Quello iraniano non è un popolo in attesa che qualcuno venga a salvarlo

Mentre gli Usa entrano in guerra e si parla di regime change, ci si dimentica che la decisione di abbattere il regime degli ayatollah spetta agli iraniani. Ne abbiamo parlato con Sahar Delijani, scrittrice, esule iraniana in Italia.

23 Giugno 2025

Sahar Delijani è nata nel 1983 a Teheran, in una delle giornate più drammatiche della storia della sua famiglia. Sua madre, prigioniera politica nel carcere di Evin, diede alla luce la figlia dopo ore di travaglio trascorse sotto interrogatorio. I suoi genitori, entrambi oppositori politici, furono incarcerati durante la repressione che seguì la rivoluzione del 1979, quando migliaia di persone vennero arrestate e rinchiuse nelle prigioni del nuovo regime. La scrittura di Delijani nasce da quella ferita collettiva e personale. Il suo romanzo più conosciuto, LAlbero dei Fiori Viola, intreccia le storie di figli e genitori segnati dalla prigionia, con al centro il carcere di Evin, simbolo del silenzio imposto e della resistenza. Oggi vive a Torino, dopo essere cresciuta negli Stati Uniti, ma l’Iran resta il cuore della sua narrativa.

Come sta vivendo, da iraniana in esilio, la guerra scatenata da Israele?
Stiamo tutti vivendo un momento di shock, paura e dolore. Non è mai stato così difficile essere lontani dall’Iran come adesso, guardando le immagini delle bombe che cadono sulle persone senza poter fare nulla. Ho molti amici che hanno la loro famiglia e i loro genitori ancora in Iran. Giusto ieri sera, ho sentito un’amica che pregava i suoi genitori di lasciare Teheran. Tutto questo era inimmaginabile. Gli iraniani hanno lottato instancabilmente contro la dittatura e la guerra per tanto tempo. Tutta questa lotta coraggiosa è stata spezzata.

Come riesce a conservare il legame con l’Iran? In che modo l’esilio influenza la sua scrittura?
I social media aiutano molto a mantenere il legame con l’Iran. Qui a New York ho una comunità abbastanza numerosa di iraniani che mi aiuta a conservare quel legame. Per quanto riguarda la scrittura, è sempre una grande sfida per tutti gli scrittori nati altrove che scrivono in una seconda lingua. Scrivere per lettori che, in realtà, non conoscono davvero la realtà di cui parli. Diventi subito una rappresentante, perdi la possibilità di avere una voce indipendente. Ma ciò che mi addolora ancora di più è che, scrivendo la tua realtà in un’altra lingua, è come se tradissi coloro di cui racconti le storie. Le racconti, sì – ma non per loro. Per altri. Per lettori lontani, spesso molto lontani da quella realtà. Questo tradimento letterario, per me, è la ferita più profonda.

Come descriverebbe oggi la società iraniana al di là degli stereotipi? Cosa sfugge allo sguardo occidentale quando si parla del popolo iraniano?
La società iraniana è una società come tante: complessa, vulnerabile, fiera, persistente, traumatizzata e incredibilmente coraggiosa. Ciò che lo sguardo occidentale non comprende – o meglio, non vuole comprendere o riconoscere – è che i popoli non occidentali sono oggetti attivi: hanno la volontà, la capacità e il diritto di decidere da soli il proprio futuro e costruire il proprio percorso vero la democrazia. Non sono popoli in attesa che qualcuno venga a salvarli. Sono popoli che, come quello iraniano, hanno ispirato il mondo intero con la loro lotta instancabile contro la dittatura.

Qual è stata la reazione della società civile iraniana agli attacchi israeliani finora?
Non è un segreto che gli iraniani non vogliono più il regime che li ha oppressi e perseguitati per più di quaranta anni. Ma questo non vuol dire che gli iraniani vogliono essere “liberati” da nessuno, soprattutto non con le bombe, la morte e la distruzione. Gli iraniani sono un popolo tenace e dignitoso, ma anche traumatizzato. Abbiamo già vissuto otto anni di guerra con l’Iraq. Oggi gli iraniani hanno paura, non solo per la propria vita e quello dei loro cari, ma anche per il loro Paese che hanno costruito con tanto sacrificio e dolore. Non vogliono vedere il proprio Paese andare in pezzi. Non vogliono vedere il proprio futuro rubato dagli aerei israeliani e americani.

Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha parlato apertamente di “regime change” in Iran. Quali potrebbero essere le conseguenze in caso si concretizzasse questo scenario?
Condanno fortemente queste parole di Netanyahu. Solo gli iraniani sono padroni del proprio destino. Nessuno – tanto meno il governo israeliano che proprio in questo momento sta portando avanti un genocidio contro il popolo palestinese – può decidere per loro. La democrazia non arriva con le bombe. Neanche la libertà e l’uguaglianza. Lo sa benissimo anche Netanyahu. Il popolo iraniano ha lottato per la libertà e continuerà la sua lotta. Non solo la guerra non ci porterà la libertà, ma indebolirà tutti i movimenti civili che in Iran lottano per la democrazia.

Lintervento americano in Iraq fu presentato come una missione di “liberazione” e per lesportazione della democrazia, ma ha portato distruzione e violenza. Teme un destino simile per lIran?
Tutti popoli del Medio Oriente condividono gli stessi dolori e le stesse lotte. Tutti aspirano a democrazia, libertà e uguaglianza. Abbiamo visto, non solo in Iraq ma anche in Afghanistan e in Libia, cosa ha significato la cosiddetta “missione di liberazione” americana: non ha portato altro che morte, tortura e distruzione. È naturale temere un simile destino per l’Iran. Questo perché tutti gli esempi precedenti portano alla stessa conclusione: l’Occidente non vuole e non ha mai voluto un Medio Oriente democratico e libero. Vuole una regione debole, frammentata e impoverita. Questi sono gli interessi occidentali nella nostra regione, e faranno di tutto perché i nostri popoli non possano mai rialzarsi.

Pressoché tutti i governi occidentali si sono schierati a favore dellintervento militare israeliano in Iran, nonostante i crimini commessi a Gaza e in Cisgiordania. Come valuta questa scelta?
I governi occidentali non hanno fatto assolutamente nulla per fermare il genocidio a Gaza, mentre i palestinesi muoiono di fame. Non mi sorprende affatto che nessuno di loro si interessi al dolore degli iraniani. Il mondo occidentale ha perso ogni credibilità morale e politica.

In un recente post su Instagram ha scritto: «Nessuno conoscerà la pace, la libertà, la dignità e la prosperità finché non la conosceranno i palestinesi». In che modo ritiene che le lotte del popolo iraniano e di quello palestinese siano collegate?
Tutte le lotte per la libertà e uguaglianza sono collegate. Il popolo iraniano ha subito più di quattro decenni di repressione sotto la Repubblica islamica e prima ancora sotto il regime dello Shah. Il popolo palestinese ha subito più di settanta anni di occupazione. Tutti i popoli vogliono vivere con dignità e prosperità. E nessuno potrà davvero raggiungerle se coloro più oppressi non conquistano la loro libertà.

In tempi di guerra e propaganda che ruolo può avere la letteratura per resistere, farsi ascoltare e toccare le coscienze?
Solo condividendo le nostre storie possiamo arrivare a una coscienza collettiva. Solo ascoltandoci, vedendoci. I popoli del Medio Oriente sono stati abbandonati da tutti, perseguitati sia dalle forze di occupazione che dalle dittature. Solo attraverso l’unità fra tutti i popoli, solo riconoscendo che tutte le nostre lotte sono collegate e che stiamo tutti lottando per gli stessi obiettivi nobili, possiamo uscire da questi inferni che i nostri governi ci hanno costretti a vivere.

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