Attualità

Il successo (non italiano) del giornalismo intimo

Nel mondo anglofono molti giornali e riviste anche di profilo alto hanno rubriche di testimonianze personali a tema sesso. Perché invece da noi non succede?

di Anna Momigliano

Appartengo a quella categoria di lettori, sospetto più estesa di quanto non si tenda a pensare, che leggono i giornali più per farsi i fatti degli altri che per informarsi. Non c’è bisogno di ricorrere alla riviste scandalistiche; bastano un paio di rispettabili testate associate al giornalismo internazionale di qualità e la mia sete è appagata. Sul New York magazine ho letto di una trentaduenne che doveva prendere un aereo, ma il suo ragazzo prima voleva farla godere perché partisse con un buon ricordo, così lui attacca col cunnilingus ma dopo mezz’ora lei era ancora lì, senza che gli sforzi del fidanzato sortissero alcun effetto, e l’ora del decollo si stava avvicinando, e lei non sapeva se fingere un orgasmo per velocizzare oppure lasciarlo fare e perdere il volo. Alla fine hanno risolto con un butt plug e lei è salita sull’aereo. Sul Guardian sono diventata partecipe delle frustrazioni di un uomo nella tarda mezza età, la cui moglie continuava a fare sesso con lui senza però permettergli di masturbarla (la cosa, pare, lo feriva nell’orgoglio). Sull’Atlantic, un tizio raccontava la rottura con la sua fidanzatina del liceo: «Le ho detto “ho qualcosa da dirti” e lei ha risposto “anche io ho qualcosa da dirti”. Ho pensato che pure lei volesse rompere, così le ho chiesto di parlare lei per prima, ma lei insisteva che parlassi prima io, e a quel punto le ho detto che volevo rompere. Non sembrava scossa, così le ho domandato cos’è che voleva dirmi e lei ha risposto: “Mia madre è stata uccisa la scorsa settimana”. Seriamente, cosa dovrebbe fare un quindicenne davanti a una cosa così? Infatti non feci nulla se non pentirmi di avere parlato io per primo».

Le tre storie sono rispettivamente tratte da: “Sex diaries”, la rubrica settimanale che ospita testimonianze delle vite erotiche di lettori anonimi nella sezione “The Cut” del New York; Sexual healing”, la rubrica di posta del Guardian dove la psicologa Pamela Stephenson Connolly riceve domande e dispensa consigli sul sesso; e da un progetto speciale dell’Atlantic intitolato “What was your most memorable break up?”, che raccoglie i racconti anonimi di fini di storie d’amore. Quello che più m’affascina di queste rubriche è il tono, molto “matter-of-fact”, quell’essere espliciti senza essere volgari, quell’entrare nel dettaglio senza diventare meccanicistici: non è un racconto trash ma non ha neanche troppe pretese letterarie. Il sesso e l’amore sono trattati come fatti della quotidianità da sezionare, osservare con ironia e, soprattutto, meraviglia. In quanto tali, è la lecita conclusione, meritano spazio nelle testate generaliste.

Lovely Legs

A volte mi domando come mai questo tipo di racconto manchi ancora in Italia. Perché da non si parla quasi mai di sesso, e raramente anche d’amore, nella stampa mainstream? S’è molto discusso in queste settimane dell’inchiesta a puntate “Sesso e amore” del Corriere della Sera, una raccolta in fieri di tendenze, vissuti e riflessioni pubblicati sulla carta, sul blog “la 27esima ora” e sulla omonima web-radio. Ma il solo fatto che se ne sia parlato tanto dimostra che si tratta più di un’eccezione che di una regola. Inoltre il taglio è prevalentemente quello sociologico, sebbene non manchi qualche testimonianza personale. L’unico altro esempio che mi viene in mente è l’inchiesta su sesso e adolescenti pubblicata due anni fa sul Fatto. Ma anche lì il taglio era sociologico. Anzi, di “denuncia”, che è precisamente il contrario del racconto.

Certo, poi ci sono i patinati maschili e femminili che danno consigli a gogò, come farla impazzire a letto, dieci modi per farlo godere sotto la doccia, e via dicendo. Ma pure qui non c’è un racconto, sono consigli, e consigli piuttosto astratti, altra cosa rispetto alla psicologa del Guardian che risponde alle lettere. Peraltro, i consigli di natura erotica raramente in Italia vengono impartiti sull’equivalente nostrano del Guardian: è roba da Cosmopolitan, non da Repubblica, Corriere o Stampa. È un tema che richiede uno spazio altro, che deve essere separato rispetto all’informazione generalista. Per fare un esempio: quando Lettera43 (che fa capo a News 3.0, lo stesso gruppo editoriale di Studio e Pagina99) ha deciso di cominciare di occuparsi di sesso, ha deciso di farlo con un sito apposito, Sextelling. Dove si tende a parlare del sesso più in termini di trasgressione – ménage à trois, testimonianze di una squillo, il feticismo dei peluche, eccetera – che di norma.

Per farla breve: in Italia si scrive poco di sesso sui giornali generalisti, quando lo si fa è quasi sempre con un taglio più sociologico che personale. Quando c’è un racconto del sesso, ci si tende a focalizzare sulle trasgressioni. Manca il racconto del sesso, e in misura minore dell’amore, come fatto quotidiano. Resta da chiedersi perché. Ho provato a parlarne con un po’ di colleghi e conoscenti più avvezzi alla questione rispetto a me.

«In Italia se parli di sesso  subito ti accusano di fare clickbait: le gallery dei gattini vanno bene, la sex column no»

«In Italia, la sex columnist non esiste. A dispetto del puritanesimo anglosassone, oltreoceano sono più liberati» mi ha detto Costanza Rizzacasa d’Orsogna, firma di affari di cuore sul Corriere. Non si tratta però soltanto di una questione di pruderie, aggiunge, c’entra anche un sistema dell’informazione che separa più rigidamente le cose “serie” da quelle “meno serie”… o che forse, più semplicemente, ha canoni diversi per stabilire quali argomenti siano seri e quali no: «Maureen O’Connor sul generalista New York magazine scrive regolarmente storie di copertina su sesso e amore. Da noi queste storie, salvo rari esempi, sono confinate ai femminili (se di sesso in particolare, a Cosmopolitan), o alle pagine “di donne” in fondo ai giornali, non sia mai che certi argomenti finiscano in prima. Un newsmagazine se ne occuperà in toni pruriginosi, legati all’ultimo scandalo. Nel Paese dei baroni del giornalismo, la demarcazione fra i contenuti, e spesso il genere del giornalista che li tratta, è più netta».

«Da noi c’è un po’ più di perbenismo, vero, ma sarebbe sbagliato dire che di sesso non si scrive in Italia. Il fatto è perlopiù un racconto collettivo, tutto diventa subito tendenza», riassume la questione Gabriella Colarusso, una collega di Pagina99 che ha studiato la questione mentre lavorava al lancio di Sextelling. «C’è voglia di raccontare l’avventura, e anche lì con molte difficoltà, ma non la quotidianità», dice Luca Burini, che ora segue il sito.

A dire il vero un newsmagazine generalista, o quasi generalista, che ospita un sex columnist c’è: Internazionale pubblica (o, meglio, ripubblica) la rubrica di Dan Savage, storica penna americana del settore. Ma si tratta, per l’appunto, di una riedizione, è un format preso dall’estero e riproposto in Italia. Mi sembra piuttosto naturale che un settimanale che abbia per ragion d’essere la selezione e la traduzione del giornalismo straniero di qualità, e che negli ultimi anni pare sempre più orientato sui grandi magazine anglosassoni, includa una rubrica come quella di Savage. La cosa però non sembra meno ovvia ad altri: qualche tempo fa una giovane collega molto brava, che si occupa di esteri e definirei una “giornalista impegnata”, mi aveva confessato di non capire come un «giornale serio» potesse abbassarsi a pubblicate «certe cazzate giusto per fare clic». Ora, posso sbagliarmi, ma dubito che un reporter impegnato del Guardian si scandalizzi del fatto che il suo giornale pubblichi una sex column. Il sesso, appunto, è un argomento come un altro, che si può affrontare in modo serio o meno serio (non è detto, peraltro, che un approccio sia migliore dell’altro), e che merita un suo spazio tra i mille altri argomenti, dalla politica allo sport. «In Italia se parli di sesso  subito ti accusano di fare clickbait: le gallery dei gattini vanno bene, la sex column no e non si capisce bene perché», dice Colarusso.

Bra Display

Perché da noi non c’è qualcosa come i sex diaries del New York magazine? Dalle chiacchierate che ho fatto per scrivere questo pezzo sono emerse tante questioni: la pruderie, certo, poi una cesura forse un po’ troppo netta tra giornalismo “alto” e giornalismo “basso”, insomma la paura di sembrare dei voyeur (o, peggio ancora, delle comari!) se si parla di sesso e amore, cosa che potrebbe anche spiegare in parte la tendenza al taglio sociologico.

Sospetto però ci possa essere anche dell’altro, e che quest’altro potrebbe avere più a che fare col nostro diverso rapporto con il personale e con il quotidiano. La diffusione nel mondo anglosassone del racconto del sesso, e forse anche quella della sex column, si inserisce in una tradizione di giornalismo come testimonianza. Una tradizione incarnata anche dalla diffusione di personal essay, che esistono da sempre ma ultimamente stanno vivendo una seconda giovinezza («i personal essay hanno conquistato il giornalismo», dichiarava il Washington Post un paio di anni fa), complici forse Internet, e il senso di intimità percepita che la lettura digitale spesso comporta, nonché la necessità di abbattere i costi. C’entra l’idea di scrivere come atto di condivisione.

Non è un caso, infatti, che molte delle testate anglosassoni più prestigiose che si occupano anche di questo tema stanno raccogliendo attorno al racconto del sesso e dell’amore vere e proprie comunità. Quello dell’Atlantic, per dire, è un progetto di condivisione tra i lettori, e lo stesso vale per il New York. Il caso del Guardian è forse ancora più calzante; il quotidiano britannico ha persino creato un suo sito di online dating, dove il messaggio è: essere un lettore del Guardian è anche una questione di affinità elettive. Attorno a queste testate si stanno creando comunità che si basano anche sulle condivisioni di un’intimità, non soltanto una visione politica.

E se scrivere è mettersi a nudo, se un giornale è anche comunità unita dalla condivisione dell’intimità e non solo di una fede politica, allora c’entra anche l’idea di quotidianità come qualcosa che meriti di essere raccontata. «La mia impressione è che l’idea dominante in Italia è che la banalità del sesso non meriti di essere raccontata», mi ha detto Burini, parlando del suo lavoro. Ed io ho pensato che è un gran peccato, perché non c’è cosa più bella e difficile che raccontare bene qualcosa di quotidiano e di banale. Come un incontro amoroso quando c’è un aereo che aspetta.

Corsetti Scandale in esposizione, data ignota (Hulton Archive/Getty Images); un reggiseno in vetrina circa 1935 (Douglas Miller/Topical Press Agency/Getty Images); calze di nylon ai magazzini Harrod’s di Londra, 1925 (General Photographic Agency/Getty Images)