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11:59 martedì 17 giugno 2025
Pixar ha annunciato un film con protagonista un gatto nero e tutti hanno pensato che ricorda molto un altro film con protagonista un gatto nero Il film Disney-Pixar si intitola Gatto, è ambientato a Venezia e lo dirige Enrico Casarosa. Il film al quale viene accostato lo potete indovinare facilmente.
Tra Italia, Spagna e Portogallo si è tenuta una delle più grandi proteste del movimento contro l’overtourism Armati di pistole ad acqua, trolley e santini, i manifestanti sono scesi in piazza per tutto il fine settimana appena trascorso.
Will Smith ha detto che rifiutò la parte di protagonista in Inception perché non capiva la trama Christopher Nolan gli aveva offerto il ruolo, ma Smith disse di no perché nonostante le spiegazioni del regista la storia proprio non lo convinceva.
Hbo ha fatto un documentario per spiegare Amanda Lear e la tv italiana agli americani Si intitola Enigma, negli Usa uscirà a fine giugno e nel trailer ci sono anche Domenica In, Mara Venier e Gianni Boncompagni.
Le prime foto della serie di Ryan Murphy su JFK Junior e Carolyn Bessette non sono piaciute a nessuno La nuova serie American Love Story, ennesimo progetto di Ryan Murphy, debutterà su FX il giorno di San Valentino, nel 2026.
Il video del sassofonista che suona a un festa mentre i missili iraniani colpiscono Israele è assurdo ma vero È stato girato durante una festa in un locale di Beirut: si vedono benissimo i missili in cielo, le persone che riprendono tutto, la musica che va.
Dua Lipa e Callum Turner si sono innamorati grazie a Trust di Hernan Diaz Il premio Pulitzer 2023 è stato l'argomento della prima chiacchierata della loro relazione, ha rivelato la pop star.
In dieci anni una città spagnola ha perso tutte le sue spiagge per colpa della crisi climatica  A Montgat, Barcellona, non ci sono più le spiagge e nemmeno i turisti, un danno di un milione di euro all’anno per l'economia locale.

Intervista a Surasi Kusolwong

14 Giugno 2011

Il lavoro dell’artista tailandese Surasi Kusolwong, in mostra all’Hangar Bicocca di Milano fino al 15 settembre, fa pensare al titolo del celebre romanzo di Haruki Murakami, Dance Dance Dance. Un invito a danzare finchè c’è musica, a restare in contatto con il mondo per scoprire progressivamente il senso delle cose. Con suoi happenings costruisce un anello di congiunzione tra linguaggio e azione, tende un sottile filo invisibile alla società e spinge i visitatori a diventare protagonisti di una collettività più consapevole. Il suo asso nella manica? Stupire. Nella Turbine Hall della Tate Modern, nel 2006, ha sorpreso i visitatori con un deejay set con cui animava un mercatino di cianfrusaglie di plastica multicolore e riproduzioni di opere minimaliste. Tutto in vendita a una sterlina. L’anno scorso, in visita al MoMA di New York con l’amica curatrice – e direttrice di Performa – RoseLee Goldberg, si è messo a ballare davanti ad un’opera di Bruce Nauman, coinvolgendo guardiania e pubblico del museo. Il suo progetto per Hangar Bicocca è un’iniezione di vitalità.

Ping-Pong, Panda, Povera, Pop-punk, Planet, Politics and P-Art. A prima vista, un bizzarro climax di parole che iniziano con P. Cosa le unisce?

Surasi Kusolwong: Mi piace giocare con il linguaggio, svela i legami tra le opere. P-Art è People Art, così definisco il mio lavoro. Povera, invece, è un richiamo all’Arte Povera che usa i materiali del quotidiano, ma anche alla povertà, una condizione sociale dell’umanità quanto mai attuale a causa della crisi mondiale. Nella mostra, questa duplice dimensione di significato emerge nelle sculture di tessuto e acciaio (materiali preferiti di artisti come Pistoletto e Anselmo ndr) che vedi per terra: sono tende di emergenza, rifugi, rispecchiano il bisogno primitivo dell’uomo di ripararsi attraverso un’architettura dalle forme semplici. E il Panda? È un’animale in via d’estinzione, ma è anche un bene prezioso che il governo cinese usa come strumento diplomatico per intessere relazioni di politica estera. Ironia della sorte, il mio panda è un prodotto industriale di bassa qualità, “made in china”.

Appena si entra nello spazio espositivo si è accolti dalla voce di Kurt Cobain. Perché proprio lui?

Sono Buddista e il nome del suo gruppo – Nirvana – evoca in me il concetto di illuminazione, apre all’infinito. Ma nel pezzo che ho scelto – un estratto dalla canzone “Smells like teen spirit” – c’è il ribaltamento, la contraddizione. La voce di Cobain oscilla tra le parole “hello” e “hell”, un saluto e un richiamo all’inferno, e una serie di immagini, ritagli di giornali e vecchie fotografie d’archivio, appese ad una recinzione ci mettono in guardia: mai fidarsi delle apparenze né delle parole. Un esempio? La centrale nucleare di Fukushima sembra un museo di arte contemporanea e nella didascalia si parla di “energia pulita”.

In mostra ci sono anche cinque tavoli da ping-pong coperti da superfici specchianti e costellati da una serie di oggetti che preludono a temi specifici. Sono degli ostacoli al gioco o, piuttosto, estremi per un dialogo tra i due sfidanti?

Uno dei tavoli rappresenta il mondo degli animali: ci ho incollato una gallina intagliata in legno danese, uno scoiattolo di erba sintetica e una statuetta di un bambino che abbraccia un gatto. Puoi contemplarlo nella sua bellezza o decidere di usarlo per giocare; ma, se lo fai, la pallina rimbalzerà su uno o più animali e modificherà la natura del campo. In ultima istanza, potresti colpire e uccidere un animale. Che fare? Devi cambiare le tue regole, capire cosa succede se vinci sapendo che uno dei due, uomo o animale, si è intromesso nel mondo dell’altro…

In uno dei tavoli da ping-pong hai appoggiato la copertina del libro “In the End of Times” di Slavoj Zizek. Le pagine, incollate una a una, formano un lungo serpente di parole di cui si possono cogliere solo frasi a metà. A cosa si deve questa presentazione?

Ho trovato il libro a Bangkok e l’ho letto perchè attratto dal titolo. Zizek è un filosofo, ma il suo linguaggio è in contatto con l’attualità, è diretto, come la musica rock. La decisione di mostrarlo per frammenti mi è sembrata naturale, le mie sculture sono modelli di percezione del mondo, e oggi tutto è sconnesso, è impossibile cogliere più di un’idea, un’informazione.

Citando Zizek, ti rifai anche ad una visione marxista della società?

Marx ha influenzato molto l’Asia, soprattutto la Cina e la prima volta che ho esposto i tavoli era proprio lì, alla Guangzhou Triennial (2005). Volevo richiamare l’attenzione sull’evento noto come “Ping-Pong Diplomacy”: erano gli anni ‘70 e Mao Tse-tung invitò i giocatori di ping-pong americani ad inaugurare i contatti tra America e Cina alcune settimane prima del viaggio ufficiale di Richard Nixon. Il progetto è stato presentato, con qualche modifica, a New York (2007): l’Italia è la terza tappa, nonché il punto di incontro – geografico e politico – tra queste due grandi potenze. Inoltre, la sua attuale condizione la avvicina spiritualmente al mio paese, la Tailandia, il cui ex primo ministro, Thaksin Shinawatra, ricco imprenditore e proprietario della maggiore compagnia telefonica nazionale, è stato costretto alle dimissioni nel 2006 per conflitto di interesse. Lo chiamavano “Berlusconi n°2” per la sua amicizia e somiglianza con il premier italiano.

A Milano hai portato anche l’Invisible Academy, l’idea di una piattaforma di discussione in continua evoluzione, senza pareti né fissa dimora, che hai creato nel 1997. Rappresenta la tua idea di museo?

Soprattutto risponde alle sfide che il museo deve affrontare oggi: il contatto con la società e la mancanza di fondi. Il mio museo è come un aeroporto, un luogo funzionale ad accoglierti, dove andare per intraprendere un viaggio al di sopra delle nuvole, laddove si possono distinguere meglio le cose, e l’artista è il pilota dell’aereo. Purtroppo, intorno a me vedo che spesso la preoccupazione primaria dietro la creazione di un nuovo museo è la costruzione dell’edificio e l’allestimento della collezione permanente e, in tempi di crisi, queste due attività assorbono la maggior parte dei fondi. Così, è come ritrovarsi a vivere in una casa bellissima, ma non avere soldi per mangiare o comprare libri.

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