Attualità

Tornare a crescere

È il grosso problema di questo paese; come aiutare le nostre imprese e favorire la crescita sul serio al di là dei luoghi comuni?

di Redazione

In vista del voto, continuiamo il nostro giro di consultazioni su temi concreti che ci riguardano da molto vicino. Oggi parliamo di crescita e piccole e medie imprese.

L’Italia non cresce da una generazione. Secondo paese manifatturiero d’Europa e sesto del mondo, è stretta dal falso slogan “piccolo è bello” dove “piccolo” che non cresce è diventata una forma di rachitismo e PMI non sta più per Piccole Medie Industrie ma per Piccole Micro Industrie. Senza crescita reale la riduzione seria del debito pubblico sembra un miraggio. Fisco, innovazione, scuola di avviamento al lavoro e apprendistato sul modello tedesco, pagamenti dalla pubblica amministrazione: come far ripartire la crescita?

 

Risponde Daniele Bellasio, giornalista del Sole 24 Ore:

Fisco, fisco, fisco. Datemi una leva fiscale e vi risolleverò l’economia, questo dovrebbe dire qualunque premier, sottolineando e poi rispettando la promessa, a differenza di George Bush sr, con un bel «leggete le mie labbra: basta tasse». Chi ha a cuore lo sviluppo sa che il principale ostacolo oggi è il peso del fisco. Vanno ridotte le imposte su imprese e lavoratori. Va reso conveniente l’investimento. Se guadagnare non conviene, crescere diventa inutile. Sarà cinico, ma è così. Meno tasse poi – Laffer docet – può significare più entrate per lo stato. Vanno defiscalizzate le idee che diventano nuove imprese, chessò, per uno, due, tre anni. Abbiamo stipendi bassi e costo del lavoro alto, va invertito l’ordine dell’equazione, anche qui è un problema di fisco. Un governo per favorire la crescita, che poi è sempre innovazione, dovrebbe fare due cose: alleggerire la pressione fiscale e appesantire il portafoglio degli investimenti in scuola, formazione, ricerca. Meno gabelle, più pagelle. Le risorse? Intanto privatizzando.

 

Risponde Federico Fubini, giornalista del Corriere della Sera:

La ridotta dimensione delle imprese italiane è in parte una conseguenza delle vecchie regole del lavoro, in base ai quali, fino a poco tempo fa, la flessibilità in uscita si applicava fino ai 15 dipendenti. Sarà interessante vedere come cambieranno le cose, ora che questo tetto è saltato: gli effetti si vedranno nel giro di qualche anno. Detto questo, per la crescita non esiste una ricetta unica. Se vuole migliorare (o anche solo stabilizzare) la traiettoria del Pil, l’Italia deve muoversi in due direzioni: da un lato ridare respiro ai consumi, dall’altro riattivare i canali del credito. Un modo per sostenere i consumi è ridurre le imposte su chi lavora, il che a sua volta implica una riduzione della spesa pubblica maggiore a quella eseguita fino ad ora. In più bisogna affrontare il problema della banche, che hanno due handicap. Da un lato hanno un tasso di sofferenza bancaria a livelli elevati ed in aumento, dall’altro non riescono a finanziarsi sul mercato. È un problema di cui si parla poco ma che va affrontato. Infine l’economia Italiana ha bisogno di tassi di interessi più bassi, perché il debito totale, tra pubblico e privato, è al 380% del Pil. Il Paese deve riflettere sull’opportunità di chiedere sostegno all’European Stability Mechanism e alla Banca centrale europea. Ci sono ragioni politiche che spingono a ritardare o rifiutare la decisione, ma la razionalità economica indica che per crescere l’Italia ha ragione di tassi più bassi e l’intervento della Bce è il modo migliore per ottenerli.

 

Risponde Tonia Mastrobuoni, giornalista de La Stampa:

Un uomo che è stato tanti anni a capo del prestigioso ufficio studi della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, scrisse tempo fa un magnifico libro in cui rigettava la tesi dilagante del declino inevitabile dell’Italia e spiegava che c’era una minoranza di imprese, una punta di diamante del sistema, da imitare. Scriveva Rossi che le aziende italiane si sono mosse, in questi ultimi vent’anni in cui hanno affrontato due sfide immense, la globalizzazione e l’adozione dell’euro, come figure degli scacchi. C’è chi ha abbandonato il gioco, c’è chi si è salvato facendo la mossa del cavallo oppure affrontando quella sfida di petto, come la regina. Ma in ogni caso ha vinto chi ha compreso la sfida tecnologica, chi ha investito in ricerca e innovazione per migliorare i prodotto, rendendolo competitivo in un mercato globale dominato dalla produzione asiatica, chi si è emancipato insomma dalla chimera della svalutazione competitiva. Naturalmente lo Stato può e deve aiutare, anzitutto abbassando le tasse che gravano sulle imprese che sono tra le più alte al mondo, eliminando i “lacci e lacciuoli” burocratici che secondo Guido Carli soffocavano le aziende italiane e combattendo la corruzione. Ma non può essere un alibi, come lo è stato per molti, per costruire la propria strategia aziendale su scorciatoie come la moderazione salariale. Investire è la parolina magica che per troppi è diventata un’eccezione che ha contribuito a rendere l’Italia tra i paesi a più bassa crescita di produttività dell’occidente. È questa la sfida per il futuro.

 

Risponde Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni:

La piccola e media impresa italiana è la spina dorsale di questo Paese. In Italia, nonostante tutto sopravvive una certa tendenza all’imprenditorialità diffusa. Questa è una sorprendente risorsa del nostro Paese: c’è ancora un capitale umano desideroso di esprimersi e di realizzarsi facendo l’imprenditore.
Le piccole dimensioni non vanno di per sé né esaltate né biasimate. Noi non sappiamo, a priori, quale è la dimensione ottimale di una impresa. Il problema è semmai legato a norme distorsive sul diritto del lavoro, che disincentivano la crescita dimensionale per numero di addetti o che al contrario incentivano la formazione di partite Iva che in realtà, nel resto del mondo, corrisponderebbero a rapporti di lavoro subordinato.
L’unico modo per tornare a crescere è liberare risorse. Questo significa anche tagliare le tasse. La crescita la fanno le imprese. E’ importante anche che lo Stato smetta di fare il gioco di Caligola: di decidere cosa finanziare e cosa no, attraverso incentivi di sorta. Molto meglio abbassare a tutti le imposte, uniformemente. O si fa così o la crescita non riparte.