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14:06 lunedì 16 giugno 2025
Hbo ha fatto un documentario per spiegare Amanda Lear e la tv italiana agli americani Si intitola Enigma, negli Usa uscirà a fine giugno e nel trailer ci sono anche Domenica In, Mara Venier e Gianni Boncompagni.
Le prime foto della serie di Ryan Murphy su JFK Junior e Carolyn Bessette non sono piaciute a nessuno La nuova serie di American Love Story, ennesimo progetto di Ryan Murphy, debutterà su FX il giorno di San Valentino, nel 2026.
Il video del sassofonista che suona a un festa mentre i missili iraniani colpiscono Israele è assurdo ma vero È stato girato durante una festa in un locale di Beirut: si vedono benissimo i missili in cielo, le persone che riprendono tutto, la musica che va.
Dua Lipa e Callum Turner si sono innamorati grazie a Trust di Hernan Diaz Il premio Pulitzer 2023 è stato l'argomento della prima chiacchierata della loro relazione, ha rivelato la pop star.
In dieci anni una città spagnola ha perso tutte le sue spiagge per colpa della crisi climatica  A Montgat, Barcellona, non ci sono più le spiagge e nemmeno i turisti, un danno di un milione di euro all’anno per l'economia locale.
Ai Grammy dal 2026 si premierà anche l’album con la migliore copertina È una delle tante novità annunciate dalla Record Academy per la cerimonia dell'anno prossimo, che si terrà l'1 febbraio.
Ronja, la prima e unica serie animata dello Studio Ghibli, verrà trasmessa dalla Rai Ispirata dall’omonimo romanzo dell’autrice di Pippi Calzelunghe, è stata diretta dal figlio di Hayao Miyazaki, Goro. 
Ogni volta che scoppia un conflitto con l’Iran, viene preso come ufficiale un account dell’esercito iraniano che però non è ufficiale Si chiama Iran Military, ha più di 600 mila follower ma non ha nulla a che fare con le forze armate iraniane.

Slaughterhouse

Il nuovo album di Ty Segall è potentissimo, tragico ed equilibrato

28 Giugno 2012

Uno dei miei esseri umani preferiti si chiama Ty Segall, è statunitense e di lavoro fa un album dietro l’altro.

Ha iniziato come chitarrista ma è diventato piuttosto famoso confezionandosi i brani su misura, suonando chitarra, basso, batteria e cantando come un ossesso. La notizia dell’uscita di un suo album è ormai una non-notizia — come quella delle dichiarazioni-choc di Beppe Grillo o dei “moniti” di Giorgio Napolitano. Diciamo che gli album di Ty Segall non escono: succedono, ogni tanto. Spesso, a dire il vero. Sarà forse per questa incontenibile verve creativa che col tempo ha accumulato un discreto numero di band e para-band con cui firma e/o co-firma le sue opere: Ty Segall Band, Sic Alps, Traditional Fools, Ty Segall/White Fence e altri nomi strambi che usa per camuffare la sua chitarra grattuggiosa e collaborare con chi gli pare disseminando sbadatamente dietro di sé singoli, Lp ed Ep come un Pollicino ubriaco.

Ma dato che l’ultima fatica dell’artista è reale, è necessario parlarne almeno un po’ ben sapendo che cominciare a recensire Segall significa condannarsi a coprire anche tutti i suoi futuri album e magari finire per creare una pagina “verticale” sul sito di Studio tutta dedicata a lui (come quella che l’Huffington Post ha sull’annoso fenomeno delle “side boobs“). L’album si chiama Slaughterhouse, è uscito per l’etichetta losangelina In the Red ed è un ottimo lavoro, maturo e più curato del solito, nel quale Segall dimostra di aver preso comando delle proprie corde vocali (che non è necessariamente una buona notizia — anzi sì, perché grida comunque molto).

Pitchfork, il sito che la gente legge per poi sostenere in pubblico di non aver mai letto Pitchfork, gli ha dato 8.7 e ha tirato in ballo Fun House degli Stooges per spiegare meglio il proprio entusiasmo. In effetti Slaughterhouse si permette di liberare nella vostra testolina una buona dose di rumore distorto senza sacrificare il gusto per la melodia che aveva caratterizzato l’ottimo Goodbye Bread (2011), risultando più coraggioso e solido dei primi Horn the Unicorn o Ty Segall. Alcuni momenti (“Wave Goodbye” e la title-track) ricordano i Nirvana più tragici, quelli di In Utero, con qualche riff di scuola Tony Iommi. Non manca un rifacimento pesantissimo di un classicone sixties (“Diddy Wah Diddy”) che regala anche un solo di feedback che va a unirsi ai molti fischi che puntellano l’album, spingendo in molti a pensare a “Radio Friendly Unit Shifter”.

Ty Segall è fatto così, e per questo gli va voluto del bene: ha cominciato suonando la chitarra in qualche gruppo ed è passato alla one man band una sera in cui, racconta, doveva esibirsi da solo su un palco dove c’era anche una batteria. Gli dispiaceva l’idea di non usarla, e l’ha suonata. Il suo Goodbye Bread, poi, è uscito citando nei crediti di produzione Andrew Loog Oldham, leggendario produttore-manager dei Rolling Stones. Era uno scherzo di un suo amico, e tutti pensavano che la casa discografica se ne sarebbe accorta e avrebbe tolto il nome. Invece no. Ops, scusate, ha detto Ty. Ma in fondo se ne frega, ha pensato. Giusto.

Slaughterhouse è un disco di cui Segall può andare fiero. Sembra andare nella direzione in cui ha sempre puntato (o forse è già lì che ci aspetta), quella raccontata a Exclaim! l’anno scorso: fare evil, evil space rock. Space rock cattivo, arrabbiato. Per dare un’idea: «Metti un po’ di Satana nello spazio e ottieni il suono di cui parlo. “Silver Machine” degli Hawkwind incontra “N.I.B.” dei Black Sabbath che incontra “Master of the Universe” degli Hawkwind».

Non se abbiamo reso l’idea al pubblico di Studio ma sì, Slaughterhouse ci si avvicina, molto. Poi chissà, magari martedì prossimo esce il suo nuovo Ep ed è tutto zigano, e poi ad agosto spunta un doppio album rythm and blues, ma intanto fermiamoci un attimo e apprezziamo il momento. Ty Segall è un serissimo cialtrone di cui c’è molto bisogno.

(Di solito alla fine di una recensione c’è il voto all’opera. Qui no. I voti li danno siti come Pitchfork, e io non la leggo nemmeno quella roba.)

Immagine: copertina dell’album

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