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Viaggio alla CriptoMecca

Reportage da Bitcoin 2022 di Miami, il più importante evento dedicato alle criptovalute, tra tori robotici, vulcani finti, speculatori e rivoluzionari.

di Giulia Ricca

L'exhibition hall dell'edizione 2022 della Bitcoin Conference di Miami (Foto di Marco Bello/Getty Images)

Il mese scorso è uscito su Harper’s un lungo reportage sulla North American Bitcoin Conference, l’evento annuale più importante per tutta la comunità Bitcoin. Il giornalista, Will Stephenson, era andato all’edizione di giugno 2021 perché durante la pandemia aveva iniziato a investire in bitcoin e a interessarsi alla natura di questa forma di denaro. Secondo il suo racconto, dopo aver passato del tempo dentro la convention con quelli che in gergo si chiamano “shitcoiners” (approfittatori che promuovono altre criptolvalute senza fondamentali), dopo un’intervista a Michael Saylor (Ceo di una compagnia che sta convertendo tutto il suo capitale in bitcoin) e una corsa in macchina nel traffico di Miami con il fondatore del gruppo subreddit WallStreetBets, Stephenson si è ritrovato, l’ultima sera, a fissare depresso il suo bicchiere di whisky a un’asta di Nft, e in quel momento, percependo ormai solo decadenza e cinismo intorno a sé, ha concluso di doversi disfare di tutti i suoi bitcoin. Ed è vero, la Bitcoin Conference ormai attrae molti speculatori. La maggior parte delle persone che popolavano l’edizione di quest’anno, però, erano bitcoiner puristi che, proprio come Stephenson, con i promotori di Chupacabra Coin e con le aste satelliti di Nft non vorrebbero mai avere nulla a che fare.

Bitcoin 2022 si è tenuta a Miami Beach dal 6 al 9 aprile, nei circa 130.000 metri quadrati del Convention Center. Venticinquemila persone si sono sparse tra i quattro stage, un’area verde esterna e una Expo Hall con centinaia di stand che esponevano, tra le altre cose, apparecchiature per il mining e kit per configurare il proprio nodo Bitcoin, un piccolo computer che ospita e sincronizza una copia dell’intera blockchain. All’entrata della Expo Hall c’era la riproduzione di un vulcano (di cui Bloomberg ha pubblicato una foto dove una addetta alle pulizie gli passa intorno lo swiffer nel padiglione ancora vuoto, facendolo sembrare piuttosto, così spento e in mezzo a quella desolazione, un gigantesco escremento. In realtà, nei giorni dell’esposizione, era circondato da palme verde brillante ed emetteva fumo e finta lava illuminata). Davanti al Convention Center è stata inaugurata la statua di un toro robotico, versione cyborg del Charging Bull di fronte allo Stock Exchange di Manhattan. Alla vigilia della convention ogni persona in qualsiasi hotel o locale, in farmacia o al supermercato, portava il braccialetto pass o una maglietta dell’evento, e quella invasione surreale di bitcoiner faceva dubitare che in un giorno qualunque, senza conferenza, South Beach potesse sembrare vuota come una ghost town.

Il Charging Bull robotico (Foto di Marco Bello/Getty Images)

Alcuni, ancora traumatizzati dalla lunga coda sotto il sole dell’anno precedente, quando il tutto era stato fatto in un’altra location nel quartiere di Wynwood, si sono svegliati alle 6 del giovedì mattina per non perdersi il discorso di apertura. Ma è stato piuttosto semplice stavolta accedere al Nakamoto stage, la sala principale con una capacità di 15.000 posti, tre maxischermi che proiettavano gli speaker, altri schermi su cui passavano citazioni dello pseudonimo inventore del protocollo Bitcoin Satoshi Nakamoto, e un impianto audio da club che faceva partire musica dopante durante gli intervalli. Miles Suter, portavoce di Cash App, lo sponsor principale di Bitcoin 2022, ha raccontato come il disincanto verso il mondo della finanza tradizionale, in cui lavorava nel 2011, lo spinse a partecipare a Occupy Wall Street e a farsi licenziare, e come allora vide in Bitcoin un’alternativa alla portata di tutti, non tanto degli hedge fund o delle grandi istituzioni quanto di chi ha bisogno di fuggire da guerre o Stati autoritari o subisce una violenta inflazione locale. «Questa roba cambierà davvero il mondo», ha detto poche ore dopo sullo stesso palco Michael Saylor durante una conversazione con Cathie Wood, Ceo di una nota società di gestione di investimenti e grande sostenitrice di Bitcoin. A tratti, il pubblico del Nakamoto stage era preso da attacchi di follia. Qualcuno dietro di me si alzava per urlare «LET’S GO CATHIE!!» mentre tutti perdevano la testa per Saylor che, sorridendo solo con i denti e senza muovere il resto della faccia, ricordava che tutti lo chiamavano pazzo ogni volta che faceva acquisti da milioni di dollari in bitcoin. «È il primo sistema monetario globale, aperto, non controllabile da governi, privato e digitale nella storia del mondo, e sarà una lunga e bella corsa», ha specificato Wood dolcemente, facendo gesti rassicuranti con le mani.

Negli altri stage si articolavano idee con meno frenesia. Insieme a un amico miner (che ha investito in computer per produrre bitcoin) ho seguito un panel dove si affrontava la questione del consumo di energia di Bitcoin e si parlava della possibilità di utilizzare rinnovabili per il mining. «Non tutti sanno davvero come funziona l’energia», mi ha detto il mio amico mentre visitavamo un «mining museum» nella Expo Hall, «molte mining farms in America riutilizzano il gas sprecato dalle industrie come fonte di alimentazione. Bisognerebbe “orange pill” qualche ambientalista senza preconcetti» (“orange pill” qualcuno significa fargli inghiottire la pillola arancione, cioè la conoscenza di Bitcoin).

I bitcoiner credono che un denaro incensurabile e inconfiscabile sia un valore superiore al costo sacrificato per produrlo. Bitcoin non è solo «numbers go up» (il prezzo che sale) ma anche «freedom goes up», ha detto Alex Gladstein di Human Rights Foundation prima di intervistare Yeonmi Park, Farida Nabourema e Fadi Elsalameen, tre attivisti provenienti rispettivamente dalla Corea del Nord, dal Togo e dalla Palestina. «Se voglio mandare un bonifico a mia madre, che vive a Hebron», ha spiegato ad esempio Fadi, «devo preoccuparmi del governo statunitense e del governo israeliano, che potrebbero pensare che io stia mandando quel denaro per le ragioni sbagliate, e delle autorità palestinesi, che in passato hanno minacciato di uccidermi per la mia attività politica, e che potrebbero congelare il conto in banca o andare a prendere mia madre per interrogarla. Con Bitcoin la stessa cosa si può fare in pochi minuti senza subire l’oppressione di nessuno».

Un “crossover” tra la maschera di Guy Fawkes di Anonymous e il simbolo di bitcoin (Foto di Marco Bello/Getty Images)

Certe giurisdizioni, come lo stato di El Salvador e la città di Lugano, hanno reso Bitcoin valuta legale, e ora ci sono proposte per il Messico. Secondo molti bitcoiner sono passi importanti ma contraddittori, perché bisogna evitare che nel lungo termine l’avvicinamento a Bitcoin, una rete strutturalmente anarchica grazie alla ferrea regolamentazione del suo codice, si comprometta con il potere politico. Ne ha parlato Giacomo Zucco, bitcoiner nostrano apprezzato dalla comunità internazionale per il suo lavoro di educatore. «Chiamate il vostro senatore e chiedetegli di bannare Bitcoin», ha detto Giacomo, che si è presentato al panel indossando un cappellino verde militare con la scritta fosforescente “toxic” (un “toxic maximalist” è qualcuno che difende Bitcoin a costo di dimostrarsi intollerante verso chiunque o qualunque cosa attacchi il network).

A fine giornata ho ricevuto una notifica sul telefono che mi avvertiva di tornare nel Nakamoto stage per un annuncio che sarebbe stato ancora più grande di quello dell’anno precedente, quando Nayib Bukele aveva comunicato al mondo che Bitcoin sarebbe diventato legal tender in El Salvador. Sul palco Jack Mallers, un «normale bitcoiner», «solo un ragazzo», come ha detto di essere, in felpa e cappellino che gli nascondeva gli occhi, ha rivelato che grazie a delle partnership tra il maggiore gestore di pagamenti Pos, il più grande provider di pagamenti alternativi e la app per pagamenti Strike che si appoggia al network Bitcoin, entro quest’anno si potranno fare acquisti negli Stati Uniti tramite lightning network, il “layer 2” costruito su Bitcoin che rende possibili transazioni istantanee, private e peer to peer senza commissioni. Niente più carte di credito, niente più intermediari, per la prima volta dal 1949. Ne ho parlato la sera in un bar con il mio amico miner, ci chiedevamo se questo porterà più gente a voler studiare Bitcoin. «Ma è come la Rivoluzione francese», mi ha detto lui, «per cambiare le cose possono bastare poche persone ostinate».

Alcune di queste persone sono nate più o meno insieme a Bitcoin, come Autumn Domingo e Ishaana Misra, due ragazze di 17 e 14 anni che hanno parlato venerdì pomeriggio sul Nakamoto stage. Si erano presentate per la prima volta a febbraio a New York a un BitDevs, un seminario in cui si discutono novità e aspetti tecnici riguardanti Bitcoin, come due liceali che avevano fondato una community, Generation Bitcoin, per diffondere la conoscenza di Bitcoin fra i teenager. Ora Ishaana, che stava già sviluppando un suo wallet, un software per ricevere e inviare bitcoin, è diventata la più giovane contributor al Bitcoin core, il codice open source del protocollo. Si sono offerti di aiutarla a programmare gli organizzatori del BitDevs, che ho visto emozionarsi al successivo seminario di marzo mentre davanti a tutti consegnavano a lei e ad Autumn una scatoletta colorata contenente un nodo Bitcoin da mettere a scuola: per dei toxic maximalist, un gesto d’amore verso chi riceve il dono e verso l’intero network.