Attualità
Come si manda la gente al cinema nel 2014?
Alla ricerca della difficile ricetta per un blockbuster in tempo di streaming, Netflix e cambiamenti sociali: pochi ce la fanno e sono perlopiù kolossal spettacolari come Interstellar. E non è un caso.
Come vi abbiamo spiegato oramai due settimane fa, mentre noi abbiamo giustamente dato spazio all’Opera di Lory Del Santo The Lady, il dibattito cinematografico mondiale si è concentrato su Interstellar, l’ultimo film di Christopher Nolan. Se non l’avete ancora fatto, potete iscrivervi a uno dei due partiti che si stanno dando battaglia. Da una parte c’è chi l’ha trovato bello, l’Opera di un genio del Cinema, un film intelligente firmato dal miglior regista oggi in attività. Dall’altra chi invece non si spiega come mai al mondo esistano dei cretini come Nolan, che sprecano il nostro prezioso tempo con dei film sbagliati dal punto di vista teorico. Film in cui la visualizzazione di un buco nero non corrisponde a quella che ci hanno insegnato dovrebbe essere. Dove? Ma come, dove? Al corso di Antimateria che abbiamo seguito prima di consegnare la nostra tesi di dottorato in Astrofisica. Sì, sto facendo della polemica (di parte) e ve ne chiedo scusa, ma poche volte come per Interstellar ho trovato che l’opinione comune – quella espressa nella discussione da bar o nei vari articoli postati in questi ultimi quindici giorni sui nostro social network – sia stata fastidiosa e fuori fuoco. Non arriverò a linkare articoli deliranti o a riportarvi frasi gridate al vento che mi hanno fatto prudere la mani dal nervoso, ma se anche voi siete dotati di una connessione internet sapete o avete capito a cosa mi riferisco. Non importa qui, ora, quale sia il vostro pensiero sul film. E neanche il mio. Quello che conta, quello che a noi deve interessare è che la discussione su Interstellar è realmente sulla bocca di tutti.
Nolan oggi è in una posizione molto scomoda ma al tempo stesso estremamente stimolante. Partito come regista indipendente, creatore di piccoli film in bianco e nero (pensate: in bianco e nero!), è arrivato a essere il nome di punta, l’esempio da seguire, di quello che è ormai l’unico genere imperante e imbattibile al box office americano e di conseguenza mondiale: il cinecomix. Con la sua trilogia di Batman, Christopher Nolan ha cambiato le carte in tavola. È riuscito a far correre in sala milioni di persone in tutto il mondo e al tempo stesso ha convinto i produttori che questi film possono essere qualcosa di appetibile anche da chi non ha otto anni e mezzo. È stato il primo regista di un film destinato al successo commerciale di cui tutti si ricordavano il nome. Quelli con l’abbonamento a Segnocinema e quelli che vanno in sala solo a Natale, o che non nutrono grande interesse nella Settima Arte. Insomma, un altro modo di dire Autore. Più di Raimi con i suoi Spider-Man, Nolan ha significato una svolta teorica in quell’oggetto cinematografico che comunemente chiamiamo blockbuster.
Lunghezza mezza importanza. Lo stesso concetto del venditore di quadri che impazzava tempo fa su Tele Elefante: più una tela è grande, più il dipinto avrà valore.
Cos’è un blockbuster? Quali sono le caratteristiche che lo definiscono? Parliamo solo di una questione economica? O le caratteristiche che lo delineano sono anche tematiche e narrative? Dispiace tirare acqua al proprio mulino, ma la settimana scorsa in Triennale, qui a Milano, s’è tenuto un panel all’interno del festival organizzato da Studio dal titolo: “Il racconto della realtà. Al cinema, in Tv, nei libri: perché ci piacciono così tanto le storie vere”. Ne hanno parlato Aldo Grasso, Lorenzo Mieli, Cristiano de Majo, Francesco Anzelmo e Niccolò Contessa. Alla fine del panel, durante lo spazio dedicato alle domande, s’è discusso per quale motivo al cinema questa tensione verso la realtà, per lo meno nell’ambito di film di largo consumo, sia pressoché inesistente. Al cinema si va per vedere la saga di Harry Potter, Iron Man, The Avengers, I Guardiani della Galassia, Hunger Games, Lo Hobbit o Transformers. Questi sono i titoli delle pellicole che hanno incassato di più negli ultimi tre o quattro anni di cinema. Prima caratteristica: sono tutti film che costano più o meno 200 milioni di dollari e che, seconda caratteristica, arrivano ad incassare cifre spaventose, che vanno dagli ottocento milioni al miliardo di dollari. Anche la durata sembra avere una sua importanza: il blockbuster deve superare i 120 minuti di durata. Altrimenti non si ha il tempo necessario per suggerire allo spettatore che si è di fronte a un’Opera di una certa rilevanza. Lunghezza mezza importanza. Lo stesso concetto del venditore di quadri che impazzava tempo fa su Tele Elefante: più una tela è grande, più il dipinto avrà valore. Per cui si va dai timidi 121 minuti di Guardians of The Galaxy ai tracotanti 143 di Transformers IV.
Uno dei compiti del blockbuster è quello di mettere insieme su grande schermo gli attori del momento, come ha fatto Joss Whedon per il suo ritrovo di supereroi: Robert Downey Jr., Scarlett Johansson, Chris Hemsworth, Samuel L. Jackson e altri ancora. Un’altra possibilità prevede che sia il blockbuster a trasformare in Divi dei semplici attori. Pensate alla fama di Jennifer Lawrence post Hunger Games o a quella di Emma Watson una volta smessi i panni di Hermione. Ancora: il blockbuster utilizza attori già noti e riconoscibili in ruoli per loro nuovi, diversi da quelli per cui li abbiamo conosciuti. Ian McKellan che si identifica con il mago Gandalf, Stanley Tucci inventore pazzo e simpatico, Ben Kingsley cattivo da operetta, travestito da Ming di Flash Gordon. Ultima caratteristica utile: il blockbuster è un film di fantasia. Una pellicola pensata per un pubblico di adolescenti che, nelle speranze dei produttori, porta in sala i propri genitori. Genitori che, una volta che le luci si sono spente, si ritrovano nostalgicamente a pensare a quando anche loro sognavano di poter volare o di sparare raggi fotonici dalle mani. Ovviamente non sarò di certo io a lamentarmi del fatto che i blockbuster raccontino storie che un vostro amico noioso potrebbe definire come “stupidine”. Nessuno più del sottoscritto è contrario all’uso della parola “americanata” per definire un film. Eppure è un dato di fatto che i blockbuster sono quei film fatti di supereroi ed esplosioni, belle ragazze in tutine aderenti e manzi a torso nudo, dialoghi veloci come sparatorie e totale sospensione dell’incredulità. Christopher Nolan rappresenta un’eccezione, un punto critico in questo sistema.
Eppure è successo il miracolo: l’ultima fatica di Nolan in due settimane di programmazione in Cina ha incassato quasi 85 milioni di dollari, battendo I Pinguini di Madagascar e Rise of The Legend, drammone di kung-fu.
Il 12 di novembre, una settimana dopo l’uscita ufficiale del film, Interstellar ha esordito sul mercato cinese. Parliamo di un mercato molto difficile, in cui – soprattutto per i prodotti americani – tutte le caratteristiche che abbiamo sopra elencato sono esasperate, in particolare quelle che riguardano l’ultimo punto. Per questo motivo gli esperti di mercato erano molto preoccupati per i possibili risultati al botteghino della pellicola; troppo cerebrale, serio e verboso, carente in azione ed effetti speciali spettacolari, non disponibile in versione 3D. Eppure è successo il miracolo: l’ultima fatica di Nolan in due settimane di programmazione ha incassato quasi 85 milioni di dollari, battendo I Pinguini di Madagascar e Rise of The Legend, drammone di kung-fu, successo annunciato in patria. Questo risultato ha definitivamente regalato lo status di blockbuster a Interstellar: 165 milioni di dollari di budget e incassi per ora sui 500 milioni (siamo distanti dal milione di dollari, ma ad 800 ci si arriverà). 169 minuti di durata. Cast incredibile con protagonisti i due premi Oscar Matthew McCounaghey e Anne Hathaway e altri ruoli a nomi come Matt Damon, Jessica Chastain, Ellen Burstyn, John Lithgow e Michael Caine. Ma incredibilmente non si parla di supereroi in calzamaglia o di saghe magiche o fantasy.
Interstellar è un film spettacolare ma serioso, in cui si lascia più spazio alla parola che all’azione. Ripeto: vi prego di tentare di leggere queste righe senza pensare al vostro giudizio sul film. Magari anche voi siete tra quelli che hanno criticato il film perché i protagonisti bevono la birra anche se hanno appena detto che non c’è più mais. Magari siete tra quelli che invece hanno trovato il discorso della pettinatissima astronauta Anne Hathaway sull’amore una delle cose più toccanti e profonde mai viste o sentite al cinema. Eppure di un film che gioca nel campionato dei blockbusters: tre ore in cui ci sono discorsi da seguire, digressioni sulla quinta dimensione, citazioni a Solaris e 2001: Odissea nello Spazio e un’idea di spettacolarità che se paragonata a quella di Transfomers possiamo tranquillamente descrivere come minimale. Un altro cinema popolare è possibile. Ed è solo merito di Christopher Nolan.