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Chloe Malle è la nuova direttrice di Vogue Us Figlia dell'attrice Candice Bergen e del regista francese Louis Malle, dal 2023 era direttrice del sito di Vogue, dove lavora da 14 anni.
Anche la più importante associazione di studiosi del genocidio del mondo dice che quello che sta avvenendo a Gaza è un genocidio L'International Association of Genocide Scholars ha pubblicato una risoluzione in cui condanna apertamente Israele.
La standing ovation più lunga di Venezia l’ha presa The Rock Per il suo ruolo in The Smashing Machine, il biopic sul lottatore Mark Kerr diretto da Benny Safdie.
Il Ceo di Nestlé è stato licenziato per aver nascosto una relazione con una sua dipendente Una «undisclosed romantic relationship» costata carissimo a Laurent Freixe, che lavorava per l'azienda da 40 anni.
La turistificazione in Albania è stata così veloce che farci le vacanze è diventato già troppo costoso I turisti aumentano sempre di più, spendono sempre di più, e questo sta causando gli ormai soliti problemi ai residenti.
Nell’assurdo piano di Trump per costruire la cosiddetta Riviera di Gaza ci sono anche delle città “governate” dall’AI Lo ha rivelato il Washington Post, che ha pubblicato parti di questo piano di ricostruzione di Gaza che sembra un (brutto) racconto sci-fi.
Stasera La chimera di Alice Rohrwacher arriva per la prima volta in tv, su Rai 3 Un film d'autore per festeggiare l'apertura della Mostra del Cinema di Venezia 2025.
Emma Stone, che in Bugonia interpreta una donna accusata di essere un alieno, crede nell’esistenza degli alieni E ha spiegato anche perché: lo ha capito guardando la serie Cosmos di Carl Sagan.

Giornali: buone notizie

I due grandi giornali americani vivono un momento di rilancio (anche grazie a Trump): le lezioni di New York Times e Washington Post.

26 Luglio 2017

Recentemente ho avuto la piacevole opportunità di chiacchierare con Mark Thompson, Ceo del New York Times dal 2012 e già Director General della Bbc. L’occasione è stata la presentazione dell’edizione italiana del suo libro, pubblicato da Feltrinelli, sulla presunta fine del dibattito pubblico, una solida ricostruzione storica sui linguaggi condivisi della politica, della società e dei media. Media che ovviamente, visto il ruolo ricoperto da Thompson, sono stati uno dei principali argomenti della nostra breve conversazione. «Al New York Times» – ha raccontato Thompson – «sul tema del modello di business da adottare, abbiamo una tesi molto definita: investire nel giornalismo di qualità ti dà la possibilità di trovare lettori impegnati e clienti disposti a pagare. Siamo arrivati a due milioni di abbonati digitali globali, che si vanno aggiungere al milione dell’edizione cartacea. Io credo che possiamo arrivare tranquillamente a dieci milioni. Crediamo che avere fiducia in un pubblico che ha fame di capire cosa succede nel mondo e avere il coraggio di investire nella qualità di quello che fai sia il miglior business model possibile».

I numeri ufficiali pubblicati sembrano effettivamente dargli ragione: i nuovi abbonati digitali nel solo ultimo trimestre del 2016, secondo quanto diffuso dallo stesso quotidiano, sono stati 276 mila, più di quelli del 2013 e del 2014 messi insieme. A cosa si deve questa tendenza positiva? Gli analisti, per riassumere velocemente discorsi altrimenti complessi e appassionanti solo per gli addetti ai lavori, individuano due grandi cause: da una parte un 2016 storico e portatore di instabilità e grandi novità in campo politico, dalla Brexit all’elezione di Trump soprattutto; dall’altra al miglioramento costante del livello dei contenuti e dei prodotti offerti dalle testate più autorevoli. L’effetto Trump è fuori discussione: si pensi a quello che ha rappresentato dalle presidenziali americane fino alle ultime ore sulla scena pubblica americana e mondiale un brand come il Washington Post, capace di andare così a fondo nelle trame politiche del nuovo inquilino della Casa Bianca, da meritarsi, insieme al Times di cui sopra e alla Cnn, l’appellativo di «vera opposizione» da Trump in persona.

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La rinascita del WaPo, suggellata dai dati ufficiali che dicono che il giornale della capitale americana è tornato a fare utili nel 2016 dopo un decennio di declino costante, non parte con Trump. Parte nel 2013, con Jeff Bezos, il capo di Amazon, che lo acquista con una missione ben precisa: portare nella contemporaneità un marchio storico, calandolo nell’era digitale senza disintegrarne il fascino e l’autorevolezza, rendendolo attrattivo per le nuove generazioni senza spiazzare quelli più in là con l’età. Il messaggio di Bezos è stato “non si sbaracca, anzi, si rilancia”, conscio di una lezione appresa da Amazon con i libri: l’ossessione sono il lettore e la sua esperienza, di lettura, di intrattenimento, di acquisto, di affiliazione. Morale della favola, si legge in un comunicato ufficiale di fine 2016 a firma del Ceo del Washington Post Fred Ryan: «Stiamo assumendo dozzine di giornalisti nuovi; abbiamo visto cos’ha funzionato nel 2016 e stiamo investendo lì». Dove «lì» vuol dire: da una parte l’esperienza e le piattaforme “i video, l’esperienza da mobile”, e dall’altra il giornalismo di qualità, che resta il core business della ditta, con il potenziamento del team investigativo che tante soddisfazioni sta regalando a lettori e giornalisti.

A ottobre, di passaggio a Washington, ho avuto occasione di chiedere a uno storico e ancora attivo opinionista del Post stesso, uno di quelli che anagraficamente avrebbe tutto il diritto di interessarsi il giusto al digitale e ai modelli per il futuro, come procedeva con la gestione Bezos. «Benissimo», mi ha confessato, «del resto come vuoi sentirti quando una delle persone più ricche e intelligenti del pianeta si innamora di quello che fai e decide di investirci? Capisce il nostro lavoro e la nostra visione, e noi ci siamo messi sotto a capire il suo di lavoro e la sua di visione. Con entusiasmo e con umiltà. E credo che i lettori se ne stiano accorgendo». Pare proprio di sì. Una bella lezione per tutti.

Dal numero 31 di Studio, in edicola
Immagini Getty Images
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