Attualità

Trionfo di un commesso viaggiatore

Domani esce nelle sale italiane The Founder, biopic di John Lee Hancock sulla vita eccezionale di Ray Kroc, il rappresentante di frullatori che ha costruito un impero.

di Davide Piacenza

«These boys have got this down / ought to be one of these in every town / These boys have got the touch / It’s clean as a whistle and it don’t cost much». Nel 2004 Mark Knopfler pubblica il suo quarto album da solista, Shangri-La. L’unico singolo estratto dal disco dell’ex frontman dei Dire Straits è “Boom, Like That”, un pezzo ispirato dalla sua lettura di un’autobiografia pubblicata nel 1992, a otto anni di distanza dalla morte dell’autore: si intitola Grinding It Out: The Making of McDonald’s, e il nome di chi l’ha scritta è Ray Kroc, l’artefice dell’interminabile successo del behemoth dei fast food. In un twist della più antica prassi hollywoodiana, il film sul fondatore di McDonald’s che domani arriva nei cinema italiani, The Founder, è nato prima dalla canzone che dal libro, e più precisamente dal momento in cui il produttore Don Handfield l’ha ascoltata, gli è piaciuta e si è appassionato alla storia impensabile del cinquantaduenne rappresentante di frullatori inserito dalla rivista Time nella lista delle cento persone più influenti del Novecento.

Quando Raymond Albert Kroc, a un certo punto della sua vita, disse che avrebbe fatto di McDonald’s «la nuova chiesa americana» sarebbe stato difficile prenderlo alla lettera senza un certo fideismo. Nel 1954 gli avevano riferito che il ristorante di due fratelli californiani di San Bernardino, Richard e Maurice McDonald, aveva comprato cinque suoi Multimixer – l’invenzione che aveva iniziato a vendere agli albori della Seconda guerra mondiale, una macchina in grado di unire cinque miscelatori di latte in uno – e li usava tutti contemporaneamente, quasi senza interruzioni. Kroc aveva escluso che una piccola attività potesse vendere tutti quei frullati, ma qualcosa l’aveva convinto a mettersi in viaggio in auto verso ovest. A San Bernardino aveva visto coi suoi occhi un fast food stipato di persone di ogni età, tutte intente a pazientare in attesa di vedere apparire il loro piatto di hamburger e patatine. Il cinquantenne aveva parlato con loro, scoprendone l’entusiasmo, e poi con i proprietari del locale, i fratelli McDonald, che gli avevano detto che il segreto del loro successo era stata l’introduzione dello “Speedee Service System”, un sistema in grado di produrre un panino in trenta secondi, permettendo di tenere bassi i prezzi di vendita. Quel fordismo applicato all’hamburger aveva sbalordito Raymond Kroc come nessun’altra cosa prima o dopo, al punto da fargli scrivere nelle sue memorie «visioni di ristoranti McDonald’s che costellavano gli incroci dell’intero Paese passarono sfilando attraverso la mia mente».

The Founder è il sesto film da regista di John Lee Hancock, già autore di lungometraggi di successo tratti da storie vere di personaggi poco ordinari (The Blind Side e Saving Mr. Banks), e ha affidato il ruolo di protagonista a Michael Keaton, che torna a una grande interpretazione dopo Birdman. La sceneggiatura curata da Robert Siegel è però l’ago della bilancia del progetto, nonché soprattutto la risposta alla più prevedibile delle domande: si può parlare dell’epopea McDonald’s rimanendo del tutto imparziali, sparendo dietro la doppia lente della macchina da presa e della storia americana? Si può raccontare la vicenda personale di un uomo separandolo dall’impresa della sua vita, da quei 37 mila ristoranti (sì, così tanti; a un manager italo-americano degli anni Settanta, Luigi Salveneschi, si deve il Monotony Index, un teorema secondo cui più la vita sociale di un centro abitato è piatta, maggiori profitti ne trarrà la catena) che oggi, quasi sessant’anni dopo, rimangono un simbolo per alcuni e un idolo esecrabile per altri? Insomma, si può parlare della catena di ristoranti più famosa di sempre senza avere un’opinione netta su come ha cambiato il mondo?

Hancock e Siegel rispondono di sì, o perlomeno delegano la rappresentazione dei chiaroscuri di McDonald’s alla messa in scena di quelli del suo deux ex machina fumantino, un businessman rapace che estromette dal business i due fratelli californiani perché non condividono le sue mire espansionistiche (come Trotzkij, ma più fortunato, Ray Kroc era convinto che la rivoluzione non potesse avvenire in un solo Paese) e cita con immutato disprezzo, pur ad anni e miliardi in ricavi di distanza, quel loro aver voluto mantenere il controllo del primo, mitico ristorante dopo la vendita delle quote della società, nel 1961: «Che trucco maledettamente scorretto!».

First McDonalds Franchise Recalls Fast-Food Giants Beginnings

Come ogni storia di queste proporzioni, anche il mito della fondazione di McDonald’s non rivela solo i vantaggi di un fato benevolo: il signor Kroc a cinquant’anni passati sapeva che il meglio della sua vita era davanti a lui, credeva nelle vaste possibilità del marketing fin da quando, adolescente, lavorava alla bancarella di uno zio che vendeva bibite e frullati. Lì aveva scoperto che un sorriso e un’aria affabile potevano far vendere snack e dolci a chi era venuto solo per un caffè; seguendo questa intuizione, dopo aver iniziato il nuovo cammino nella ristorazione, aveva investito nella pubblicità: Ronald McDonald fece la sua comparsa negli schermi delle televisioni americane nel 1965, decenni prima della recente psicosi da clown. Sei anni dopo, scrive il food writer John Mariani nel suo America Eats Out, la nuova mascotte «era conosciuta dal 96 percento dei bambini d’America, molti di più di quanti sapevano il nome del presidente degli Stati Uniti». Il modello di business creato e difeso da Kroc continua a rimanere unico: nessun altro fast food deve un quinto dei suoi ricavi globali agli affitti dei suoi licenziatari. E oggi rimangono la Hamburger University, l’accademia che compendia la filosofia lavorativa McDonald’s, nata nel 1961 nel seminterrato di un ristorante dell’Illinois per volere di Fred Turner – all’epoca primo addetto alla griglia di Kroc e in seguito amministratore delegato della multinazionale – e le Ong in favore dell’infanzia aperte dal fondatore e dai suoi eredi.

Se c’era una cosa capace di rilassare davvero Raymond Kroc, era pensare ai suoi affari. In Grinding It Out scrive in toni entusiasti della sua nuova lussuosissima casa di Woodland Hills, California, giudicate voi se accostabili a un ex figlio di emigranti cecoslovacchi che sta insperabilmente guadagnando i suoi primi milioni di dollari: «L’abitazione era posata su una collina da cui si poteva vedere il McDonald’s sito sulla strada principale. Potevo prendere un binocolo e osservare come andavano le cose nel ristorante direttamente dalla finestra del mio soggiorno».

Nelle immagini: riproduzioni del primo McDonald’s aperto in franchising a Des Plaines, Illinois, nel 1955 (Tim Boyle/Newsmakers)