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Dua Lipa e Callum Turner si sono innamorati grazie a Trust di Hernan Diaz Il premio Pulitzer 2023 è stato l'argomento della prima chiacchierata della loro relazione, ha rivelato la pop star.
In dieci anni una città spagnola ha perso tutte le sue spiagge per colpa della crisi climatica  A Montgat, Barcellona, non ci sono più le spiagge e nemmeno i turisti, un danno di un milione di euro all’anno per l'economia locale.
Ai Grammy dal 2026 si premierà anche l’album con la migliore copertina È una delle tante novità annunciate dalla Record Academy per la cerimonia dell'anno prossimo, che si terrà l'1 febbraio.
Ronja, la prima e unica serie animata dello Studio Ghibli, verrà trasmessa dalla Rai Ispirata dall’omonimo romanzo dell’autrice di Pippi Calzelunghe, è stata diretta dal figlio di Hayao Miyazaki, Goro. 
Ogni volta che scoppia un conflitto con l’Iran, viene preso come ufficiale un account dell’esercito iraniano che però non è ufficiale Si chiama Iran Military, ha più di 600 mila follower ma non ha nulla a che fare con le forze armate iraniane.
L’unico sopravvissuto al disastro aereo in India non ha idea di come sia riuscito a salvarsi Dopo l’impatto, Vishwash Kumar Ramesh ha ripreso i sensi in mezzo alle macerie: i soccorritori l’hanno trovato mentre cercava il fratello.
L’Egitto sta espellendo tutti gli attivisti arrivati al Cairo per unirsi alla Marcia mondiale per Gaza I fermati e gli espulsi sono già più di un centinaio e tra loro ci sono anche diversi italiani.
Per ricordare Brian Wilson, Vulture ha pubblicato un estratto del suo bellissimo memoir Si intitola I Am Brian Wilson ed è uscito nel 2016. In Italia, purtroppo, è ancora inedito.

Il mito di Adelphi, da Roberto Calasso a Instagram

Il libro di Anna Ferrando, appena uscito per Carocci, racconta la storia della casa editrice dalla fondazione nel 1962 fino alla metà degli anni '90, dalle origini mistiche alla fama che continua ancora oggi.

19 Aprile 2023

Stanno uscendo le nuove puntate di Succession e forse è per questo che vengono in mente dei paralleli con il caso Adelphi. O forse è che in un mondo noioso e conformista come è ormai quello in cui si fanno libri, non si vede l’ora di origliare storie eccitanti dal dietro le quinte. «Io quando guardo una montagna aspetto sempre che si converta in vulcano», diceva Italo Svevo. Considerata la più chic tra le case editrici italiane, immediatamente riconoscibile anche dalle coste a metri di distanza, regina dell’equilibrio contenuto/estetica, protagonista di centinaia di post Instagram ogni giorno, Adelphi negli ultimi due anni ha visto un piccolo conflitto interno che non è nulla rispetto alle pugnalate dei miliardari della Waystar Royco, ma che comunque ha creato alzate di sopracciglia, addii e piccole inimicizie nel sonnolento milieu libresco. Con la scomparsa nell’estate del 2021 di Roberto Calasso, a lungo direttore editoriale nonché proprietario (con il riacquisto nel 2015 delle quote in mano a Rizzoli all’epoca coinvolta nell’acquisizione Mondadori) si sono creati malumori societari. Il Cda ha nominato amministratore Roberto Colajanni, figlio della sorella Vanna, mentre la presidenza è stata affidata a Teresa Cremisi. Gli eredi principali della casa editrice, con maggioranza relativa del 48 per cento, sono i figli di Roberto Calasso e della scrittrice Anna Katharina Fröhlich, Josephine e Tancredi. Fröhlich ha reso pubblico nelle interviste il disagio per aver ricevuto informazioni sulle nomine solo a decisioni prese. «Non ci sono cambiali in bianco, né tantomeno investiture divine. Colajanni deve sapere che può contare sulla nostra lealtà, ma anche che, da parte nostra, contiamo sulla sua volontà di coinvolgimento. Chiediamo insomma di lavorare tutti insieme a un vero progetto», aveva detto Fröhlich a Repubblica, non volendo far perdere ritmo e consolidata autorevolezza a un caso unico italiano, un unicorno del publishing.

Ma nel frattempo Adelphi vive ancora delle scelte editoriali fatte da Calasso e dalla sua squadra, una tranquillità per una casa editrice che non sopravvive con gli instant book ma con i longseller da catalogo, oltre che con riedizioni fatte meglio, tradotte meglio, di vecchi classici del pensiero o della letteratura, o di ripescaggi di oscuri tomi apparentemente inavvicinabili. Non solo. L’intellettuale aveva anche lasciato alcuni testi, pronti alla pubblicazione, pezzetti di quel suo grande puzzle oracolare ed erudito, potenzialmente infinito, che punta a descrivere l’anima umana, tra i Veda e Tallyerand, tra ricordi d’infanzia e istruzioni su come ordinare una biblioteca, tra miti greci e Baudelaire. Non sappiamo quante scene ancora di questo dotto affresco ci abbia lasciato Calasso, ma si spera queste piccole meteore continueranno a colpire i tavolini delle novità nelle librerie, come sassolini di un Pollicino che dall’oltretomba, o dallo Svargam induista, continua a creare inediti e illuminanti punti di vista. Esce quindi, nell’adorata Piccola Biblioteca, copertina verde petrolio opaco, L’animale della foresta, che è un omaggio al giovane Kafka walseriano. «Capire il primo Kafka aiuta a capire l’ultimo. Anche se il primo è un recipiente quasi vuoto, sconnesso, idiosincratico», scrive. Dopo K. un altro invito a esplorare la profondità superiore del praghese, anche a livello spirituale. Chissà cosa direbbero i nuovi atei da Festival della Mente di questi tentativi, nobili e riusciti, di andare oltre il visibile infilandosi negli occhi demonici del Kafka adolescente per distillarne l’origine del talento. Piergiorgio Odifreddi, pochi giorni dopo il funerale di Calasso, scrisse sulla Stampa che Adelphi aveva fatto grandi danni culturali costruendo un catalogo in cui si alternano «ciarlatani, come René Guénon o Elemire Zolla» e «scienziati in libera uscita». Calasso è, per il matematico televisivo, complice delle superstizioni che portano «all’antiscientismo becero delle masse», proprio perché «l’Adelphi è riuscita a far passare l’immagine di una scienza con fondamenti metafisici traballanti e orientaleggianti». Se solo l’editoria potesse avere tanto potere, direbbe qualcuno.

È proprio su questa base – un po’ incomprensione filosofica, un po’ senso di inferiorità e paura di esclusione da qualcosa percepito come elitario –  che molti vedono all’origine della casa editrice il tentativo di costruire, nei primi anni Sessanta, un fronte anticomunista, post o anti einaudiano, per poter pubblicare materiali più eterodossi, non gramsciani, mistici: il celebre aneddoto della mancata pubblicazione dell’opera omnia di Nietzsche è alla base delle storie che si raccontano sulla cosmogonia di Adelphi. Ma, come diceva il sorrentiniano Eugenio Scalfari al Toni Servillo/Andreotti «le cose non stanno esattamente così, la situazione è un po’ più complessa». E così per capire bene tutto, il prima e il durante, ci viene in aiuto un libro appena uscito per Carocci dal titolo AdelphiLe origini di una casa editrice (1938-1994) scritto da Anna Ferrando. Se Adelphi apre nel 1962, nel libro ripercorriamo tutti i movimenti dei cervelli dietro a quella che adesso è una casa editrice che ha mantenuto vivo, con i limiti del mercato, il tentativo di mettere tra le mani dei lettori quei «libri unici» di cui parlava il cofondatore mitico Bobi Bazlen, lettore instancabile dell’I Ching, il libro dei mutamenti. E se Einaudi, nata nel 1933, ha perso la sua vocazione marxista-pedagogica e Feltrinelli, nata nel 1954, ha abbandonato il suo imprinting terzomondista, guevarista e gappista, Adelphi ha mantenuto, con i limiti del mercato, la sua identità. Proprio perché, come si vede nel libro, è un’identità complessa, prismatica e cangiante, ma allo stesso tempo retta da un apparato valoriale quasi anti imprenditoriale, con degli oggetti-libro che escono fuori da qualsiasi politica classificatoria, rompendo anti litteram quei confini fiction-non-fiction per cui ora ci esaltiamo tanto. Come scrive Anna Ferrando, la casa editrice «sembrerebbe appartenere più al Ventunesimo secolo che non al Ventesimo: sfugge a rassicuranti logiche binarie, a serrate e stringenti connessioni fra cultura e politica che ne faciliterebbero, forse, un’interpretazione in chiave storica. Adelphi non si ingabbia, appare refrattaria a qualsiasi cornice di contesto».

Dopo gli anni passati a vendere milioni di librettini verdi del Siddartha di Hesse, a far scoprire l’oriente e la mitteleuropea, e rilanciare Simenon, solo Adelphi poteva far entrare nelle classifiche libri di fisica, come quelli di Carlo Rovelli, solo Adelphi poteva aumentare l’aura autoriale di Carrére, che per anni era saltellato tra diverse case editrici (Theoria, Marcos y Marcos, Bompiani ed Einaudi), senza mai trovare il pubblico di groupie che ha adesso (bastava andare alla presentazione del suo V13, con Daria Bignardi, e vedere gli occhi sognanti del pubblico in fila davanti al Piccolo). Matteo Codignola, a lungo colonna di Adelphi, uscito dopo la morte di Calasso, e ora editore di Orville Press, nel libro Cose da fare a Francoforte quando sei morto, racconta di come Carrére sia arrivato a via San Giovanni sul Muro. Parliamo di una casa editrice che riesce a far innamorare gli instagrammer con le sue copertine sempre uguali sempre diverse e a far diventare un tascabile Il Mulino di Amleto, un po’ come Battiato che riusciva a far ballare le folle cantando frasi di Gurdjieff.

Scrive ancora Ferrando che gli adelphiani «sapevano bene che se la solidità di un editore si misura soprattutto sulla durata dei titoli nel tempo, il termometro della sua vitalità sono gli autori e le opere nuove che sa scovare per il suo pubblico». Così, mentre in Storia confidenziale dell’editoria italiana –  recente e utilissimo libro di Gian Arturo Ferrari, il gran mogol mondadoriano, autoproclamatosi il Dart Fener dell’editoria – vedevamo la pratica industriale del fare libri, della ricerca di un equilibrio tra cash e letteratura (con sempre una maggiore e crescente propensione per il cash) soprattutto dentro Rizzoli e Mondadori (poi diventati Mondazzoli), in Adelphi di Ferrando vediamo l’esoscheletro del «fare solo i libri che ci piacciono» – come diceva Bazlen, e di come, in fondo, sia stato possibile.

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