuale dal punto di vista commerciale, senza però avere il diritto di sedersi ai tavoli europei per prendere le decisioni. Ma questa soluzione comporterebbe il libero movimento delle persone, e per Theresa May è impossibile accettarlo. Infine, c’è l’ipotesi di un secondo referendum, che il primo ministro ha sempre escluso. Theresa May è chiusa in una piccola scatola dalla quale difficilmente riuscirà a venire fuori. E ci si è infilata da sola.

Attivisti anti-UE manifestano nel centro di Londra, il 15 gennaio 2019 (Paul Ellis/Afp/Getty Images)

ⓢ Come si spiega una crisi simile della politica britannica?

Mi sembra che il nostro sistema politico sia ormai troppo frammentato per poter essere ben governato. La nostra forza, un bipolarismo di alternanza con due partiti strutturati, purtroppo non esiste più. Stiamo diventando qualcosa molto simile alla politica italiana, il nostro Parlamento è diviso tra molti gruppi che chiedono cose molto diverse e incompatibili tra loro. Ad aggravare la situazione è la mancanza di una figura di unità come il vostro Presidente della Repubblica.

ⓢ Come mai Jeremy Corbyn, leader del Partito laburista, ha chiesto una mozione di sfiducia nei confronti di Theresa May, se sa di non avere i numeri in Parlamento per ottenerla?

È comprensibile che un leader dell’opposizione inoltri questa richiesta, viste le proporzioni del voto di ieri sera. Anzi, Corbyn non ha mai avuto fretta in questo senso: il suo obiettivo sono le elezioni, e se dovesse vincere questo voto le otterrebbe. Dopo stasera però si aprirà un problema anche per lui: dovrà per forza di cose definire l’identità del Labour rispetto alla Brexit. Finora era in una posizione confortevole, non era costretto a prendere posizione e visto il quadro politico altamente frammentato non ha corso il rischio di inimicarsi questo o quel gruppo. Da oggi in poi sarà più difficile per lui continuare ad avere una linea così ambigua.

ⓢ È possibile che il Partito conservatore, che ha votato in parte contro il piano del suo stesso primo ministro, arrivi a una scissione?

È possibile, i conservatori si sono spaccati seriamente sulla Brexit. I parlamentari vicini alle posizioni di Boris Johnson, che chiedono una clean Brexit sono circa 80, esiste anche una minoranza, tra i 10 e i 20 parlamentari, che vorrebbe invece il modello norvegese. Il resto del gruppo è fedele alla linea di Theresa May, ma come si nota ormai l’opposizione interna è molto corposa. Una scissione non mi sorprenderebbe. Attenzione però: le divisioni sulla Brexit esistono e sono profonde anche nel Labour. Come dicevo, il nostro quadro politico è ormai molto frammentato.

Theresa May prima del voto in un pub di Westminster, 15 gennaio 2019, Londra (Foto di Jack Taylor / Getty Images)


ⓢ Ritiene possibile un nuovo referendum?

È molto difficile, anche perché su cosa si voterebbe? Il quesito sarebbe lo stesso oppure diventerebbe più specifico? Al momento non esiste una chiara maggioranza favorevole a un secondo referendum nella House of Commons, e in ogni caso anche qualora si decidesse di votare nuovamente ciò avverrebbe in un clima pessimo. I sondaggi prevedono un risultato molto incerto, e parte dell’opinione pubblica protesterebbe, perché ritiene una seconda consultazione popolare come un diniego di democrazia. Dopotutto i britannici si sono già espressi.

ⓢ Si aspettava l’Unione europea così compatta durante i negoziati?

L’unità da parte degli europei mi ha sorpreso sempre meno, ma ha due ottime ragioni. In primo luogo il Regno Unito vuole lasciare il mercato unico, che è considerato in modo quasi unanime un grande successo da parte degli Stati europei, a differenza dell’euro. In secondo, perché non dare vita facile ai britannici serve a contenere i partiti populisti, che invece avevano visto nella Brexit una risorsa politica per le loro piattaforme. Il caos in cui è piombato il Regno Unito non è una buona pubblicità per i populisti del continente.