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Nel nuovo film di Carlo Verdone ci sarà anche Karla Sofía Gascón, la protagonista caduta in disgrazia di Emilia Pérez La notizia ha permesso a Scuola di seduzione di finire addirittura tra le breaking news di Variety.
Enzo Iacchetti che urla «Cos’hai detto, stronzo? Vengo giù e ti prendo a pugni» è diventato l’idolo di internet Il suo sbrocco a È sempre Cartabianca sul genocidio a Gaza lo ha fatto diventare l'uomo più amato (e memato) sui social.
Ci sono anche Annie Ernaux e Sally Rooney tra coloro che hanno chiesto a Macron di ripristinare il programma per evacuare scrittori e artisti da Gaza E assieme a loro hanno firmato l'appello anche Abdulrazak Gurnah, Mathias Énard, Naomi Klein, Deborah Levy e molti altri.
Per Tyler Robinson, l’uomo accusato dell’omicidio di Charlie Kirk, verrà chiesta la pena di morte  La procura lo ha accusato di omicidio aggravato, reato per il quale il codice penale dello Utah prevede la pena capitale. 
Una editorialista del Washington Post è stata licenziata per delle dichiarazioni contro Charlie Kirk Karen Attiah ha scoperto di essere diventata ex editorialista del giornale proprio dopo aver fatto sui social commenti molto critici verso Kirk.
In Nepal hanno nominato una nuova Presidente del Consiglio anche grazie a un referendum su Discord Per la prima volta nella storia, una piattaforma pensata per tutt'altro scopo ha contribuito all'elezione di un Primo ministro.
Amanda Knox è la prima ospite della nuova stagione del podcast di Gwyneth Paltrow Un’intervista il cui scopo, secondo Paltrow, è «restituire ad Amanda la sua voce», ma anche permetterle di promuovere il suo Substack.
Luigi Mangione non è più accusato di terrorismo ma rischia comunque la pena di morte L'accusa di terrorismo è caduta nel processo in corso nello Stato di New York, ma è in quello federale che Mangione rischia la pena capitale.

Il New York Times ha lanciato un canale Telegram sulla guerra in Ucraina

15 Marzo 2022

«Per rendere il nostro giornalismo più accessibile ai lettori di tutto il mondo, il New York Times ha lanciato un nuovo canale dedicato su Telegram, piattaforma di messaggistica istantanea con più di mezzo miliardo di utenti attivi. In questo canale Telegram ci saranno notizie sulla guerra prese dal nostro blog costantemente aggiornato, dove i giornalisti del Times stanno pubblicando tantissime testimonianze, interviste e breaking news. Tutti gli utenti Telegram possono iscriversi al canale del @nytimes dall’indirizzo https://t.me/nytimes». Questo il comunicato con il quale il New York Times ha annunciato la creazione del suo canale Telegram.

La scelta del Times non ha a che vedere solo con la strategia editoriale di uno dei più importanti quotidiani del mondo. Nella decisione di aprire un canale Telegram proprio in questo momento c’è anche l’intenzione di ribadire l’importanza capitale del giornalismo e il ruolo fondamentale dei giornalisti in questo periodo. Telegram, d’altronde, è l’app di messaggistica istantanea più usata in Ucraina. All’indomani dell’ingresso delle truppe russe in territorio ucraino, fu su Telegram che il Presidente Volodymyr Zelenskiy decise di diffondere il suo messaggio alla nazione, l’invito a unirsi e a resistere di fronte all’assalto dei soldati russi. Nei giorni successivi Zelensky (che con Telegram aveva una certa dimestichezza sin dai tempi della campagna elettorale che nel 2019 lo portò a stravincere le elezioni presidenziali) ha continuato a usare la piattaforma per smentire le notizie false diffuse dalla propaganda russa, confermando ai suoi concittadini che l’esercito ucraino non aveva ricevuto nessun ordine di deporre le armi e ribadendo che la città di Kiev non sarebbe stata abbandonata da lui e dagli altri esponenti del governo nazionale. In queste due settimane di guerra, Telegram è diventata una delle fonti principali (al di là dei media controllati dallo Stato) di notizie riguardanti il conflitto in Ucraina, una parte fondamentale della vita quotidiana di decine di giornalisti provenienti da tutto il mondo e di migliaia di cittadini ucraini. Non è certo una novità, questa, per la piattaforma: dai membri di Extinction Rebellion agli appartenenti ai gruppi no vax, dai “rioters” di Capitol Hill alle manifestazioni per la democrazia in Bielorussia, Hong Kong e Iran, Telegram è ormai un’abitudine per tutti i movimenti di protesta del mondo. Questo particolare “status” Telegram l’ha raggiunto affermando una presunta superiorità rispetto alle app simili e concorrenti come Whatsapp: i suoi gruppi possono arrivare a contare fino a 200mila membri contro gli appena 256 di Whatsapp, per esempio. E, in più, esiste la convinzione diffusa che Telegram protegga i dati dei suoi utenti meglio di Whatsapp. Una convinzione che, però, è spesso stata messa in dubbio dagli addetti ai lavori: il fondatore di Signal, Moxie Marlinspike, ha scritto su Twitter che l’idea che Telegram sia più sicuro e affidabile della concorrenza è frutto soltanto di «un decennio di marketing e stampa ingannevole».

Probabilmente, la convinzione che Telegram stia dalla parte di chi protesta è conseguenza della storia dei suoi creatori, i fratelli russi Pavel e Nikolai Durov. Nel 2012, Pavel Durov rifiutò di chiudere i gruppi Telegram nei quali si organizzavano le proteste contro Putin. Nel 2018 l’app fu bandita in Russia dopo che Pavel rifiutò di consentire alle autorità l’accesso ai dati degli utenti. Nonostante il ban, Telegram continuò a essere molto usato in Russia e alla fine il governo fu costretto a rimuovere le restrizioni. Nel corso degli anni, però, Telegram è anche diventato una sorta di centro di smistamento per tutte le fake news che circolano poi sui social media e che, occasionalmente, arrivano fino ai media tradizionali. Durov − che nel 2014 ha lasciato la Russia ed è diventato cittadino di Saint Kitts e Nevis, anche e soprattutto perché il governo di Putin non prese bene la sua decisione di non consegnare i dati degli ucraini che su Telegram si organizzavano per protestare − si è detto molto preoccupato da questo fatto: nelle scorse settimane, secondo quanto riporta il Guardian, era arrivato a considerare anche di sospendere il servizio nei «Paesi coinvolti» nel conflitto. «Non vogliamo che Telegram diventi uno strumento usato per esacerbare i conflitti e incitare all’odio razziale», ha detto. Di fronte alle proteste degli utenti, che gli hanno ricordato che Telegram è spesso la loro unica fonte di informazione, Durov ha cambiato idea ma ha precisato che bisogna «controllare e non prendere per vere tutte le informazioni che si trovano sui canali Telegram in questo periodo così difficile».

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