Attualità

Bentornato, Dave Chappelle

Due special su Netflix segnano il ritorno del comico che mescola cultura pop e profondità, una delle voci centrali del panorama culturale americano.

di Nicola Bozzi

Dave Chappelle é tornato. Chi lo segue sa che i due nuovi special arrivati da poco su Netflix, registrati rispettivamente ad aprile 2015 e marzo 2016, sono in realtà la prova che il comico nativo di Washington non era proprio scomparso. Di fatto, sta continuando a fare quello che sa fare meglio: la stand-up. Al culmine di una crisi paranoico-esistenziale che l’aveva allontanato da Comedy Central e da Chappelle’s Show, il programma di sketch comedy che l’ha reso un personaggio mainstream e oggetto di culto, nel 2005 Dave si era autoesiliato dallo show business. Un anno dopo si era concesso un classico momento-Oprah: davanti a un pubblico diverso dal proprio aveva spiegato come mai avesse rifiutato un contratto da 50 milioni di dollari quando si trovava al vertice della fama, per fuggirsene in Africa prima e in Ohio poi. «Facevo sketch divertenti», spiegava alla De Filippi di oltreoceano, «ma erano socialmente irresponsabili».

Per chi non lo sapesse, Chappelle e il suo amico/collega bianco Neal Brennan erano riusciti a creare una formula inedita nel panorama televisivo statunitense. I loro sketch combinavano un linguaggio leggero e parodistico, ricco di riferimenti alla cultura pop afroamericana, con una certa profondità storico-satirica su temi socialmente scomodi come schiavismo e crack. Non solo spot finti come il servizio di consulenza finanziaria dei Wu Tang o gli assorbenti Roc-A-Fella, quindi, ma anche la serie “When Keeping It Real Goes Wrong” (sulla logica controproducente del “fare brutto” imposta dagli stereotipi della mascolinità nera) o il leggendario mockumentary su Clayton Bigsby, suprematista bianco non vedente che non sa di essere nero.

Dave Chappelle Performs At Radio City Music Hall

Ma al fattore “conscious” comune a colleghi come Chris Rock, per esempio, il Chappelle comico aggiunge una dimensione personale e paranoica, che potremmo definire “self-conscious”, per utilizzare un termine poco traducibile che si riferisce a quell’insicurezza dovuta a un’eccessiva attenzione alla propria presenza in una determinata situazione. Quando Dave si preoccupava del modo in cui la gente rideva dei suoi sketch, o si rifiutava di farsi vestire da donna, c’era sì una certa insicurezza, ma anche una dose di consapevolezza del proprio ruolo nel panorama culturale americano. Il conflittuale rapporto della società americana con le celebrità di colore, infatti, è un aspetto fondamentale della comicità di Chappelle, e non solo nella personale vicenda del suo abbandono televisivo. Se uno degli sketch più iconici di Chappelle’s Show era l’imitazione di un Rick James decadente e sguaiato («I’m Rick James, bitch»), nella stand-up Dave é evidentemente affascinato da figure quasi oltre il limite della redenzione come Michael Jackson, O.J. Simpson, R. Kelly o Bill Cosby. Da star afroamericana, Chappelle ha un contatto e un’empatia diversa con questi personaggi, che in alcuni casi ha conosciuto di persona, ma le sue riflessioni hanno il pregio di spaziare dall’umano al sociale, senza perdere la connessione tra le due cose. Più che fare sconti sulle colpe reali o presunte (anche se in alcuni casi lo fa), Dave si concentra sullo scrutinio mediatico che le accomuna, soprattutto in relazione al colore della pelle dei protagonisti.

Age of Spin, uno dei due nuovi special, é impostato strutturalmente proprio sulle due celebrità piú controverse: O.J. Simpson e Bill Cosby. L’ex attore e giocatore di football, la cui assoluzione dall’omicidio della moglie è stato uno dei casi mediatici e giudiziari più polarizzanti nella cultura pop americana, viene trattato da Chappelle quasi con un interludio, tramite una serie di aneddoti che raccontano le quattro volte in cui i due si sono incrociati. Se O.J. era inizialmente una figura da ammirare, nell’ultimo incontro è diventato la classica star maledetta, una figura così scomoda che Dave, con una carriera già fragile di suo, preferisce non apparire in una foto con lui. Bill Cosby rappresenta invece l’asse più serio dello special, evocato inizialmente (spoiler alert) in una delle punchline più efficaci – «mentre in America si lottava e si conquistavano i diritti civili, le donne si emancipavano, Kennedy e Martin Luther King venivano assassinati e, insomma, la società cambiava, Bill Cosby stuprava 54 persone» – l’ex dottor Robinson riceve credito almeno per la propria eredità culturale: il primo nero a vincere un Emmy, il primo a fare un cartone animato con personaggi afroamericani con labbra e nasi proporzionati, il primo a consultare uno psicologo per evitare che ci fossero immagini negative dei neri nel proprio show (cosa che, scherza Dave, non si poteva certo dire del suo).

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Se il momento più serio di For What It’s Worth, special del 2004, partiva da un commento frivolo sul video di R. Kelly che piscia su una fan quindicenne per arrivare a riflettere su un giovane afroamericano della stessa età, incarcerato a vita per aver ucciso un amico in un incidente di wrestling («Se pensi che vada bene dargli l’ergastolo, penso debba essere legale pisciarci sopra»), anche in Age of Spin il comico unisce contingenze pop a contesti storico-sociali, sospendendo l’amarezza del giudizio umano individuale per una visione più ampia e collettiva.

La forza di Chappelle, come autore e come performer, sta infatti nella sua doppia velocità: é bravo sia a fare il cazzone che a interpretare quello serio. Se un Chris Rock in fase matura adotta posture e tempi quasi da gospel, Chappelle se la gioca molto di più sulle pause e su quella risata tutta sua in cui si piega in due e si batte il microfono sul ginocchio, un gesto che la prima volta sembra casuale ma che é di fatto la sua firma. Questo carisma tongue-in-cheek gli permette di fare uscite politicamente scorrette (ce ne sono tante in Age of Spin: gay, trans, aborto, persino i vaccini vengono approcciati in maniera potenzialmente imbarazzante per il pubblico Millennial) con conseguenze relativamente moderate dal punto di vista della critica. Durante il decennio abbondante della propria semi-assenza Dave Chappelle ha visto emergere una nuova generazione di comici afroamericani – Donald Glover, Hannibal Buress, W. Kamau Bell, e ovviamente il colosso di popolarità Kevin Hart – ma al netto del gap generazionale, e forse proprio per quello, l’ex enfant prodige di Comedy Central resta una voce degna di essere ascoltata.