Attualità

Uno schiaffo alla miseria del suono

Yar, stereo fatto a mano e venduto a pochi eletti per 250 mila euro. Un miracolo di vibrazioni e densità, una metafora del capitalismo.

di Gianluigi Ricuperati

A Torino, una mattina di gennaio, in una stanza dell’incubatore startup del Politecnico, nel centro del plesso solare ingegneristico italiano, ho fatto una seduta spiritica: e mi sono apparsi in sogno lucido e musicale Otis Redding, John Coltrane, Sam Cooke, e altri. Il medium si chiamava Yar, e non era un essere umano: ma nemmeno un servo, certamente non un servo muto. Yar è in vendita. Costa 250.000 euro, è fatto a mano, usando componenti di una qualità quasi imbarazzante. Yar è un sistema stereofonico di lusso estremo, composto essenzialmente di un amplificatore che sembra una navicella spaziale e da due altoparlanti alti un metro e settanta circa, concavi e modellati come frammenti aerodinamici estratti dalla coda di una macchina americana splendente degli anni Cinquanta (d’altronde il genius loci dell’alto artigianato industriale piemontese si fa sentire).

La promessa di Yar è di farci ascoltare la musica registrata come nessun sapiens sapiens ha mai fatto: nel cuore del palco in cui viene suonata, nel cono di luce del respiro del sax, sotto l’incanto acustico della vostra voce preferita. Un miracolo di vibrazioni e densità, strappi e accompagnamenti, desideri immediatamente realizzati e farfalle in tutte le cavità del corpo: un viaggio, all’incrocio tra un’opera d’arte tecnologica e una dose di Lsd preparata dal dottor Hoffmann a Zurigo nel 1953. Esperienza per privilegiati completi: 250.000 euro, installazione compresa. Achtung!, se state per indignarvi, considerate nel vostro processo interiore alcune attenuanti generiche. Primo, ci sono sistemi ancora più costosi, si arriva oltre i 600.000. Secondo, questo progetto è il risultato di uno sforzo produttivo e di ricerca del quale beneficeranno anche altri, in futuro. E terzo, oggetti del genere danno lavoro a una filiera di tecnici specializzati locali e non solo. Il pianeta è oggi strutturato in modo tale che ci sono individui che per ascoltare la perfezione del suono estremo spendono quel che la maggior parte dei musicisti, o degli esseri umani in genere, non riesce a guadagnare in una o due generazioni. Gli squilibri e i paradossi sono parte integrante del cosmo capitalistico, o forse sarebbe più corretto dire del cosmo umano: ma oggi, a differenza di prima, il phon informativo che soffia costante ce le porta all’attenzione continua, senza sosta, fino a quando la nostra parte più incline alla semplicità ci implora di ritirarci dal mondo, e vivere senza guardarlo.

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E in effetti una delle cose migliori di Yar è che puoi tranquillamente non guardarlo (anche se qualche piccolo ripensamento sul design esterno farebbe bene alla preziosità estetica del prodotto, specie se si vuole affermare nel circuito dei collezionisti d’arte o di auto, che sulle forme futuribili e sui dischi volanti ha il palato piuttosto insofferente). Come funziona Yar, e chi l’ha realizzato? Mentre ascolto “Africa”, a occhi chiusi, sento due presenze, oltre quella spirituale e fisica di Coltrane e della sua band: a destra delle mie spalle, dietro il divano d’ordinanza, vertice del triangolo perfetto dell’audiofilia, Adriano Marconetto, l’imprenditore. Alla sinistra Giancarlo Sopegno, l’inventore. Senza il loro incontro la macchina, il medium, il tunnel carpale dell’empireo del suono, non esisterebbe.

È una storia tipica del cosiddetto mondo dell’innovazione, così classica da sembrare quasi cliché: Archimede Pitagorico passa una vita nel mondo dell’hi-fi, e nei weekend si ritira nei boschi a studiare il modo in cui i suoni circondano l’abside del tuo cervello, i movimenti delle foglie, il fruscio degli uccelli, le gocce sparse nella ritirata delle rugiade. Il mondo viene incontro alle nostre orecchie con un sussurro lievemente distorto, non con un’esplosione assordante. Un giorno decide di imitare la vita di quei suoni in modalità realistica: meglio di qualsiasi altro, ma non ricercando una purezza astratta: trovando la purezza nell’imperfezione.

Un giorno decide di imitare la vita dei suoni in modalità realistica: non ricercando una purezza astratta: trovandola nell’imperfezione

La presenza umana è a tutti gli effetti una cosa imperfetta, e stranamente pura, almeno ai puri sensi. Cosa deve fare un sistema audio di altissima qualità? Riprodurre il più autenticamente possibile l’impressione di quella accuratissima imperfezione. E grazie a un brevetto di Sopegno che esalta anziché appiattire le distorsioni naturali del suono, l’amplificatore Yar gareggia in modalità piena con la caratura acustica di una presenza: la grana della voce, l’effetto delle corde nella camera acustica, lo sforzo creaturale nell’aggredire il paesaggio senza di lui (tutt’altro che silenzioso) offrendo in cambio la più preziosa delle convenzioni umane: la musica, l’algebra del ventre, quell’insieme di ardimenti matematici che invadono l’aria producendo scatti emotivi assoluti.

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Un giorno Sopegno chiama Marconetto, che ha passato tutta la vita a investire in imprese e startup, da Vitaminic, uno dei primi tentativi di digitalizzare la musica al mondo, all’idrogeno, fino alla recente Proxtome, di stanza a San Francisco. Marconetto riceve proposte di investimento in continuazione, e sa come si vive nell’incertezza del giudizio, ma di una cosa è certo: non investirebbe mai in un pezzo di hardware così “antico” mirato al bizzarro mondo degli audiofili. Per amicizia, così, accetta di sedersi e ascoltare. Il risultato è stupore infantile, risveglio interiore, epifania brutale. Quel tizio alto e allampanato ha trovato un modo di portare il bosco in una stanza: il cielo magari lo portano gli altri, quelli che puntano all’astrazione asettica: Yar è il suono com’è, non come dovrebbe essere. E perciò desta impressione: riconoscimento: parentela. Il giorno dopo i due – l’inventore e l’investitore – sono già un’azienda.

In poco più di un anno, Yar è finito sul mercato: niente negozi, niente rivenditori: in questo segmento di ultras del denaro accumulato il contatto personale è tutto, e la montagna va sempre a Maometto. Presentazioni private, eventi per pochi fortunati, la logica dell’esclusività segue regole terribili. Finora ne sono stati venduti due, ed è un bell’inizio. La mia speranza è che quando un po’ di ricchi avranno fatto proprio questo strumento di meraviglia, i due soci di Yar decidano di venderlo a un prezzo calmierato a qualche fondazione o mecenate in grado di offrire questo viaggio a tutti, magari condendolo con una sana educazione musicale. Un giorno ho raccontato a qualcuno di Yar e mi è stato risposto: «uno schiaffo alla miseria», bellissimo luogo comune dal grande potere metaforico (la miseria dovrebbe essere schiaffeggiata più volte ed eliminata, no? Un pestaggio alla miseria è ciò che tutti gli uomini giusti dovrebbero desiderare). Io non ho mai la battuta pronta, ma in quel caso l’avevo, così ho detto semplicemente: «Yar è uno schiaffo alla miseria del suono».