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Chi è Bolsonaro, il Trump brasiliano

Rimpiange la dittatura, è sostenuto dalla lobby delle armi e dai neopentecostali. Ha stravinto il primo turno ed è sulla buona strada per diventare presidente.

di Alberto de Filippis

Jair Bolsonaro

Jair Bolsonaro passa davanti alla bandiera mentre si reca al suo seggio a Rio de Janeiro (Mauro PIMENTEL / AFP/ Getty)

Rimpiange la dittatura (e infatti ha mandato un messaggio di solidarietà alla famiglia di Pinochet). Si presenta come il portavoce di Dio (e infatti i pentecostali lo vedono come «il nostro candidato»). Ha cercato di portare in tribunale Netflix (non per abuso di posizione dominante o evasione fiscale, ma per “cattiva pubblicità”). Dalla sua parte ha la lobby delle armi e del gioco d’azzardo clandestino. E a breve potrebbe governare il Paese più grande dell’America latina. Jair Bolsonaro, da molti chiamato il Trump brasiliano, ha appena vinto il primo turno delle elezioni presidenziali, che si è svolto il 7 ottobre, ottenendo quasi il 46 per cento dei suffragi e quasi doppiando il suo avversario, il candidato di sinistra Fernando Haddad, fermatosi al 29,3.

Il ballottaggio è previsto per il 28 ottobre. La cabala è tutta dalla parte di Bolsonaro e Haddad non sembra avere molte possibilità (il candidato del partito dei lavoratori, o Pt, è stato scelto dall’ex presidente Lula, che non è candidabile, visto che da sei mesi è in carcere per una contestata condanna a 12 anni per corruzione e riciclaggio). Mai, nella relativamente breve storia del Brasile, chi ha vinto al primo turno ha poi fallito l’ingresso a Planalto, il palazzo presidenziale.

Chi è Bolsonaro? 63 anni, capitano dell’esercito in pensione e membro del congresso dal 1991, è il leader del partito social-liberale Psl. Promette una feroce liberalizzazione, ma soprattutto sicurezza, in un ooese con 60.000 omicidi all’anno. Contro di lui la macchina ben rodata del partito dei lavoratori – che pure gira a pieno regime, con un incessante lavoro di propaganda nelle fabbriche e nei luoghi di ritrovo delle classi medio-basse – sembra potere ben poco.

Una dimostrazione contro Bolsonaro, Sao Paulo, 6 ottobre (ALMEIDA/AFP/Getty Images)

Non è stato solo il sapiente uso dei social media, da Facebook a Instagram a Periscope, a portare Bolsonaro in testa ai sondaggi e poi nei seggi. Dalla sua parte ha gli evangelici neopentecostali, una chiesa così potente in Brasile da competere per numero di fedeli e influenza con quella cattolica. Nelle migliaia di templi in tutto il Paese la consegna era solo una: Bolsonaro è il nostro candidato. Perché Lula nella cabina elettorale non ti vede, Dio sì. Bolsonaro ha tutti i crismi del candidato di estrema destra. Ha difeso la dittatura militare, che ha governato il Brasile tra il 1964 e 1985. E lo ha fatto senza mezzi termini: «Sì, sono a favore della dittatura! Non risolveremo mai i gravi problemi nazionali con questa democrazia irresponsabile». E ha scritto agli eredi del defunto dittatore cileno Augusto Pinochet per esprimergli solidarietà dopo che un giudice ha congelato alla famiglia il corrispettivo di 16 milioni di euro.

Come se non bastasse, non ha avuto problemi economici nell’organizzare la campagna. I grandi latifondisti lo hanno appoggiato, così come i gestori del jogo de bicho, il lotto clandestino che compete con, oltre a pagare meglio e più in fretta, le lotterie ufficiali. Un gigantesco distributore di denaro arrivato ad essere gestito dalla criminalità organizzata. La promessa di sicurezza, poi, è uno strumento efficace, in un Paese dove la violenza fa più morti che in Iraq e Afghanistan. Ma soprattutto ha giocato con la stanchezza dei brasiliani. Perché il Paese resta uno dei più corrotti del mondo. Il suo screzio con Netflix nasce proprio da qui: Bolsonaro ha provato a portare il gigante dello streaming in tribunale per avere prodotto una serie dal nome molto semplice O Mecanismo, il meccanismo. Un po’ simile alla Piovra con Michele Placido, ha raccontato quanto il cancro della corruzione sia esteso nella società brasiliana, dai livelli più bassi fino al presidente.

Bolsonaro ha anche avuto dalla propria parte la lobby delle armi. Una lobby relativamente giovane e non così strutturata come la Nra americana, ma che ha capito che puntando su di un candidato lontano dai soliti partiti, avrebbe potuto incrementare i propri affari in maniera esponenziale. E Bolsonaro ha ascoltato e ha promesso, se eletto, una liberalizzazione delle armi e un progetto di legge che favorisce la legittima difesa, oltre a una stretta contro la criminalità. Slogan probabilmente, visto che nelle favelas i cartelli dei narcotrafficanti dispongono addirittura di blindati che non esitano a mandare contro la polizia se necessario. ma che hanno fatto presa sulla popolazione spaventata dalla crisi e stufa di progetti faraonici dimostratisi poi delle gigantesche mangiatoie: Olimpiadi e mondiali di calcio su tutti. Basti pensare che per la fase finale del «gioco più bello del mondo», quella edizione per intenderci dove il Brasile ha preso sette pappine in finale dalla Germania, l’esempio più impressionante è stato lo stadio di Curitiba. Costruito nel cuore della foresta amazzonica per la fase eliminatoria. I materiali sono dovuti arrivare via fiume e dopo una manciata d’incontri oggi giace semiabbandonato nel cuore della città. Stadi giganteschi costati molto di più di quanto preventivato mentre i brasiliani morivano negli ospedali per mancanza di medicinali e servizi.

elezioni brasile
Una coda elettorale alla favela di Rocinha, nell’area di Rio (CARL DE SOUZA/AFP/Getty Images)

Bolsonaro ha solo dovuto promettere una cosa che in Brasile sognano la notte: normalità. Quella di non essere rapinati ai semafori o uccisi per un telefonino da poche decine di euro. Senza dimenticare che anche personaggi pubblici come l’ex calciatore di Barcellona e Milan, Ronaldinho ha fatto dichiarazione di voto a favore di Bolsonaro.

L’uomo nella sua campagna elettorale non ha sbagliato un colpo e la stoccata vincente, il fendente che gli ha ha dato la spinta giusta è stata una coltellata. Quella che gli è stata inferta all’addome durante una manifestazione pubblica a Minas Gerais. L’assalitore, un 40enne che si è dichiarato sostenitore dell’ex presidente Lula, è stato identificato e arrestato. L’entourage di Bolsonaro ha dichiarato che il candidato era rimasto ferito all’arteria mesenterica e all’intestino e questo gli ha permesso di avere un’ottima scusa per non presentarsi ai dibattiti finali con gli avversari in tv. L’attentato ha avuta una eco fortissima nel Paese e a guardare le facce lunghe dei suoi competitor, quasi delusi di non essere stati loro a rimanere feriti, ci si poteva immaginare come sarebbero andate a finire le elezioni.

Paradossalmente non è il suo messaggio di pugno duro a colpire, ma la sua capacità di presentarsi come uomo nuovo. Proprio lui eletto, sette volte in parlamento tra le fila del Partito progressista alleato di Lula, prima di passare al semisconosciuto Psl, il gruppo social-liberale. Come altri politici populisti, Bolsonaro ha sempre ammesso di «non capire niente di economia». Il suo portavoce in questo campo è Paulo Guedes, uno che ama definirsi uno dei “Chicago boys” e propugna un sorta di anarco-capitalismo. A questo va sommata una crisi economica che dura da quattro anni, a un mercato ingessato in lacci e laccioli che semplicemente impediscono un vero mercato e quello che è stato inteso come il tradimento del partito dei lavoratori.