Attualità

Giannizzeri Park

Storia del "centro commerciale" che vuole Erdogan al posto di Gezi Park, che è in realtà una vecchia caserma ottomana. Tra passato, islamismo e Giovani Turchi.

di Davide Coppo

Gezi Park a Istanbul (o Gezi Parkı, alla turca) è stato il fulcro, la miccia e insieme il simbolo delle proteste ancora in corso in Turchia (nell’intera Turchia, non solo a Istanbul) contro il governo Erdogan. I pretesti sono soltanto pretesti, indispensabili ma non necessariamente eterni. Per questo la metafora della miccia in questi casi è particolarmente sensata: si accende all’inizio, serve alla combustione di un corpus di rivendicazioni molto più grosso, ma è anche possibile che si spenga, alla fine. Chi se ne frega di Francesco Ferdinando quando stai combattendo la battaglia della Marna, d’altronde. Il pretesto che ha infiammato però la Turchia non si è ancora spento: lo dimostra il grado di iconicità che ha raggiunto Gezi e lo dimostra anche il fatto che Erdogan continua a parlare pubblicamente del progetto di ricostruzione che non si deve fermare e si dimentichi spesso di citare le violenze della sua polizia. Lo dimostra anche il fatto che sempre Erdogan ha detto, a propria difesa e discolpa, il 29 maggio scorso, che i manifestanti manifestano perché “non conoscono la loro storia”. Questo perché la storia (passata) della Turchia è strettamente legata a quella di Gezi Park e all’urbanistica attuale e futura di piazza Taksim, la più importante delle piazze di Istanbul.

Il cosiddetto “centro commerciale” che sorgerebbe dove oggi c’è Gezi Park ha una storia più complicata, e non è nuovo affatto: esisteva già, prima di Erdogan e prima dell’AKP, prima di Atatürk e, ovviamente, prima di Gezi Park.

Tayyip Erdogan, primo ministro turco leader del partito AKP, attaccò i manifestanti e oppositori che non conoscevano “la loro storia” durante il discorso di inaugurazione del progetto del “terzo ponte” di Istanbul, 1.275 metri sullo stretto del Bosforo dal quartiere europeo di Garipçe a quello asiatico di Poyrazköy, nella periferia più settentrionale della città, all’imbocco del Mar Nero, una zona molto verde e boschiva. La costruzione del ponte, parte di una serie di rinnovamenti in vista della possibile Olimpiade del 2020 (Istanbul è candidata con Madrid e Tokio) è contestata da molte associazioni ambientaliste e cosiddetti urban planners in quanto andrà a distruggere parte di alcuni veri e propri polmoni verdi della zona. Ma il “terzo ponte” è un progetto nuovo. Il cosiddetto “centro commerciale” che sorgerebbe dove oggi c’è Gezi Park ha una storia più complicata, e non è nuovo affatto: esisteva già, prima di Erdogan e prima dell’AKP, prima di Atatürk e, ovviamente, prima di Gezi Park. Si chiamava caserma militare di Taksim, o caserma Halil Pasha, o ancora, in turco, Taksim Kışlası). Erdogan quindi non vuole costruire un semplice centro commerciale, ma vuole ricostruire la caserma dell’artiglieria di Taksim, tale e quale, con la sua facciata ottomana e le sue cupole e le sue volte e le sue guglie. Al posto di ospitare soldati e armi, ospiterebbe negozi e turisti (qui un render).

Ci sono un paio di interessanti contraddizioni e ironie della Storia, in questa storia della ricostruzione della caserma di Taksim. Fu edificata (qui sotto un’immagine d’epoca) nel 1806 dal Sultano Selim III, a capo di un Impero Ottomano in piena inarrestabile decadenza, eppure grande innovatore e riformista (facendo un gioco un po’ frivolo con la storia e il tempo, oggi non lo definiremmo un entusiasta elettore di Erdogan), abolitore di ordini militari feudali e avversario del potere dei Giannizzeri, il molto conservatore ordine di fanteria che aveva rovesciato più di un sultano in passato. Potenziò il corpo di ufficiali europei e diede vita a una serie di riforme di europeizzazione e creò un nuovo esercito regolare, il Nizam-ı Cedid, che provocò notevoli antipatie nel corpo dei Giannizzeri. Una crisi diplomatica causata dalla fine dell’appoggio francese portò a una fatwa contro Selim III, che venne destituito e giustiziato. Salì al potere il cugino Mustafa IV, conservatore e islamista che aveva appoggiato i Giannizzeri e tradito Selim.

Il secondo punto curioso della vicenda sta nella la volontà di Erdogan di ricostruire un simbolo dell’esercito, uno dei “nemici” (sia detto in termini democratici) del suo partito, protagonista di molti scontri in non poche occasioni: come nell’aprile del 2007, quando con il “comunicato di mezzanotte” le forze armate accusarono il premier di “attività antilaiche”, o come nel 1997, quando rovesciarono il governo islamista di Necmettin Erbakan, padre politico di Erdogan e primo ministro del disciolto Partito del Benessere cui aderiva anche l’attuale premier turco.

Nel 1909, dopo la rivoluzione dei Giovani Turchi e l’affermazione della Seconda era costituzionale, una rivolta di soldati avversi alle politiche riformiste del parlamento (31 Mart Vakası è il nome della storica giornata, in cui Mart sta per marzo) causò enormi danni alla caserma che venne semi distrutta. Venne deposto il sultano Abdul Hamid II “il sanguinario”, venne sedata la rivolta da un altro gruppo di soldati questa volta vicini ai Giovani Turchi che da Salonicco entrarono in Istanbul, tra loro c’era un ventottenne di nome Mustafa Kemal. Il successivo governo vendette la caserma alla Compagnia Nazionale Ottomana dell’Industria e del Commercio nel 1913, venne liberata dalla presenza dell’esercito e i restauri intanto tardavano ad arrivare. Il cortile interno divenne un campo da calcio. Pochi anni dopo, durante la Prima Guerra Mondiale, l’esercito francese occupò Istanbul, schierata con gli Imperi Centrali, e la vecchia caserma di Taksim fu adottata come base per l’esercito senegalese. Nel 1923 la città venne liberata e la caserma trasformata nel Taksim Stadium, il primo e allora unico della città, sede di Galatasaray, Besiktas e Fenerbahce.

Nel 1936 l’architetto francese Henri Prost, già pianificatore urbano in Marocco e Algeria, a Fès, Meknès, Marrakech, Rabat e Algeri, fu chiamato a Istanbul. Due anni dopo Atatürk morì di cirrosi epatica, e fu deciso che al successore İsmet İnönü venisse dedicato un grande parco, da costruirsi sulle macerie dello stadio di Taksim che non era mai stato restaurato. L’ex caserma fu abbattuta nel 1940, quattro anni dopo nasceva l’attuale Gezi Park, il primo parco pubblico ottomano.

Piazza Taksim, oggi, è enorme ed estremamente trafficata. Per chi ci è stato, ed è abituato al tranquillo traffico europeo, ha un’organizzazione caotica che rasenta la follia (e lo stile di guida della città non aiuta affatto). Il progetto di Erdogan comprende anche la pedonalizzazione dell’intera area della piazza e lo spostamento del traffico in tunnel sotterranei, l’eliminazione delle uscite della metropolitana dalle attuali posizioni centrali e il loro ricollocamento sul perimetro, tutte cose che d’altronde Erdogan aveva già annunciato alla sua elezione. Parte del parco, secondo il progetto, dovrebbe rimanere chiuso all’interno delle quattro mura della nuova caserma/centro commerciale. Nel 2011, il sindaco di Istanbul Kadir Topbaş, architetto e membro dell’AKP, aveva lamentato la mancanza di comunicazione tra il governo centrale e il pubblico e la sua amministrazione. In un lungo articolo del quotidiano Radikal (nato nel 1997 ma con una voce molto potente all’interno dell’opinione pubblica) del gennaio 2011 molti architetti, urbanisti e sociologi discutevano sulla riorganizzazione di piazza Taksim, a detta di tutti necessaria ma altrettanto delicata. E quanto fosse delicata lo si vede benissimo oggi, dopo che la caserma si è trasformata di nuovo in miccia e a bruciare sono, ancora, i fuochi della laicità e dell’islamismo.

 

 

Nell’immagine, la facciata della caserma di Taksim (e quindi il futuro “centro commerciale”) in un’immagine d’epoca