Attualità

International Thatcher Blue

Cosa comunicano gli abiti delle donne di potere, a partire da quelli della Lady di ferro, battuti all'asta in dicembre da Christie's.

di Valeria Montebello

È blu notte il colore dell’abito da sposa di Mrs Margaret Thatcher venduto in dicembre da Christie’s a venticinquemila sterline, insieme alla sua valigetta di pelle rossa graffiata – con timbro a caratteri d’oro impresso dalla regina Elisabetta – e al suo impermeabile Aquascutum stile Lawrence d’Arabia che non lasciava intravedere neanche un lembo di pelle. Quando ci tiriamo giù dal letto la mattina si presenta il primo degli innumerevoli dilemmi della giornata: cosa mettersi addosso. Anche chi dice di infilarsi la prima cosa che gli capita sotto mano deve fare i conti con il proprio armadio, con le scelte passate, con gli scheletri che penzolano dalle stampelle. In poche parole: con il loro stile. E vestirsi è una scelta cruciale, soprattutto se si è Margaret Thatcher, Angela Merkel o, che so, Sua Maestà la regina.

Cos’hanno in comune queste tre donne? Hanno i capelli corti e gli occhi azzurri, indossano abiti monocromo dai colori sgargianti e hanno governato/governano i loro Paesi. Passato, presente, eternità. Mentre una qualsiasi star di Hollywood può permettersi qualche caduta di stile, anzi, i loro scivoloni foraggiano le fashion blogger, il gossip e la speranza delle fan nella metamorfosi, le politiche non possono barcollare. Fanno parte dello spettacolo, ma non sono semplici attrici con i loro copioni a singhiozzo, con la loro parte da recitare. Devono essere immutabili, obbedire a una certa continuità, e pensare alla successione. Colori unici, linee dritte, minimalismo. Le vesti che indossano sono il messaggio prima della parola, quello che conta davvero. La regina non ne sbaglia una e anche se dovesse sbagliare un accostamento sarebbe comunque “giusta”, la sua eternità è conclamata, a suon di cappellini e soprabiti abbinati è diventata un’icona pop. La Merkel inciampa – senza cadere o cadendo in piedi – con i calzini in vista sotto un vestito da sera o con qualche taglia sbagliata, ma è cosa di poco conto. La Thatcher calcolava anche le macchie nei minimi dettagli, facendole diventare un cult. Ha raggiunto l’acme in termini di outfit osè nella foto in cui è seduta con le gambe sopra il divano a fiori e, con le scarpe poggiate lì sotto, lasciava i piedi in bella mostra (coperti da calze trasparenti: non i gambaletti della Merkel ma collant dello stesso colore della sua pelle, non un tono in meno, né uno in più), mentre studiava gli assetti strategici del Paese come se stesse leggendo un Harmony, magari decideva guerre, tranquilla come se nulla la turbasse, come se nulla fosse. La potenza di questa immagine non ha eguali, la consacra unica.

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Il suo cammino verso l’altare della Wesley’s Chapel con l’abito di velluto blu notte è un’altra senza tempo. Velluto rivelatore del controllo esercitato da quando, a soli nove anni, con il suo premio scolastico sottobraccio, rispondeva annoiata ai complimenti: «Non sono stata fortunata. Me lo meritavo». Va all’altare, ma sembra andare verso la guida del Paese, sposa d’Inghilterra, con un vestito tagliato dritto, con profondo scollo a V. Per il disegno del suo abito nuziale si è ispirata al ritratto della carismatica Georgiana Cavendish, altra donna potentissima, Duchessa del Devonshire, dipinta da Thomas Gainsborough negli anni Ottanta del Settecento. La nobildonna portava un cappello gigante, pieno di piume di struzzo come quello sulla testa di Margaret. Passato, presente, eternità.

Mentre sono lì che parlano di politica estera tutti si chiedono: cosa ci sarà dentro le loro borse?

Resta blu il suo colore anche durante i discorsi più importanti: navy per le Isole Falkland, carta da zucchero per gli attacchi all’Urss, ceruleo mentre parafrasava Francesco D’Assisi, blu di Prussia quando difendeva Pinochet. Con spille di zaffiri annesse e altre pietre preziose, rimando continuo al suo sguardo fiero. Due pozze lapis protette da palpebre traslucide, in debito con ghiacciai siderali e sanguinari sovrani passati. «Ha la bocca di Marilyn Monroe e lo sguardo di Caligola», è così che il presidente francese Mitterrand, ossessionato e intimorito dalla Thatcher, parlava di lei con il suo psicanalista. Un mostro sacro che con la sua immancabile borsetta percuoteva gli avversari a suon di frasi taglienti.

La figura della Thatcher (come quella di Elisabetta II e della Merkel) sembra posizionarsi fuori dallo Zeitgeist. Negli abiti di queste donne si vede il potere nel suo più sfolgorante scintillio: il silenzio. Nessuna stretta di mano sudaticcia, o pacca sulla spalla. La definizione è per loro il pericolo maggiore e la sconfiggono non eliminando i particolari, ma facendoli diventare dei veri e propri feticci. Prendiamo le borsette. Quelle della Thatcher e quelle della regina – della casa londinese Launer – che si portano sempre dietro, ovunque. Mentre sono lì che parlano di politica estera tutti si chiedono: cosa ci sarà dentro le loro borse? Mentine, calze di ricambio, una limetta per le unghie, una pistola, un bel niente?

Christies Auction The Personal Belongings Of Margaret Thatcher

La stanza dei bottoni, la localizzazine del potere politico – spingere i pulsanti per governare le macchine, la rotta – non è nascosta nel cuore remoto del palazzo. I bottoni rossi e verdi non sono altro che i tre dischetti sulle giacche avvitate della Merkel o quelli sui tailleur della regina-Thatcher. Non a caso i bottoni erano la passione del primo ministro e Crawfie, la sua assistente, gliene comprava a quintali a Marylebone Lane da Button Queen o a New York da Tender Buttons. Ogni impresa, anche se guidata da un capo illuminato, ha bisogno di aiutanti fedeli: Cynthia Crawford che ha lavorato per la Thatcher per oltre trentacinque anni, Bettina Schoenbach per la Merkel, e Angela Kelly, sarta personale della regina. Loro sanno bene che il tempo della moda è quello del  “non ancora” e del “non più”. Appena ci si definisce alla moda si è già fuori moda, è questa la sfasatura. Il tocco démodé che avvolge le tre potenti le rende ieri, adesso e sempre, come si diceva delle signore eleganti nella Parigi dell’Ottocento: «Elle est contemporaine de tout le monde». Karl Lagerfeld ha detto che «il look della Merkel è ok», la frase è corredata da infiniti “anche se”. Ma non importa. Regina-Primo Ministro-Cancelliera sfoggiano abiti al di là della moda – o abiti che vengono dall’aldilà della moda – eppure sono immortalate continuamente, adorate dai paparazzi: dalla “Thatcher mania” ai gadget della regina, passando per la Merkel donna dell’anno sulla copertina di Time. Sarà perché tutte e tre riescono ad indossare il rosa shocking senza sembrare delle quindicenni in crisi d’identità?

Per queste politiche vale l’adagio medievale prima della negazione, “l’abito fa il monaco”, parafrasando: l’abitudine crea il carattere che determinerà il tuo destino. La vendita all’asta degli abiti dell’ex Primo Ministro ha toccato il record di tre milioni di sterline. Chi può voler comprare i vestiti vecchi di una donna morta? Qualche fanatico delle reliquie o qualcuno che ha fiutato il potere che permea quelle stoffe, che resta anche dopo la morte, come un’essenza. L’unica cosa che ci è rimasta di quella potenza: la sua impronta. Il profumo delle sue vesti di chiffon, il viso delicatamente truccato, i capelli biondi leggermente ondulati e laccati, i tailleur blu scuro, le labbra serrate da vera strega. Una potenza quasi divina, provvidenziale e insieme la turchina reginetta del ballo, impeccabile e imbambolata con le sue perle a globo. Notturna e mattutina, serale e meridiana. Una chimica con lode ad Oxford che, trafficando con le sue provette,  è riuscita ad inventare una nuova tonalità di blu, più oltre dell’oltremare di Yves Klein. Un blu oltremondano che ha tinto gli stracci del tempo: l’International Thatcher Blue.

Nelle immagini: l’anteprima stampa dell’asta da Christie’s degli abiti della Thatcher, Londra 15 dicembre 2015 (Carl Court/Getty Images).