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Una meravigliosa stagione fallimentare

È un documentario sull'annata 2013-14 del Bari, anzi della Bari, diventata femminile per una vecchia questione. Una stagione senza stipendi, a un passo dal fallimento, che diventa una pazzesca rincorsa alla Serie A.

10 Febbraio 2015

«Mai pensando una cosa simile». Il senso di Una meravigliosa stagione fallimentare è qui, nel suono un po’ sgrammaticato di una sorpresa, nel tempo progressivo in cui i fatti succedono, mentre se ne parla.

L’espressione è di uno dei personaggi del film, nonché uno dei protagonisti della storia che il film racconta, ma potrebbe essere di chiunque, dentro e fuori la pellicola, in campo come davanti allo schermo di una sala. «Mai pensando una cosa simile» è un inno all’imprevedibilità del calcio, il manifesto di un pallone anarchico in cui i risultati sfuggono ai pronostici, le prestazioni dopano i talenti, le emozioni contagiano le simpatie. Una meravigliosa stagione fallimentare torna indietro nel calcio per superarlo. Non parla del “calcio di una volta” ma neanche del “calcio moderno”, il suo è il calcio di una volta in salsa post moderna. Un calcio in cui cadono le sovrastrutture e rimane il gioco, in cui saltano i palinsesti e rimane lo spettacolo: puro, aperto, no stop, senza filtri, virale. È un film in cui le premesse e le conseguenze contano più dei fatti raccontati. Una storia in cui ogni senso è ribaltato: i fallimenti diventano meravigliosi, i perdenti diventano eroi, i depressi diventano entusiasti, il calcio diventa cinema.

Qualcuno ricorda la storia del Bari 2013-2014. Un club senza soldi, penalizzato perché non pagava gli stipendi, senza pubblico perché da anni i tifosi avevano annunciato che fino a quando ci sarebbero stati i Matarrese allo stadio non ci sarebbero andati più. Poi una squadra senza speranze, senza possibilità. Le premesse di questa storia parlano di una “grande piazza” del calcio mai davvero diventata tale e di una città del Sud che si sentiva forte ma il cui talento non era mai sbocciato – e non certo per colpa sua, diceva.

Parla di una squadra di giovani calciatori rimasti orfani di una società senza soldi e stimoli, e di una tifoseria in parte depressa, in parte ferita, in parte abituata a cercare altrove soddisfazioni, vittorie e trofei da alzare. Ruota attorno al fallimento e alla contemporanea capacità di creare un fenomeno grazie ai social network: #compratelabari è stato un caso andato probabilmente al di là delle aspettative di chi l’ha creato. Daniele Sciaudone, Enrico Guarna, Marino Defendi, Christian Galano: nomi che dicono nulla al mondo, ma che hanno detto tutto a una città e alla sua gente. Perché i fatti di questa storia dicono che Bari e la Bari, la città e la squadra in cui queste premesse negative abitavano, l’anno scorso hanno sfiorato la Serie A, dopo una cavalcata incredibile dagli ultimi posti in classifica alla semifinale playoff di B. Fallita, senza soldi, salvata alla terza asta del tribunale ma vincente sul campo: punti su punti, in una folle alchimia che ha portato uno stadio vuoto a riempirsi, prima 25mila, poi 35mila, poi 40mila, poi 55mila spettatori. Un contagio collettivo, con il rientro dalle trasferte salutato dall’accoglienza ai giocatori all’aeroporto o alla stazione da parte di migliaia di persone. Una meravigliosa stagione fallimentare, appunto. Perché c’era gioia anche nelle sconfitte, perché vivere quei giorni è stato paradossalmente più importante del risultato che hanno portato con sé.

Le conseguenze, insieme ai fatti,  sono tutte raccontate nel docufilm prodotto da Dinamo Film, per la regia di Mario Bucci. Un’opera che ha riempito le sale pugliesi imponendosi per media spettatori nel box office nazionale, una pellicola che lunedì è arrivata al cinema Adriano di Roma e che mercoledì 11 febbraio sarà all’UCI Bicocca di Milano con un doppio spettacolo alle 20.30 e alle 22.30.  Un film che andrà al festival del cinema di calcio a Berlino.

Questo film parla di riscatto, di una città, di una squadra, di calcio e forse anche un po’ della vita e parla soprattutto di “priscio”. Ilpriscio è un entusiasmo, una febbre festosa e contagiosa.

Chi lo ha vissuto lo ha tifato, chi non ne conosceva la storia lo ha apprezzato, chi lo ha girato non si è ancora stancato di vederlo, chi come me lo ha scritto, ancora si chiede se sia nato prima il film o la sua storia, proprio come l’uovo, la gallina o il galletto.
Questo film parla di riscatto, di una città, di una squadra, di calcio e forse anche un po’ della vita e parla soprattutto di “priscio”. Il priscio è un entusiasmo, una febbre festosa e contagiosa, ed è la febbre che questa storia trasmette a chi la guarda, senza distinzioni di sciarpe, colori, passioni e accenti. Perché questa storia parla di Bari, del Bari diventato la Bari per una vecchia questione, sospesa tra maschile e femminile. Parla della Bari, allora. Ma non solo. È accaduta lì, ma sarebbe potuta accadere altrove. Il priscio è mai pensare una cosa simile.

Nell’immagine in evidenza, un frame del film

Una meravigliosa stagione fallimentare sarà proiettato a Milano mercoledì 11 febbraio, all’Uci Bicocca, alle 20:30 e alle 22

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