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Monaco ridens

A spasso nella capitale bavarese tra passato regale e presente tecnologico. E nel bel mezzo tanta acqua, il mito dell'Italia, una mostra sulla Mini con incesti anglo-tedeschi, anche sedi della Regione difficili da accostare alle omologhe laziali.

22 Gennaio 2015

Sei linee di metrò, nessuna presenza di blog e siti come “Monaco fa schifo” del tipo romano di sdegno, invece vagoni bianchi e azzurrini vintage con interni in finto legno come sui camper Hymermobil aspirazionali che qui si vedono nei boschi; e sedili e modanature di fòrmica come una Roma-Frascati vintage. E al più piccolo writer che azzarda un pennarello, vecchi signori spesso con bastone (molti zoppi e menomati, in questa metro bavarese, forse ancora reduci della seconda guerra mondiale? Ma son troppo giovani) emettono rimproveri silenziosi e efficaci. E nessun tornello, o cancello, e invece dei piccoli vidimatori di biglietti più che altro simbolici, e l’impressione però che i trasgressori saranno puniti non con «ammenda da 50 euro» come qui da noi ma con deportazione nella vicina Dachau (ci sono interregionali della DB perfetti, rossi, che ci vanno, puntualissimi, dalla Hauptbanhof).

Tanta acqua, sempre, in questa Baviera, con i ventidue laghetti uno più nero ed espressionista e inquietante dell’altro, e la rivalutazione dei nostri laghi lombardi e anche di quelli minori nel Lazio (mentre al ritorno per Fiumicino chiuso per allarme-bomba, il pilota Lufthansa fa un annuncio surreale, «atterreremo all’aeroporto di Campagnano», invece di Ciampino). Tanta acqua comunque anche in città, con questo fiume Isar che è un Danubio di serie un po’ B ma molto mitteleuropeo (parente dell’Isère francese e dell’Isarco italiano) incanalato in torrenti e scolmatori e rigagnoli, perfino nel centro governativo della capitalina, davanti ai palazzi della Regione, un cubone di cemento affacciato sull’Hofgarten: il giardinone all’italiana dove veniva a passeggiare la tremenda Maria di Prussia, madre di Ludwig II, il re abusivista che ha fatto costruire tutti i famosi castelli spianando boschi in deroga a piani regolatori, e che oggi sarebbe perseguito almeno dal Wwf e dall’Unesco che invece patronizzano i suoi siti.

Su questa specie di piazza Vittorio, proprio identica, con portici su tre lati, e però sotto non mercatini “del rubato” e enoteche cinesi e tavernelli, invece vetrine di panni e loden tirolesi, e anziani librai antiquari appoggiati a scrivanie tubolari almeno di Egon Eiermann.

Qui, su questa specie di piazza Vittorio, proprio identica, con portici su tre lati, e però sotto non mercatini “del rubato” e enoteche cinesi e tavernelli, invece vetrine di panni e loden tirolesi, e anziani librai antiquari appoggiati a scrivanie tubolari almeno di Egon Eiermann, e un museo del teatro con una mostra dedicata a Frank Wedekind, che però non c’entra niente col palazzo romano del Tempo (quel Wedekind era invece un banchiere). Invece, su un lato, un castellone moderno di cemento, con portone blindato alto sei metri, e tante finestrelle anche a tarda sera illuminate; non è un erede di Ludwig con la sua allegra corte, ma la sede della Regione; e si stenta a capirlo, perché si entra, sorpassando un arredo urbano che è anche manifesto ideologico: la sua strada, la sua ciclabile, un torrentello incanalato dell’Isar, e poi ecco un’entrata da grand hotel con parquet lucidissimi come a Linderhof o nei migliori palazzi bavaresi, e usciere araldico multilingue, che dice che no, è proprio la regione, e se ci vogliamo accomodare in una saletta per visitatori; lì, maxischermi almeno 3d mandano immagini del distinto governatore in visita in Cina a inaugurare stabilimenti della bavarese Audi, e dépliant con le migliori grafiche spiegano vite e carriere degli assessori, e seduti su una poltroncina Cassina si prendono piccoli orsetti gommosi omaggio in confezioni a forma di alpe (e qui, impossibili paragoni con la sede della Regione Lazio, già cinematograficamente la ItalPetrolCemeTermoTessilFarmoMetalChimica di Fantozzi).

Qui, invece, tutti a sognare l’Italia. Ah, l’Italia. In una pensione per hipster bavaresi con locandiera cattiva e negozio al piano terra di macchine fotografiche antiche e biciclette, e un Bar Pini dove naturalmente è introvabile un bratwurst ma invece solo spritz e panini e prosecchi e radicchio in italiano nel testo. E nel nuovo centro commerciale dietro Marienplatz, disegnato da Herzog e De Meuron, con inferriatine barocchette come insalata riccia, però nere, sopra la nuova Kunsthalle, ecco un fiorire di italianità vera o immaginaria: non solo Alessi e Armani e Patrizia Pepe e Boggi, ma anche Massimo Dutti e Alessandrini, e poi, sempre più incongruamente, Manuela Fumagalli e Marc O’ Polo e Giovanna e poi il nostro preferito: Bruno Banani.

All’Opera, invece, un Don Giovanni modernissimo tra container portuali inquietanti tipo Soliti sospetti e tante signore anziane e anzianissime tutte in nero e con gambe molto secche, che arrivano sotto il grande porticato neoclassico tipo House of Cards accompagnate da giovanotti che non paiono loro figli, e non possono essergli mariti; dunque ipotesi di indotti e possibilità di jobs act interessanti, ad averci il fisico, in una città che quasi sempre vince i premi mondiali della qualità della vita.

Nell’antico ghetto, intanto, nei giorni di «je suis Charlie», a un ristorante kosher-posh “Einstein” deserto, con pochi avventori eleganti in vetrina a fare tentativi di normalità; di fronte, un nuovissimo mammozzone architettonico che replica stelle di David in un opus latericium che ricorda le finestrelle dei nostri fienili toscani e padani, una mostra su “Krieg!”, cioè “Guerra !”col punto esclamativo, e un reading sulla partecipazione degli ebrei tedeschi al primo conflitto mondiale; ma di fronte, un Kino d’essai come al Pigneto o a Monti, con una rassegna più tranquillizzante su Stanlio e Ollio; e su tutto, solo una Bmw luccicante della Polizei a controllare, con le lucine sulle maniglie.

Tante Bmw invece poi naturalmente alla Bmw Welt, sorta di lingottone accanto al parco olimpico tutto dedicato alla Bayerische Motoren Werke, cioè fabbrica motori bavaresi, con corpo a quattro cilindri disegnato per Monaco ’72, accanto al Museo Bmw che pare invece un copricerchio cascato per terra, e rovesciato. Almeno sei cilindri invece per tutti i modelli che si possono provare in un grande concessionario-museo, dunque parco gioco per adulti che sognano il marchio biancazzurro come lo stemma di Baviera; e hostess che mostrano i gadget delle Rolls Royce e tutti a dire: ammazza che brutte, buone solo per emiri e cinesi e rapper coatti.

Almeno sei cilindri invece per tutti i modelli che si possono provare in un grande concessionario-museo, dunque parco gioco per adulti che sognano il marchio biancazzurro come lo stemma di Baviera; e hostess che mostrano i gadget delle Rolls Royce e tutti a dire: ammazza che brutte, buone solo per emiri e cinesi e rapper coatti.

E una mostra sulla Mini, e cioè il trionfo di tutti i marchi scippati dai buoni bavaresi ai cugini inglesi, con diatribe che vanno avanti da anni; e però niente Mirafiori o Pomigliano e casse integrazioni, anzi modelli di successo e operai che qui escono dai tornelli a fumare le loro sigarette con aria che pare contenta; e anche bene le sinergie, con tutto un discorso qui riportato del premier Cameron su quant’è bello che l’industria dell’auto inglese sia stata rilevata dai tedeschi anche se «certo, all’inizio avevamo delle perplessità». E una foto della principessa Anna non in range Rover protocollare, bensì in X-5, argento.

Dunque i soliti incesti tra inglesi e tedeschi; e il cugino di Ludwig, il Kaiser Guglielmo II, che quando i reali britannici si cambiano nome in Windsor, dice la famosa frase: «Vorrà dire che d’ora in poi si andrà a teatro a vedere Le allegre comari di Saxe-Coburg-Gotha», mentre il suo discendente Max von Wittelsbach, duca amante delle arti, vince oggi tutti i sondaggi e tutti rivorrebbero sul trono di Baviera, e addirittura, in quanto accidentalmente anche ultimo degli Stuart, ogni tanto gli darebbero volentieri anche la Scozia. Ma lui se ne sta tranquillo nel castellino-manicomio di Berg, dove perì il povero Ludwig, trascinando nell’acqua anche lo psichiatra regio. Ma quello è un altro lago ancora.
 

Nell’immagine in evidenza: Una vista del mercato natalizio di Monaco, 21 dicembre 2012 (Dominik Bindl/Getty Images).

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