Attualità

Cose da sapere su Hamas

Perché Hamas ha ucciso i presunti collaborazionisti? Perché ha smesso di bombardare Tel Aviv ma continua il lancio di razzi sul Sud di Israele? Israele punta a "decapitare" Hamas? Un breve approfondimento su uno dei gruppi islamisti più discussi del momento.

di Anna Momigliano

Nonostante il cessate il fuoco, nonostante il ritiro delle truppe di terra, e nonostante il tentativo di mediazione da parte dell’Egitto e di altri paesi arabi, il conflitto tra Israele e Hamas va avanti: continuano i raid israeliani su Gaza, e continua il lancio di razzi palestinesi sul Sud di Israele, che pochi giorni fa hanno ucciso un bimbo di quattro anni (il primo bambino israeliano morto in questa guerra, mentre centinaia di bambini palestinesi hanno già perso la vita). Intanto, la notizia delle esecuzioni di 25 presunti “collaborazionisti” da parte di Hamas, ripresa dalla stampa internazionale, ha suscitato paragoni con l’Isis. Nel tentativo di fare un po’ di chiarezza, abbiamo messo insieme un po’ di cose su quello che sta succedendo e, soprattutto, su quello che Hamas sta facendo.

I leader di Hamas “eliminati” da Israele…
L’aviazione israeliana ha lanciato una nuova serie di raid aerei volti a colpire in raid mirati alcuni dei leader di Hamas. Mercoledì Israele ha tentato di uccidere Mohammed Deif, leader delle Brigate Qassam, il più importante braccio armato del movimento, ed esperto di esplosivi: si sa che nel raid sono morti la moglie e il figlio neonato di Deif, ma non è ancora chiaro se lui sia sopravvissuto; sarebbe la quinta volta, come ricorda l’agenzia Reuters, che Israele tenta di eliminare Deif. Giovedì sono stati uccisi Mohammed Abu Shamalah, Raed Attar e Mohammed Barhoum, tre esponenti del braccio militare di Hamas nella zona di Rafah. Domenica l’esercito israeliano ha dichiarato di avere colpito l’abitazione di Talat al-Ghoul, che secondo gli israeliani sarebbe uno dei responsabili del trasferimento di finanziamenti a Hamas: pare nel raid siano rimaste uccise dieci persone, anche se non si hanno conferme della morte di Ghoul.

ma Israele non sta tentando di “decapitare” Hamas
L’obiettivo di questa serie di operazioni, tuttavia, non pare quello di “decapitare” Hamas. L’unico nome veramente di primo piano, tra quelli citati sopra, infatti è quello di Deif. E anche in quel caso, la sua uccisione, se confermata, avrebbe più i crismi di una vittoria morale per Israele più che un colpo alla leadership di Hamas. Come fa notare l’analista israeliano Yossi Melman: «Supponiamo per il momento che Deif sia stato ucciso durante l’attacco – quali saranno le implicazioni e le conseguenze di un tale successo? Sopravvissuto a quattro tentativi israeliani di ucciderlo e rimasto gravemente disabile, Deif è diventato negli ultimi anni una sorta di comandante “onorario” del braccio armato di Hamas, piuttosto che è il vero e proprio capo. Tuttavia, è stato coinvolto nelle principali decisioni strategiche e militari prese dal movimento. Di conseguenza averlo ucciso sarebbe per Israele una vittoria morale, insomma un colpo psicologico per Hamas. In questa fase, la guerra di Gaza è diventata una battaglia di pubbliche relazioni che una questione di successi sul campo di battaglia»

I “collaborazionisti” uccisi da Hamas…
Venerdì Hamas ha fucilato, in due esecuzioni separate, diciotto presunti “collaborazionisti”. Sabato altri presunti collaborazionisti sono stati uccisi, portando il numero totale delle vittime a 25 (23 uomini e due donne). Il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ha tentato di sfruttare la notizia per paragonare il gruppo palestinese (già riconosciuto come organizzazione terrorista dall’Unione europea e dagli Stati Uniti) all’Isis, il gruppo ultra-radicale che ha dichiarato il “califfato” in Siria e Iraq e che si è velocemente guadagnato la fama di “estremista tra gli estremisti” a causa delle esecuzioni sommarie, della persecuzione dei cristiani e della decapitazione del giornalista americano James Foley. «Questa è la semplice verità: Hamas è come l’Isis, l’Isis è come Hamas. Entrambe compiono esecuzioni di massa a sangue freddo», ha twittato Netanyahu. In realtà, al di là delle considerazioni morali, l’uccisione di collaborazionisti – veri o presunti – non è nulla di nuovo tra i gruppi palestinesi. Anche l’Olp, l’organizzazione cui Abu Mazen fa capo (la sua Fatah è il gruppo più grande all’interno dell’Olp), in passato ha ucciso molti palestinesi accusati di collaborazionismo con Israele: si stima che soltanto durante la prima Intifada siano stati giustiziati centinaia di palestinesi. Anche Hamas, da quando è al potere a Gaza, ha giustiziato presunti collaborazionisti.

La definizione di “informatore” e “collaborazionista” può diventare molto torbida in tempo di guerra (Amira Hass)

che forse non erano neppure collaborazionisti
Hamas sostiene che le persone giustiziate sono state dichiarate colpevoli dopo un “regolare processo”, ma ha anche dichiarato che in futuro passerà direttamente all’azione contro i collaborazionisti senza passare per le vie legali. Inoltre il tempismo delle esecuzioni farebbe pensare che i diciotto fossero in qualche modo coinvolti nei raid israeliani contro i leader di Hamas. Ma c’è chi ritiene che in realtà fossero semplici oppositori di Hamas. «È altamente improbabile che le vittime avessero rapporti con i servizi segreti israeliani, e ancor meno che abbiano rivelato il luogo in cui si trovavano i comandanti di Hamas assassinati», scrive Amos Harel, l’analista militare di Haaretz. «È più probabile che avessero sfidato pubblicamente le politiche di Hamas a Gaza. Questo era il messaggio: chiunque aiuta Israele o si oppone a noi rischia la vita.» Sempre su Haaretz Amira Hass (forse la giornalista israeliana più critica nei confronti delle politiche del suo paese) sostiene che le esecuzioni sommarie indicano che Hamas si sente indebolita e dunque cerca il modo di intimorire la popolazione: «Con la dichiarazione di una “nuova fase nella lotta contro informatori”, Hamas e la sua ala militare stanno mostrando di avere paura e che stanno perdendo il controllo». Insomma, non si tratterebbe soltanto di mandare un avvertimento ai potenziali collaborazionisti ma a tutti i palestinesi: «Tutti i discorsi di deterrenza si rivolgono non solo ai sospetti collaborazionisti, ma ad un pubblico esausto, è un avvertimento a stare attenti a tutto ciò che dice e fa. La definizione di “informatore” e “collaborazionista” può diventare molto torbida in tempo di guerra, soprattutto quando la guerra è in una fase di pantano»

Lanciare i razzi là dove fanno più male…
Lo scorso luglio, durante la fase più acuta del conflitto tra Israele e Hamas, il gruppo palestinese ha lanciato razzi di media e lunga gettata che hanno colpito anche città precedentemente considerate fuori portata come Tel Aviv, Rehovot e Hedera. Dal punto di vista di Hamas, colpire queste città – e Tel Aviv in particolare! – aveva senso perché rappresentava un colpo psicologico agli israeliani, ormai abituati a considerare le cittadine del Sud zone di guerra, e molto meno preparati a vedere bersagliata la loro più grande città. Adesso il lancio di razzi prosegue, ma si tratta di razzi a breve gettata (roba fabbricata in casa, direbbe qualcuno) e dunque capaci di colpire soltanto i piccoli centri urbani e i kibbutz (fattorie collettive) vicino al confine. Il fatto è che, per paradosso, questi “razzi fatti in casa” fanno molti più danni di quelli più sofisticati diretti nel centro di Israele. Visto che la traiettoria è di pochissimi chilometri, il sistema di missili anti-missile Iron Dome non è in grado di intercettarli. Inoltre anche il sistema d’allarme è meno efficace: dal momento che i razzi sono lanciati da vicino, i civili hanno pochi secondi per trovare rifugio da quando suona la sirena (a Tel Aviv, per dire, c’è più di un minuto a disposizione, dunque raggiungere un rifugio è più facile). I razzi lanciati contro le grandi città più a Nord non hanno fatto vittime, mentre un colpo di mortaio ha ucciso un bambino in un kibbutz poco lontano dal confine con Gaza e un razzo ha ucciso un uomo.

e dove costa meno.
C’è anche un’altra ragione per cui Hamas sta concentrando il lancio di razzi sul sud. Per raggiungere città come Hedera o Tel Aviv c’è bisogno di armi sofisticate, che devono essere importate. Visto che Israele ha distrutto molti tunnel e che anche l’Egitto è sembra più attento che mai a prevenire il riarmo di Hamas, la scorta di razzi a media e lunga gettata sta finendo. Quelli invece a corto raggio possono essere fabbricati a Gaza, e costano molto poco. In altre parole, in questa fase Hamas ha deciso di lasciar perdere gli obiettivi ad alto impatto mediatico, sforzandosi invece di causare il massimo dei danni col minimo sforzo. Come spiega sempre Amos Harel: «Hamas sta ora concentrando gli sforzi su aree vicine alla Striscia di Gaza, sapendo che vicino al confine i tempi di allarme sono più brevi e l’intercettazione da parte di Iron Dome è parziale, nel migliore dei casi. Finora i colpi di mortaio e i razzi a corto raggio non mancano. Al contrario la riserva di missili a lungo raggio (40 km e più) è più limitata: all’inizio della guerra lanciava una ventina di questi razzi al giorno, adesso sta risparmiando munizioni».

 

Nell’immagine: soldati israeliani al confine con Gaza. (Lior Mizrahi/Getty Images)