Attualità

La pelle delle case

Come stanno cambiando i modi di progettare e costruire, per rispondere alle sfide di oggi: sostenibilità e migrazioni soprattutto.

di Davide Coppo

1.
Da quando ero bambino, e dalla finestra di camera guardavo il palazzo di fronte al mio, una casa anonima e grigia con il rivestimento delle ringhiere dei balconi che rivelava ruggine e pigrizia, mi sono posto una domanda a cui non ho mai trovato una risposta certa. È una domanda che può essere posta in modo molto semplice, utilizzando categorie altrettanto semplici e semplificanti, e penso sia difficile da affrontare con certezza per chiunque, o quasi: è meglio vivere in una casa bella, dall’esterno, e affacciarsi su una brutta, o viceversa? Naturalmente, è una domanda che ricorda il gioco della torre. Ma il gioco della torre è spesso un divertissement puramente intellettuale. In contesti urbani, la scelta tra una casa brutta e una casa bella, da abitare o da vedere ogni giorno, per anni, è una possibilità estremamente più concreta.

2.
È un rischio particolarmente diffuso in città eterogenee come Milano, in cui nella stessa via, dal centro storico alle periferie oggetto di recente riqualificazione (Città Studi, Isola, NoLo) si alternano edifici tipicamente rinascimentali lombardi, edilizia costruita in fretta e furia negli anni Sessanta e Settanta, austeri ma eleganti condomini novecenteschi, e piccoli palazzi razionalisti dell’epoca precedente la Seconda guerra mondiale. Tuttavia, di tanto in tanto, si aprono nuovi spazi per nuove costruzioni. Può accadere in due modi: come nel caso – ancora a Milano – della costruzione ex-novo di un intero quartiere, come quello di Porta Nuova, o in quello di vecchie costruzioni abbattute, che lasciano spazio a nuove possibilità.

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3.
Muji, nel 2014, ha proposto una soluzione per il secondo caso, e per una città tra le più densamente costruite nel mondo: Tokio. Un appartamento su tre livelli, con tre finestre, due rampe di scale, nessuna porta e nessun muro all’interno. Oltre alla “vertical house”, Muji più di recente si è impegnata nella costruzione di anche altre unità abitative, in contesti non strettamente urbani. L’attenzione, in questo caso, è alla sostenibilità, ai materiali, alle finiture. Il progetto si chiama Muji Hut e comprende piccoli prefabbricati disegnati in collaborazione con gli architetti Naoto Fukasawa, Jasper Morrison, e Konstantin Grcic. Grcic ha costruito una casa di alluminio, sull’esterno, e interamente di legno all’interno. Il mini-loft di Morrison è rivestito di pannelli di sughero, mentre i pavimenti interni sono ricoperti di morbidi tatami.

4.
Adolf Loos, architetto austriaco, prima seguace poi avversario della Secessione Viennese e uno dei pionieri dell’architettura moderna, scrisse: «La casa deve piacere a tutti. A differenza dell’opera d’arte che non ha bisogno di piacere a nessuno».

5.
Alla Biennale di Venezia del 2016, diretta da Alejandro Aravena, il padiglione tedesco era intitolato “Making Heimat”. Heimat è una parola tedesca difficilmente traducibile in italiano, e come spesso avviene con la lingua tedesca, è riassumibile, pur con qualche difficoltà, con una serie di sentimenti: quello che si prova pensando alla casa, principalmente, o alla patria, o all’intingolo di amori e rancori e ricordi che si provano pensando a un luogo di appartenenza. Il padiglione ha unito le idee di urbanisti, architetti, sociologi su come dovrà, o dovrebbe, essere la città ideale che accoglie chi fugge da guerre, cambiamenti ambientali, persecuzioni. Ha contribuito anche Doug Sounders, giornalista canadese, scrivendo un testo in cui sostiene che le “città di arrivo” potrebbero essere i luoghi in cui si svilupperanno le classi creative di domani.

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6.
Proprio Aravena, nel novembre 2015, aveva dichiarato che le tende per i rifugiati sono uno spreco di denaro. «Soldi che si scioglieranno», aveva detto per la precisione. Una soluzione migliore, per Aravena, sarebbe costruire strutture solide, basate su un approccio “incrementale”, che gli inquilini possono contribuire ad ampliare e migliorare una volta insediati. Aravena ha fondato il think tank Elemental a Santiago, per approcciarsi a questo problema specifico in Centro e Sud America.

7.
Nel dicembre 2016 mi sono trovato a guidare per ore e chilometri lungo strade statali sudafricane, passando per le township di lamiere, amianto, legno e fango. Più raramente, le case sono di mattoni. Un’amica sudafricana mi ha raccontato che Zuma, in vista delle ultime elezioni, fece costruire in fretta e furia centinaia di case “più solide” per migliorare la vita degli abitanti delle township. Dicono che oggi, soltanto pochi anni dopo, i primi inquilini di quelle “case elettorali” le abbiano abbandonate, tornando a costruirsene di proprie, perché troppo scadenti. Le affittano, piuttosto, ai nuovi arrivati più bisognosi.

8.
L’innovazione dei materiali in architettura si divide, quindi, tra nuovi concezioni di urbanità, migrazioni e zone rurali. Beppe Finessi, ricercatore al Politecnico di Milano e architetto, ha dichiarato che il lavoro sui materiali, sulle superfici e sulle finiture sia «arrivato a un livello di ricerca impensabile fino a qualche anno fa». In un documento diffuso da Edilegnoarredo poche settimane fa si legge: «Le aziende non disegnano più solo per il gusto di fare un bel design, ma anche per soddisfare una funzione». «Stiamo assistendo a una nuova ondata», ha aggiunto il presidente di Edilegnoarredo, Massimo Buccilli. La sostenibilità è forse la principale tra le parole chiave di questa new wave, ed è su questo percorso che stanno camminando i creatori di Biosphera 2.0. È un modello abitativo energeticamente autonomo, ovvero in grado di produrre tutta l’energia di cui necessita completamente da solo. Da febbraio 2016 a febbraio 2017 si è spostato da Courmayeur a Milano a Locarno a Bolzano, passando per Riccione, Torino, Cuneo, Aosta. La casa è stata sottoposta a temperature tra le più diverse, dai 40 gradi a meno 15. I dati energetici sono raccolti in diretta su una pagina del sito.

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9.
House Vision 2 è stata un’esposizione architettonica inaugurata a Tokio nel 2016 per esplorare le case del futuro.Tra le proposte, Sou Fujimoto ha presentato un complesso abitativo interamente realizzato, all’esterno, con cubi di legno. La struttura è pensata per offrire grandi spazi condivisi ai suoi inquilini, anziché piccoli spazi privati. Kengo Kuma ha disegnato, in collaborazione con Toyota, delle tende in tessuto a tenuta d’aria e fibre di carbonio. Collegandosi a un veicolo prodotto dalla casa automobilistica capace di produrre energia solare, le tende sono in grado di caricare l’energia dall’auto e trasformarla per l’uso domestico. “Open House with Condensed Core” è il nome del progetto di Shigeru Ban: la particolarità della casa è la creazione di un sistema capace di condensare le funzioni essenziali della vita di ogni giorno – l’uso della cucina, del bagno, dei rubinetti, della doccia – in un nucleo («Life Core») in grado di raggruppare le acque di scarto nel tetto, anziché sottoterra, per permettere una flessibilità di layout architettonico estremamente maggiore. Per quanto riguarda le finiture esterne, la “OHWCC” è dotata in alcuni punti di pareti di vetro capaci di muoversi e aprirsi in modo sorprendentemente semplice.

10.
Una delle possibili soluzioni al problema della torre del primo punto è scegliere un appartamento che affacci all’interno, ovvero su un cortile comune. Potrebbe comunque non risolvere il dilemma estetico, ma divertirebbe la mente curiosa con la possibilità di immaginare, a partire da piccoli indizi voyeuristici – visivi, uditivi, olfattivi – le vite degli altri inquilini, e costruirsi, nel proprio piccolo, il proprio Vita, istruzioni per l’uso condominiale.

 

Nell’immagine in evidenza, un modellino dell’esposizione Creation from Catastrophe: How Architecture Rebuilds Communities, tenutasi in Giappone dopo il terremoto del 2011. Nel testo, la Vertical House di Muji; il complesso della Quinta Monroy a Iquique, in Cile, di Aravena; la proposta di Sou Fujimoto a House Vision 2.