Attualità

Brand Parade

I marchi più preziosi e importanti del mondo nel 2012. La consueta classifica annuale di Interbrand spiega chi domina il mercato, chi sale e chi scende.

di Michele Boroni

In questa rubrica si parla spesso di brand o, quantomeno, questa parola viene nominata un sacco di volte. Ma cos’è un brand? Domanda che sembra scontata e banale, ma che in fondo non lo è. Nel marketing teorico infatti esistono due grandi scuole di pensiero, una di tipo socio-semiotica e l’altra più economico-aziendale.

La faccio breve, non preoccupatevi.

La prima ci dice che il brand sta nella testa delle persone, è una proiezione che ciascuno di noi fa quando pensa ad un marchio sulla base della pubblicità vista, di un’esperienza d’acquisto, dell’immagine del prodotto a cui è associato, del suo prezzo, delle notizie che girano sull’azienda a cui fa capo e da un monte di altre cose. Insomma, una serie di percezioni che provengono dal lato della domanda, cioè dai “consumatori”.

La seconda scuola di pensiero considera invece il brand come un asset aziendale (lo so, asset è sempre una parola difficile da tradurre, ma in questo caso “risorsa” o “patrimonio” potrebbero essere quelle corrette) capace di generare valore a livello aziendale e che quindi, per sua natura, deve essere valutato e quantificato economicamente.

Questa seconda tesi viene abbracciata da Interbrand, azienda multinazionale di consulenza di branding e che da 13 anni pubblica una sorta di hit parade globale dei brand, chiamata appunto Best Global Brands. In questa classifica i brand vengono analizzati con gli stessi occhi di un’analista finanziario, considerando quindi il valore atteso e il rischio associato al brand. Perciò i parametri utilizzati sono: la performance economica dei prodotti e servizi associati al brand, il ruolo del brand nel processo di scelta e acquista da parte della clientela e infine la capacità del brand di continuare a generare margini nel tempo.

Ma vediamola un po’, questa classifica.

Al primo posto si conferma, come da parecchi anni, Coca-Cola con un valore di 77.839 milioni di dollari in crescita dell’8% rispetto al 2011: seppur in una categoria piuttosto indifferenziata come è quella dei soft drink, Coca-Cola riesce ad avere un potere di attrazione e fidelizzazione unico. E poi è riuscita a rinnovarsi costantemente con lanci di prodotto continui, intercettando tempestivamente i trend quando diventano rilevanti, come ad esempio per la bibita gassata a calorie zero differenziandola sessualmente (la Light per il pubblico femminile, la Zero per quello maschile). Al secondo posto si posiziona Apple che cresce rispetto allo scorso anno addirittura del 129%: ora non staremo qui a raccontare per l’ennesima volta quel che ha fatto Apple in questi anni e di come abbia cambiato il nostro modo di vivere, ci basta solo dire che la creatura di Steve Jobs trasformandosi da brand di computer a brand di contenuti è diventata pervasiva. Un brand che invece di clienti ha dei cultori ma che, rispetto ad altri marchi di cult, qui sono milioni e milioni. Una crescita però che non sarà inarrestabile se si considera i recenti casi Foxconn, la falla delle mappe di iOS6 e un iTunes che non si rinnova.

I brand dell’information technology la fanno da padrone (6 brand nella top10), e in nona posizione c’è infatti Samsung (+40% rispetto al 2011) che fino a a decina di anni fa era essenzialmente un’azienda di semiconduttori e di alcuni prodotti consumer di basso costo; l’azienda coreana è riuscita nella difficile impresa di creare un brand quasi da zero, e soprattutto di collocarlo nella fascia premium nei mercato dove opera, diventando leader globale nel mercato a più alta crescita e profittevole, cioè quello degli smartphone, scalzando brand come Nokia (#19 ; -16%) che fino a pochi anni fa era ben presente nella top10 di Interband, ma anche storici brand generalisti come Sony (#40 ; -8%) che solo dieci anni fa sembrava un’icona totalmente granitica. Dice Manfredi Ricca, managing director della sede italiana di Interbrand: «È interessante notare come Samsung abbia avuto un approccio “monolitico” al proprio branding, che si tratti di lavatrici, cellulari o schermi piatti. Sony invece ha condotto una politica più di frammentazione, puntando su singoli brand come Playstation, Vaio e Bravia. Oggi, nell’era delle piattaforme, degli ecostistemi e quindi delle convergenze, l’approccio monolitico di Samsung sembra essere quello vincente». La terza posizione di IBM (75.532 mld $ ; +8%) ci dice che il traghettamento dall’hardware ai servizi per il business in perenne trasformazione è ormai un successo consolidato; la volontà di cambiare ed evolversi è anche la cifra di Amazon (#20 ; +65%) uno dei pochi brand sopravvissuti alla prima ondata internet che, pur continuando a registrare performance da leader dell’e-commerce, si è rimessa in discussione commercializzando il device (Kindle) che potenzialmente potrebbe mettere in pericolo la propria principale fonte di business, ovvero la vendita di libri.

I brand del settore finanziario risentono ancora pesantemente della crisi del 2008 e non non sono più presenti brand come UBS, Barclays (cui pesa lo scandalo Liber) e Zurich. Di contro i tre principali brand delle carte di credito (AmEx, Visa e MasterCard) hanno registrato un aumento del proprio valore.

E i brand italiani? Sono solo tre e ovviamente fanno parte del settore lusso. Gucci (#38 ; +8%) – anche se di proprietà francese – che continua a «bilanciare il concetto di artigianalità italiana con una rilevanza di coolness a livello mondiale», continua Ricca (co-autore peraltro dell’interessante libro Meta-Luxury; Prada (#84 ; new entry), brand con alti tassi di crescita, che è riuscito ad imporsi in mercati emergenti prima che venissero definiti tali, e che oggi li identificheremmo come a rapida crescita. E infine Ferrari (#99 ; +5%) la cui posizione al fanalino di coda non deve far pensare a un insuccesso, anche perché si confronta con brand con giri d’affari dieci o venti volte più grandi.

Ci sarebbero un sacco di altre cose da dire ma, si sa, sul web l’attenzione della lettura arriva fino a un certo punto, quindi chiudiamo qui.

Prima di farlo però vale la pena ricordare che, pur in fase di recessione, i brand forti continuano a incidere sulla cultura e sull’economia globale, non certo per gli investimenti pubblicitari (come molti continuano stancamente a ripetere), ma grazie ad una visione onesta, realizzando prodotti innovativi e capaci di cambiare rapidamente con costanza e coerenza.

 

(Immagine: una pubblicità della Coca Cola)