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12:52 mercoledì 3 settembre 2025
Shein ha usato un modello AI uguale a Luigi Mangione in una pubblicità ma è stata subito costretta a rimuoverla È durata poco, molto poco, la prima volta di Luigi Mangione come testimonial di una multinazionale (a sua insaputa).
Sulla Global Sumud Flotilla c’è anche la scrittrice Naoise Dolan «Qualunque cosa accada sulla barca non potrà causarmi più disperazione di quanta ne provocherebbe il non fare nulla», ha detto.
Chloe Malle è la nuova direttrice di Vogue Us Figlia dell'attrice Candice Bergen e del regista francese Louis Malle, dal 2023 era direttrice del sito di Vogue, dove lavora da 14 anni.
Anche la più importante associazione di studiosi del genocidio del mondo dice che quello che sta avvenendo a Gaza è un genocidio L'International Association of Genocide Scholars ha pubblicato una risoluzione in cui condanna apertamente Israele.
La standing ovation più lunga di Venezia l’ha presa The Rock Per il suo ruolo in The Smashing Machine, il biopic sul lottatore Mark Kerr diretto da Benny Safdie.
Il Ceo di Nestlé è stato licenziato per aver nascosto una relazione con una sua dipendente Una «undisclosed romantic relationship» costata carissimo a Laurent Freixe, che lavorava per l'azienda da 40 anni.
La turistificazione in Albania è stata così veloce che farci le vacanze è diventato già troppo costoso I turisti aumentano sempre di più, spendono sempre di più, e questo sta causando gli ormai soliti problemi ai residenti.
Nell’assurdo piano di Trump per costruire la cosiddetta Riviera di Gaza ci sono anche delle città “governate” dall’AI Lo ha rivelato il Washington Post, che ha pubblicato parti di questo piano di ricostruzione di Gaza che sembra un (brutto) racconto sci-fi.

Contro la positività tossica

L'ottimismo social, esagerato e anche egoista, è uno degli effetti collaterali di questa pandemia.

28 Maggio 2020

In un Internet dove hate-speech e manipolazione mentale sono diventati i principali comuni denominatori, l’ottimismo delle casalinghe yogiche e dei guru da strapazzo non dovrebbe costituire, apparentemente, un particolare problema; specie in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo. Il fenomeno risale ai social network degli inizi, e già allora qualcuno lo chiamava positività tossica: quella visione monocroma del mondo che, operando una rimozione dei sentimenti negativi e degli aspetti problematici della vita, racconta la realtà attraverso filtri sovraesposti o nostalgici: vacanze perfette, famiglie unite, tavolate di design, continui ringraziamenti per essere vivi. Nel 2008, in un clima di post-crisi economica e, appunto, dentro a un internet diverso da quello di oggi, iniziarono a spopolare i famosi meme “Keep calm and”, che non hanno mai smesso di imperversare.

Oggi, durante la crisi legata al Covid-19, il contegno ottimista che ci siamo imposti all’inizio, perché intorno a noi c’erano i cortei di bare e la gente che perdeva il lavoro, ci è un po’ sfuggito di mano. Se, infatti, lagnarsi dello stress della vita domestica in mezzo al dramma in corso sembrava irrispettoso, adesso, benedire ogni giorno per l’opportunità irripetibile di mangiare avocado e bere gin sul balcone fiorito mi sembra non solo irrispettoso, ma anche disonesto, sciocco e nocivo.

In questo momento, perfino chiedere di tornare a scuola allegramente a salutarsi l’8 giugno mi suona frivolo: una proposta adatta a beccarsi il plauso dei ragazzini arrabbiati e dei genitori romantici, ma che non tiene conto della fragilità del presente, continuamente a rischio di rompersi e di farci precipitare indietro. I gruppi WhatsApp della scuola iniziano a trillare di nuovo di garrule richieste d’appuntamenti al parco con funi e bolle giganti, come se quasi nulla fosse successo e potessimo attivare lo stesso atteggiamento di rimozione che costituisce la modalità psicologica di tanti status patinati e bugiardi. Si riprendono i contatti con persone sentite solo a inizio emergenza e ignorate nel periodo più buio, quando dormivamo rannicchiati nella nostra metà del letto e solo Zerocalcare ci confortava; si spera allora in uno sfogo bilaterale, in un confronto sincero appena fuori dal tunnel, ma i racconti hanno il tono dei post più disonesti: che periodo eccezionale, abbiamo imparato a suonare l’ukulele, a costruire mangiatoie, ci siamo fotografati durante qualsiasi tipo di esperienza online, dalla lezione di ginnastica artistica al ritrovo scout coi fazzoletti al collo, abbiamo imparato il swahili con una app e rivisto Mad Men bevendo tisane vegan, abbiamo pulito negli angolini e riscoperto il salumiere all’angolo, siamo così privilegiati che abbiamo potuto lavorare a letto con vista sul verde condominiale, e adesso siamo pronti a organizzare i primi festini all’aperto, durante i quali il sudore farà dolcemente scivolare giù la mascherina ai figli innocenti. Possiamo iscriverli ai soliti campus, tanto sanificano tutto ogni giorno e formano gruppetti meno numerosi. Non vediamo l’ora di sederci al bar per lo Spritz a un metro di distanza e di partire per l’estate: l’hotel che ci accoglie ogni anno usa l’ozono, e il nostro amato surf per fortuna è uno sport a prova di distanziamento!

A me, tutto questo ottimismo – se non è falso del tutto – sembra quantomeno esagerato. Mi pare egoista, perché non tiene conto di quel che è appena accaduto e sta ancora accadendo in ogni angolo di mondo; e ingenuo, perché, mentre noi continuiamo a fare acquisti online, non consideriamo il fatto che una seconda ondata potrebbe attaccare anche i nostri regni protetti. Infine, è dannoso, perché esternare la gioia con cui si ha attraversato la quarantena, curando solo il proprio orticello – o, al massimo, segnalando la propria virtù perché si era appesa fuori una cesta sospesa – fa sentire in colpa chi invece ha solo sofferto le restrizioni della pandemia: una casa piccola, una coppia separata che doveva passarsi i figli, o anche solo – senza finire sul lastrico – qualcuno che non sia riuscito a concentrarsi per essere produttivo, che sia stato messo di fronte alla bontà delle proprie scelte di vita, o banalmente che abbia dovuto convivere col peggio di sé.

Prima, prendevo in giro gli account social dove si esibivano le proprie debolezze: ragazze che si fotografavano volentieri col viso rigato di lacrime e raccontavano accoratamente di passare eterni periodi bui. Adesso, apprezzo particolarmente l’onestà dei racconti crudi che non vogliono abbellire la verità, che non ingannano né sé stessi né gli altri con la ricostruzione di una quarantena a prova di Instagram. Basta amiche che non prendono su il telefono perché magari stanno piangendo ma poi ti mandano la foto del loro cactus rigoglioso; basta gente notoriamente isterica che continua a ringraziare il Covid per il tempo ritrovato coi propri figli senza pecche. La storia vera è quella che mi racconta l’anziana vicina, che mentre saliva con l’ascensore a portare un pezzo di spesa al quinto piano, le hanno rubato dodici litri di latte a lunga conservazione. La storia vera è quella di una TikToker sorda che ora piange dal cellulare di mia figlia e la fa piangere con i messaggi di odio che riceve per la sua sordità, ogni giorno, durante il dramma Covid.

Un vecchio compagno di scuola coi capelli ingrigiti che incontriamo mentre trascina un passeggino davanti a una libreria, che ci confessa che – boh – non parte più per Los Angeles e che quando si fa ora di cena, a casa sua, lui e la sua ragazza carinissima si alzano le mani addosso per la rabbia, l’impotenza, la stanchezza e l’incertezza del futuro. E noi che gli rispondiamo che siamo diventati quasi alcolisti. E quei bicchieri da cui beviamo il vino, all’ora in cui lui baruffa, non li abbiamo mai fotografati, perché non somigliano ai bei cocktail che le travel blogger incallite continuano a condividere: sono bicchieri della nutella un po’ sbrecciati, come tutti noi, quando siamo senza filtri.

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