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Chimamanda Ngozi Adichie ha recensito l’autobiografia di Obama

«Barack Obama è uno scrittore eccellente», lo scrive Chimamanda Ngozi Adichie sul New York Times, recensendo l’autobiografia dell’ex presidente degli Stati Uniti, A promised Land, che in Italia arriverà il 17 novembre, per Garzanti. Non si tratterebbe solo di un libro di memorie – come ci si aspetta – ma di una lettura piacevole, quasi romanzesca, «con una prosa splendida in alcuni punti, con dettagli vividi impressionanti». Secondo la scrittrice nigeriana autrice di L’ibisco viola, lo stile di Obama sarebbe «leggero e sicuro», come se fosse abituato a fare lo scrittore da sempre.

«Il suo obiettivo è più politico che personale, certo, ma quando scrive della sua famiglia è di una bellezza tale che ti fa provare nostalgia. C’è la figlia Malia, con lui che le infila la sua prima calzamaglia da balletto. La risata della piccola Sasha mentre lui le mordicchia i piedi. Il respiro di Michelle che rallenta quando si addormenta contro la sua spalla». La scrittura di Obama, secondo l’autrice, avrebbe qualcosa di estremamente tradizionale, con i tropi tipici dell’autobiografia, ma nonostante questo si distanzia da tutte quelle che potremmo assimilare alla sua, come le autobiografie di personaggi dello spettacolo e politici, «è leggerissima ed elegante. Per dirla come un membro dello staff della sua campagna come senatore per l’Illinois, l’immagine è quella di un tiro di sigaretta, quando si manda il fumo in alto, con un soffio sottilissimo verso il soffitto». E poi c’è la tensione, l’incontro con i rappresentati della Cina durante un vertice per il clima «che assomiglia a un pezzo di narrativa noir».

«Il suo linguaggio ha una ricchezza immaginativa incredibile. C’è un romanticismo, una corrente quasi malinconica nella sua visione letteraria in grado di delineare vere fotografie», come quando racconta di Oslo, guarda fuori per vedere una folla di persone che sorreggono le candele tremolanti nel buio, e lui sente che questo lo commuove più della stessa cerimonia del Premio Nobel per la Pace che avrebbe ritirato dopo qualche ora. Non solo. Il libro sarebbe stato per Obama anche l’occasione di un’attenta autoanalisi, con una feroce autocritica: «Sia come politico che come uomo. Riconosce le sue mancanze come marito, piange i suoi errori e rimugina ancora sulla scelta delle parole durante le prime primarie democratiche». Oltre alla prosa, anche a livello contenutistico il libro sarebbe incredibile per alcune piccole ma interessantissime rivelazioni, come la storia della nascita del motto “Yes we can”: «Era un’idea che Obama considerava banale, fino a quando Michelle non ha detto “e invece potrebbe funzionare proprio per questo, fidati di me”».