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Michael Barbaro, il genio del podcast

Perché gli americani – e non solo – si sono innamorati del conduttore di The Daily.

di Simone Torricini

Michael Barbaro durante un'intervista con Seth Meyers, Maggio 2017. (Photo by Lloyd Bishop)

Per chi avesse mai avuto dei dubbi sull’umiltà professionale di Michael Barbaro – la pronuncia, a scanso di equivoci, è barbàro – c’è un tweet in particolare utile a fugarli una volta per tutte. «Il motivo per cui The Daily funziona così bene», ha scritto lo scorso mercoledì il giornalista, da quindici anni al New York Times e oggi conduttore del podcast del quotidiano, «non è il suo host, come chi ne scrive sostiene di solito, ma l’incomparabile talento e dedizione dei suoi editor e dei suoi produttori». Il riferimento, con tanto di link a fare da ammonizione, era ad un articolo del New York Magazine che consisteva in sintesi in un elogio a cuore aperto nei suoi confronti. Elogio in cui, per forza di cose, veniva tenuta in secondo piano la squadra – oggi formata da decine di persone – che contribuisce alla realizzazione dello show, e che per questo a Barbaro proprio non è andato giù.

Chi si intende di team building ne loderà l’iniziativa, ma carinerie permettendo bisogna ammettere che se il podcast ha raggiunto la popolarità di cui gode oggi la ragione va ricercata anzitutto nella passione, nell’ordinarietà, nell’empatia e nella voce del suo conduttore. Un paio di dettagli sono sufficienti per capire in che senso The Daily sia una cosa riuscita: prima di tutto è il podcast di news più ascoltato al mondo, con oltre due milioni di download giornalieri di media, e secondo garantisce al NY Times ricavi pubblicitari inimmaginabili per molti altri format dell’industria dei media. I dati precisi non sono disponibili, ma il giornalista di Vanity Fair Joe Pompeo ha scritto che gli è capitato tra le mani un documento che attestava l’offerta di una nota azienda disposta a pagare 290mila dollari al mese per essere inserita nelle rotazioni degli sponsor. E nessuno lo ha smentito.

«Il podcast è un media molto intimo», scriveva Matthew Schneier nel pezzo del NY Mag, quello che Barbaro ha stroncato sulla pubblica piazza. «La sua vita e la sua morte dipendono dal conduttore». E in fin dei conti, ci scuserà di nuovo l’interessato, è davvero difficile dare torto a Schneier; soprattutto alla luce di una concorrenza sul news podcasting che negli ultimi due anni si è fatta competitiva, ma non ha neanche lontanamente intaccato il primato del The Daily, pioniere della categoria. Il Financial Times è sul mercato con il suo FT News Briefing da Ottobre 2018; il Guardian ha lanciato Today in Focus appena un mese dopo; a Gennaio 2019, via Economist, è arrivato anche The Intelligence. E se il podcast del NY Times non si lascia avvicinare non è certo per demeriti altrui. Non solo quelli appena citati sono concorrenti validi: in certi aspetti, alcuni soggettivi come lo stacchetto musicale all’inizio, ed altri incontestabili come la completezza dell’infarinatura sui fatti del giorno, sono persino superiori al The Daily. Che però al posto dei pure eccellenti Marc Philippino o Jason Palmer ha lui, Barbaro, e quella finissima sensibilità che ci fa sentire a casa come pochi podcast sanno fare.

Il taglio dello show, per tre quarti notizia e per uno intrattenimento, fa sicuramente la sua parte. In una intervista di un anno e mezzo fa, spiegando che genere di giornalismo volessero fare al NY Times con The Daily, Barbaro parlava così: «Ogni fatto ha al suo interno una dimensione narrativa. Noi vogliamo raccontare storie che abbiano una loro anima attraverso un viaggio emotivo». Il tono fin troppo solenne con cui descrive il suo lavoro non rende forse giustizia alla cura e allo scrupolo con cui affronta i temi del giorno, ma è il manifesto del perché il suo podcast è così speciale. «The Daily is companionable, confiding and congenial», scriveva Rebecca Mead sul New Yorker. «Non offre solo fatti, ma emozioni». E il merito, senza voler nulla togliere ai giornalisti che periodicamente ne prendono parte, è della simbiosi che fin da subito si è venuta a creare tra il concept del podcast ed il suo artefice.

Prima dell’arruolamento come conduttore Barbaro era una firma di punta del NY Times e aveva da poco terminato la copertura delle elezioni del 2016. Durante le quali, tra uno scoop e l’altro, era passato alle cronache a sua volta dopo che Donald Trump ne aveva invocato il licenziamento. La sua storia come conduttore di The Daily è quindi recentissima – lo show compirà tre anni il prossimo 1 Febbraio – e fa un certo effetto osservare quanto popolare sia diventato il suo nome in un arco di tempo così ristretto. Sotto al tweet in cui sottolineava l’importanza del lavoro di squadra, ad esempio, si è radunata una schiera di ascoltatori che ha completamente ignorato l’accento che aveva accuratamente posto sul lavoro dei suoi colleghi, e si è di contro cimentata in una profonda analisi di gruppo sul modo (effettivamente fantasioso) in cui Barbaro ne pronuncia nomi e cognomi.

Michael Barbaro sul palco in occasione della 22esima edizione degli Annual Webby Awards al Cipriani Wall Street, New York, Maggio 2018. (Photo by Andrew Toth)

Chi li ascolta, Barbaro e il podcast, ne fa quasi un oggetto di culto. Spendere quei venti, venticinque minuti al giorno in sua compagnia è diventata una pratica quotidiana per molti, e quei molti sono cresciuti e hanno iniziato a riconoscerlo e a fermarlo per strada, e hanno giurato che era esattamente come se lo immaginavano, ha scritto Schreier sul NY Mag (sottointendendo, viene da pensare, che avevano riflettuto con una certa intensità sul suo aspetto). Su YouTube c’è persino una versione remix dei suoi cliché più classici: «From the New York Times, I’m Michael Barbaro», «This. Is The Daily», «We’ll be right back», e «It’s. Monday. November 4th» (o qualunque altra data). Se lo avete ascoltato ammetterete di aver tentato (e fallito) di scimmiottarlo, almeno una volta.

Barbaro è insomma diventato una sorta di celebrità del giornalismo americano, a tal punto che da qualche tempo quando viene intervistato la sua vita privata interessa tanto quanto il suo lavoro. In una recente conversazione con l’Hollywood Reporter, ad esempio, la prima domanda che gli è stata fatta riguardava il suo rapporto con Lisa Tobin, una delle produttrici del The Daily e da un paio di anni, dopo il divorzio di Barbaro dal marito Timothy Levin, anche la sua compagna.

Se esiste un culto di Michael Barbaro è perché senza conoscerlo, e anche senza avere la benché minima idea del suo aspetto, infonde un fascino a cui senza sforzo non si resiste. «È come un amico modesto, ben informato, sensibile e divertente», ha scritto Mead sul New Yorker, cogliendo il nocciolo della questione. È intelligente, ma non un saputello: ai suoi ospiti – i giornalisti del NY Times esperti delle varie storie di cui The Daily di volta in volta parla – fa spesso domande semplici, domande che faremmo tutti noi. Si ha la percezione che a differenza di altri Barbaro non ci farà mai sentire inadeguati. Ci spiegherà o ci farà spiegare le cose in un clima familiare, in maniera chiara e concisa, con la cura e le attenzioni che ci aspetteremmo da una persona che ci vuole bene, da un padre o da un nonno. Non certo, per quanto brillante e innamorato del suo lavoro, dal conduttore di un podcast di news.