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Le immagini libere di Agnès Varda

È morta oggi a novant’anni la regista belga che prima di essere icona è stata una delle inventrici della Nouvelle Vague.

di Mattia Carzaniga

Agnes Varda a San Sebastian in Spagna il 24 settembre 2017 (foto di Carlos Alvarez/Getty Images)

I venerati maestri – ultimo stadio della triade arbasiniana che tutti conosciamo, prima vengono la giovane promessa e il solito stronzo – spesso si rivelano dei vecchi tromboni. Il passo è breve e l’hanno compiuto in tanti, registi scrittori attori e registe scrittrici attrici che si ritrovano in veneranda età a pontificare, un po’ perché fisiologicamente va così, un po’ perché quello è il ruolo che viene loro assegnato, statue di carne fragile che ci spiegano il senso della vita. Non è sbagliato, ma è un film già visto. Agnès Varda ha scritto un film tutto diverso, è morta oggi a novant’anni senza diventare mai una vecchia trombona, e forse neppure una venerata maestra. Era ancora una regista-ragazza, di quelle che non hanno un coccodrillo pronto nelle redazioni del mondo: paiono ancora troppo pimpanti per un necrologio.

Lei sull’età ci scherzava, l’anno scorso venne alla Fondazione Prada a presentare il magnifico Visages villages, pensato e girato insieme all’artista übercool JR, e raccontò: «Lui, quando lavoriamo, mi fa correre, mi fa salire le scale, non mi aspetta come si fa con le anziane signore: se non gli vado dietro svelta, sbuffa». E questa cosa le piaceva moltissimo. Giovanissimo era appunto il suo cinema, e valga come esempio proprio questo viaggio nella provincia francese libero e leggero, politico senza proclami, femminista senza pedanteria, ma con lo spirito di una che le cose le ha cambiate con il lavoro, lo sguardo, il caschetto mezzo rosso e mezzo bianco, vezzo da icona inconsapevole o forse no. Dei due registi, lei era la più vispa, il fotografo-installatore JR al contrario molto più serioso e vezzoso, proprio perché era nel pieno dei suoi trent’anni e non verso il secolo di vita.

Agnès Varda, prima che essere icona ma con ironia, sciura in Gucci ovviamente dell’era Alessandro Michele, gattara consapevole, Oscar alla carriera assai tardivo (l’anno scorso, il suo sponsor era Angelina Jolie), è stata una delle inventrici della Nouvelle Vague, e tanto sarebbe bastato a renderla, col tempo, una maestra veneratissima, unica donna ammessa nel club dei Godard e dei Truffaut, autrice di indimenticati film come Cléo dalle 5 alle 7, e Il verde prato dell’amore, e Les créatures, oggi documenti di quegli anni Sessanta pieni di libertà e invenzione, e ovviamente di politica, c’era la contestazione, c’era il Vietnam, c’erano i diritti delle donne, e i registi ci si buttavano dentro. Insieme alla finzione c’era il documentario, non per niente prima che autrice di film Agnès – anzi Arlette, il nome di battesimo cambiato forse per vanità – era stata fotografa, e col tempo le due cose si sono mischiate fino a raggiungere quel misto che era solo il cinema di Varda, sospeso in una dimensione che non era né realtà né immaginazione, forse la sua coscienza in cui ci portava con la grazia di una signora che ti riceve dentro casa.

Viaggi in giro per il mondo, un tentativo di carriera americana presto abortita, i grandi premi (nell’85 il Leone d’oro a Venezia per il disperatissimo Senza tetto né legge), celebri amicizie coi belli e scandalosi dell’epoca, Jim Morrison pianto molto presto e Jane Birkin (le dedica a fine anni Ottanta la docufiction Jane B. par Agnès V.), e una turbolenta vita sentimentale, prima una figlia non riconosciuta dal padre, erano amori tra artisti, poi un marito anche lui promessa e poi stronzo e poi maestro ma con levità, cioè Jacques Demy, autore del più bel musical di tutti i tempi (o quasi, ma certo sta nella top 3): Les parapluies de Cherbourg, 1964, con Catherine Deneuve stupenda ombrellaia che s’innamora del meccanico del paese. Varda e Demy, due espressioni completamente diverse nel ribollire filmico degli anni Sessanta francesi, ma quanto cinema ugualmente grande in una sola coppia.

Quest’anno a Berlino è passato il suo film-testamento, si capisce fin dal titolo: Varda par Agnès. Ma, a proposito di quella storia del non aver mai voluto essere una venerata maestra, vale ancora di più un capitolo tenerissimo di Visages villages. Agnès e JR sono dalle parti del paesetto sul lago svizzero dove vive Jean-Luc Godard, con lui c’è un appuntamento dopo anni di lontananza, lei va alla porta e trova un biglietto in codice, lui non c’è o forse si nega, ma secondo me è in casa, pensa lei, perché fa così, perché fugge dall’amica e collega di un tempo, ormai siamo due anziani signori, non c’è più bisogno di tutto questo. Godard non lo vedrà probabilmente mai più, è questo che capisce. Godard lui sì vecchio simpatico trombone, lei ragazzina che se ne va sconsolata, ma scordandosi in un attimo il passato, c’è ancora futuro davanti.