Attualità

Il complicato rapporto fra internet e l’Europa

Un articolo di Politico torna sul rapporto fra l'Europa e i colossi del web, e sulla sua ambizione di "poliziotto digitale globale".

di Federico Sarica

Mark Scott, osservatore di cose digitali europee prima per il New York Times e poi, da pochi giorni, per l’edizione continentale di Politico, è tornato ieri sul tema del rapporto fra l’Europa e i colossi digitali che controllano praticamente la quasi totalità di internet oggi. È noto a tutti lo sforzo regolatore che Bruxelles ha cercato di imprimere nei confronti delle cosiddette Internet Big Five: Google, Facebook, Apple, Amazon e Microsoft. Così com’è noto il ruolo, in questa missione, ricoperto dalla molto raccontata Margrethe Vestager, danese, 49 anni, Commissaria europea alla concorrenza, conosciuta per la linea senza sconti adottata nell’esercizio del proprio ufficio nei confronti dei grandi player privati dominanti, nello specifico Apple e Google, cui ha sottoscritto e intimato richieste di pagamento alquanto elevate: rispettivamente, una multa per abuso di posizione dominante nell’ambito dello shopping online nei confronti di Google, 2,42 miliardi di Euro, e una richiesta di saldo di tasse arretrate a Apple per circa 13 miliardi di euro.

Se la stessa Vestager colloca i propri interventi in un quadro più ampio di coerenza con un’azione politica a difesa dell’interesse di cittadini, consumatori e imprenditori medi e piccoli europei, Scott nel suo pezzo prova ad allargare la questione e descrive la situazione grossomodo così: l’ambizione europea è quella di diventare il “poliziotto digitale globale”, il regolatore politico il quale, preso atto dell’importanza fondamentale nella vita pubblica acquisita da internet e quindi dai suoi attori privati principali, cerca di imporre nuovi codici condivisi di comportamento, in termini di regole, di concorrenza, di uso dei dati e di conseguenza di privacy.

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Sbagliano gli americani – sostiene il pezzo di Politico – a liquidare tutto ciò come semplice fallo di frustrazione velato dal solito anti-americanismo, l’ambizione del legislatore europeo ha invece ragioni storiche e politiche molto definite: «Gli sforzi dell’Europa di circoscrivere il mondo digitale – scrive Scott – fanno parte di una lunga tradizione dei governi europei e di un loro atteggiamento paternalistico nei confronti delle vite dei cittadini». Affermazione che magari non esaurisce il discorso ma di cui sicuramente va tenuto conto per contribuire a dare basi culturali e storiche al dibattito, non più liquidabile con semplicistiche contrapposizioni fra Europa e Stati Uniti o fra regolatore pubblico buono e imprenditore privato cattivo o viceversa.

Ma se l’ambizione politica, storica e culturale dell’Europa è quella di fornire un set di regole condivise per il mondo digitale da esportare altrove – è qui arriviamo alla tesi interessante dell’articolo di Scott ­– non si può non tenere conto dei possibili effetti collaterali di questa azione.

Perché, se è sicuramente nobile e probabilmente non più rimandabile il tentativo di darsi delle regole condivise in un ambito che ormai tracima la sfera privata, e questo pare fuori discussione, è anche vero che si corre il rischio di legittimare altrove regimi e governi autoritari nella loro azione di limitazione dell’uso di internet da parte dei propri cittadini. Diventa più difficile per tutti, in questo quadro, sollevare obiezioni alle note restrizioni digitali messe in atto dai governi russo e cinese, per portare esempi noti. E alcune regole europee in fatto di privacy stanno venendo adottate alla lettera in alcuni Paesi sudamericani e africani, con conseguenze ovviamente diverse e meno democratiche rispetto a quanto accade qui. Il rischio, e qui vale la pena di capire se lo possiamo correre o meno, è da un lato quello di limitare e balcanizzare internet (si parla ormai apertamente di splinternet, una rete divisa per confini nazionali); dall’altro quello di esportare, più che un set di regole civile, nobile e condiviso, un atteggiamento di interventismo digitale che potrebbe non avere conseguenze simili dappertutto.

La sfida dell’Europa dovrà probabilmente essere quella di porsi come filtro politico e culturale capace di dare a tutti pari opportunità, tutele e diritti senza limitare il potenziale di libertà che l’innovazione tecnologica porta naturalmente con sé. Per questo deve dotarsi al più presto di una visione e di un percorso politico unitario e condiviso e uscire da sterili contrapposizioni ideologiche e territoriali, trasformando quella che ancora molti considerano una battaglia di retroguardia in un’azione di sviluppo politico e culturale condivisa.

 

Nella foto:Margrethe Vestager (Getty Images)