Ne abbiamo parlato con Mattia Santarelli, fondatore del comitato "Ma quale casa", che sta raccogliendo le firme per una proposta di legge popolare per inserire il diritto alla casa in Costituzione.
Il Dalai Lama sta per compiere 90 anni e Cina e Tibet già litigano per il suo successore
Lui ha detto che il suo successore non nascerà sicuramente in Cina, la Cina lo ha accusato di essere «un manipolatore».

Il mondo avrà un nuovo Dalai Lama ma sicuramente non sarà cinese: questo ha detto l’attuale leader tibetano, a pochi giorni dal suo novantesimo compleanno. Un’affermazione che, come ampiamente previsto, ha portato all’immediata reazione della Cina: Mao Ning, portavoce del ministro degli Esteri di Pechino, ha già fatto sapere che la successione del Dalai Lama dovrà avvenire «nel rispetto delle leggi e dei regolamenti cinesi, oltre che dei rituali e delle consuetudini religiose». Il messaggio è abbastanza chiaro: il prossimo Dalai Lama nascerà anche al di fuori dei confini cinesi, ma ascendere al ruolo solo con il consenso della Repubblica popolare.
Come riporta l’Independent, il fatto stesso che ci sarà un prossimo Dalai Lama è una notizia. Per molto tempo, infatti, i monaci hanno preso in seria considerazione l’idea di “estinguere” la carica, proprio a causa del concretissimo rischio di ingerenza cinese nella selezione del prossimo leader spirituale e politico del Tibet. Raggiunti i 90 anni, però, il Dalai Lama sembra aver cambiato idea: in un video sul suo account ufficiale su X ha annunciato che avrà un successore. Quest’ultimo, ha detto, non nascerà in Cina e della sua successione si occuperanno esclusivamente gli organi preposti: il Gaden Phodrang Trust, cioè l’ufficio di Sua Santità il Dalai Lama, che si consulterà con i capi delle varie confessioni buddiste prima di prendere una decisione. Il partito comunista cinese accusa il Dalai Lama di voler pilotare la successione «per i suoi interessi», proseguendo così una guerra che va avanti ormai da quasi ottant’anni.
Statement Affirming the Continuation of the Institution of Dalai Lama
(Translated from the original Tibetan)
On 24 September 2011, at a meeting of the heads of Tibetan spiritual traditions, I made a statement to fellow Tibetans in and outside Tibet, followers of Tibetan… pic.twitter.com/VqtBUH9yDm
— Dalai Lama (@DalaiLama) July 2, 2025
La storia dei rapporti tra Cina e Tibet è impossibile da raccontare in poche righe, ma le attuali tensioni proseguono praticamente ininterrotte dalla fine degli anni Cinquanta, dall’annessione del Tibet da parte della Cina. Nel 1959 il 14esimo Dalai Lama fuggì dal Tibet, trovò asilo in India e Dharamshala formò il governo in esilio che esiste ancora oggi. Forse il più noto episodio di questa complicatissima storia è il rapimento, avvenuto nel 1995, di Gedhun Choekyi Nyima, un bambino di sei anni riconosciuto come undicesimo Panchen Lama, la seconda maggiore autorità tibetana, riconosciuto direttamente dal Dalai Lama. Di lui non si sono avute più notizie. Al suo posto, la Cina scelse un “suo” Panchen Lama – Gyaltsen Norbu, bambino tibetano figlio di due membri del Partito comunista – mai riconosciuto dai tibetani. Dal 1959 a oggi, i rapporti tra Tibet e Cina non sono praticamente mai cambiati: il Dalai Lama si considera leader in esilio, la Cina lo considera un separatista.

«Davanti a uno Stato che sostiene un genocidio, cosa dovrebbero fare le persone per bene?», ha scritto sul Guardian, condannando la decisione del governo inglese.

Mentre gli Usa entrano in guerra e si parla di regime change, ci si dimentica che la decisione di abbattere il regime degli ayatollah spetta agli iraniani. Ne abbiamo parlato con Sahar Delijani, scrittrice, esule iraniana in Italia.