Attualità

République Bobo

Libri e inchieste giornalistiche d'oltralpe delineano i contorni dell'universo bourgeois-bohémien che depreca la Nespresso e fa salire le quotazioni immobiliari del decimo arrondissement parigino. Ecco perché conta Bobolandia.

di Michele Masneri

Esprit de finesse o esprit de géométrie? I francesi vanno a fondo di questioni forse assai secondarie con spirito feroce enciclopedico mai sanato. Così sulla vexata quaestio dei bobo (cioè poi i bourgeois-bohémien molto deprecati come versione d’oltralpe dei soliti radical chic 2.0 o “fascia alta dei morti di fame”- copyright Walter Siti) ecco tutto un fiorire di opere di finzione e di realtà, e inchieste giornalistiche.

Carnage al supermarket, intanto. Yasmina Reza, talentuosa biografa di Sarkozy e scrittrice e commediografa francese (autrice di una pièce, Art, molto famosa in Francia, e in Italia soprattutto di Carnage (da cui film claustrofobico di Polanski) mette in scena nel suo libro di monologhi Felici i felici (Adelphi) una coppia bobo al supermercato che sbrocca durante una scelta di formaggi. Le Monde la butta invece in politica. E se Bobolandia comincasse a votare a destra? Per Bobolandia si intende lo stato-nazione pressoché indipendente delimitato dalle rues de Marseille, Beaurepaire e Yves-Toudic, nel decimo arrondissement, vicino Place de la République, già quartier generale di Sarkozy, per paradosso, sul Canal St. Martin dove ha avuto luogo la più feroce gentrificazione della storia parigina, con valori immobiliari passati da 2 a 10.500 euro al metro in quindici anni.

I gentrificatori bobo sono arrivati soprattutto dai quartieri alti, quindicesimo e sedicesimo, che adesso disprezzano come “quartieri dormitorio”, qui sono contentissimi perché ci sono molte ciclabili e un mini tridente pedonale.

A Bobolandia, segnala il Monde, i suv sono naturalmente estinti, si gira solo con auto Skoda – brand poveristico Renault molto in voga tra i ricchi – e car sharing, e soprattutto biciclette, ci sono negozi soprattutto Agnès B, e si vota soprattutto a sinistra.  Il minisindaco del X, cioè di Bobolandia, dice di «non pronunciare mai questa parola in pubblico»; ma di considerarsi tale, cioè Bobo, e come tale intendere «uno stato dello spirito, una forma di apertura, un modo di vedere la vita divenuto dominante tra la classe media dell’arrondissement». «La gente viene qui tipo paese delle meraviglie», dice un’agente immobiliare interpellata dal quotidiano. «Se si libera un appartamento lo riaffittiamo in un quarto d’ora». Un trilocale con vista canale sta a 730.000 euro. I gentrificatori bobo sono arrivati soprattutto dai quartieri alti, quindicesimo e sedicesimo, che adesso disprezzano come “quartieri dormitorio”, qui sono contentissimi perché ci sono molte ciclabili e un mini tridente pedonale.

Il Monde comincia anche a segnalare una pericolosa futuribile deriva destrorsa dei bobo. A marzo ci sono le elezioni comunali a Parigi. «Bobo di destra è un ossimoro» secondo una sociologa del tridente. Eppure i segnali pericolosi ci sono. La scuola pubblica locale, il Saint Michel, è in cima ai tassi di abbandono; e nessuno ci vuol mandare più i figli, è frequentato malissimo. I bobo con sensi di colpa e anche senza mandano i figli alle private. I bobo della prima ora sono oramai oltre i quaranta e si lamentano dei rumori e delle feste sul canale. «Sembrava che avessero messo una caserma della polizia. Non sapevamo se indignarci o essere contenti. Poi un giorno se ne sono andati, stavano solo girando un film. Eravamo molto delusi», confessa una coppia in crisi di mezza età.

Ma chi sono poi questi bobo e perché fanno tanta paura? Lo spiega il saggio definitivo: si chiama République Bobo, è appena uscito in Francia, lavoro di una coppia, Laure Watrin e Thomas Legrand, lei scrittrice e lui giornalista (edizioni Stock). Analizzano il fenomeno tipo Lévi Strauss in Tristes Tropiques, ma senza uscire dal quartiere. La fondamentale opera si apre con una autodenuncia: «Siamo bobo. Scriviamo da un appartamento di una via non ancora troppo gentrificata, e che speriamo non lo sarà mai completamente. Scriviamo stesi su un soppalco di ferro arredato con mobili di recupero, circondati da vecchie foto, dai nostri iPhone. Dieci volte al giorno ci stacchiamo dalle nostre tastiere, dalle nostre Moleskine, dai nostri libri di sociologia sbrindellati per farci un caffè con una macchina da bar; eravamo stufi della Nespresso, eravamo molto sospettosi sul sistema di riciclaggio delle capsule tramite apposito sacchetto».

I bobo (come gli hipster) sono sempre gli altri, anzi bobo c’est les autres, e anzi non avendo l’inconscio o forse avendone troppo detestano stare dove ci stanno troppi loro simili.

Dopo la dolorosa introduzione Watrin e Legrand distinguono innanzitutto tra bobo gentrificatoribobo mischionisti (in francese, bobo-mixeurs): i primi vivranno in un quartiere anticamente popolare, abitato oggi solo da bobo come loro, per vivere in una «bolla di bobo-itudine fatta di ristorantini semplici ma buoni, concept store e bici olandesi» (Monti?). I secondi, si mescoleranno in un universo di melting-pot, di varietà sociale ed etnica, in quartieri ancor oggi popolari (Torpigna, o Pigneto estremo, tipo Certosa). Due universi destinati a non fare la differenziata insieme: un’altra caratteristica del bobo è che mette in atto molto la negazione psicanalitica; i bobo (come gli hipster) sono sempre gli altri, anzi bobo c’est les autres, e anzi non avendo l’inconscio o forse avendone troppo detestano stare dove ci stanno troppi loro simili; quelli del centro (del Marais, o di Monti) guarderanno male quelli che si sono spinti in periferia denunciando il loro falso ribellismo (quelli del diciottesimo arrondissement o di Aubervilliers, o Torpigna).

Alla presentazione di Republique Bobo, la settimana scorsa a Parigi, in un bar überbobo, la coppia di autori aveva onestamente annunciato «c’è molto di voi qui dentro», ma nessuno si è offeso, anzi, tutti hanno pensato “poveretti quegli altri presi in giro così ferocemente”. È un fenomeno che si conosce. Però ugualmente basta con il bobo-bashing, cioè il bullismo sui bobo, dicono Watrin e Legrand; troppo facile; per la destra, notano gli autori di République Bobo, i Bobo sono «apolidi, utili idioti dell’immigrazione e della globalizzazione». Per l’estrema sinistra, invece, “incubatori del capitalismo, inquisitori del buon gusto e del pensiero unico, terroristi intellettuali”. Qui si esagera. È l’ora dell’autodifesa. Il geografo Jacques Lévy, interpellato, sostiene timidamente che “quelli che voi chiamate i gentrificatori, io li chiamo piuttosto liberatori di ghetti“. Fanno bene ai quartieri, fanno salire le quotazioni, e gentrificazione è diversa da imborghesimento. Però poi Watrin e Legrand fanno autocritica e crollano, tornando alle famigerate capsule: «tornando alla questione caffè, forse semplicemente il Nespresso era diventato troppo mainstream, e questo rivestire una semplice cambiamento di abitudini domestiche con un apparato ideologico, mischiare il caffè alla sopravvivenza del pianeta fino a farne un atto politico; ecco cosa fa detestare noi bobo. Ecco il terreno di cultura dell’odio per noi».