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Gaza: come si è arrivati alla guerra aperta

Perché Israele ha invaso via terra? Perché Hamas ha rifiutato il cessate il fuoco? E che cosa significa «Hamas combatte come Hezbollah»? L'escalation degli ultimi giorni, spiegata punto per punto (e con l'ausilio di una timeline)

di Anna Momigliano

Ormai quella tra Israele e Hamas non è più soltanto una guerra aerea. Si sta combattendo via terra, nella Striscia di Gaza, continua il lancio di razzi sulle città israeliane, e pare che ambedue le parti abbiano rifiutato una richiesta di cessate il fuoco avanzata dall’Onu. Per fare un po’ di luce sulla situazione, abbiamo messo a punto questo breve Q&A, terza puntata di una serie (la prima puntata qui, la seconda qui)

Che cosa sta succedendo? C’è una guerra tra Israele e Hamas, il gruppo palestinese che dal 2007 governa la Striscia di Gaza (per saperne di più su cos’è, esattamente, la Striscia di Gaza, cliccate qui). In realtà tra i due gruppi non c’è mai stata la “pace”: il lancio di razzi palestinesi sul Sud di Israele va avanti da anni, così come da anni vanno avanti i raid israeliani sulla Striscia di Gaza. Ma nelle ultime settimane c’è stata un’escalation. In una prima fase, il conflitto è stato quasi unicamente aereo: bombardamenti, da parte israeliana, e lancio di razzi intensificato, da parte palestinese. Adesso però si sta combattendo anche via terra. L’esercito israeliano è entrato nella Striscia di Gaza, dove sta portando avanti una serie di operazioni . Anche Hamas ha sconfinato nel territorio israeliano, attraverso tunnel sotterranei.

Quante persone sono morte? Quando questo articolo è stato chiuso il bilancio delle vittime era: circa 500 palestinesi, in gran parte civili; e poco meno di trenta israeliani, 27 soldati e due civili uccisi dai razzi. (Per saperne di più sul perché c’è una disparità numerica tanto vasta tra le vittime israeliane e quelle palestinesi cliccate qui e qui).

Come si è arrivati a questo punto? L’8 luglio l’esercito israeliano ha iniziato l’operazione militare Protective Edge, dopo che il giorno precedente Hamas aveva lanciato un’ottantina di razzi su città israeliane. L’obiettivo di Protective Edge, sostengono gli israeliani, sarebbe porre fine al lancio di razzi, neutralizzando le basi di Hamas. È assai probabile che l’intensificazione del lancio di missili da Gaza su Israele fosse una reazione a una serie di retate contro Hamas da parte dell’esercito israeliano, dopo il rapimento e l’uccisione di tre adolescenti, per cui Israele incolpa Hamas. In un primo momento, si diceva, la guerra è stata quasi unicamente aerea. In questa fase, l’Egitto ha tentato di mediare tra le due parti, presentando un piano per il cessate-il-fuoco. Israele ha accettato la proposta egiziana, ma Hamas l’ha rifiutata. Pochi giorni dopo, Israele ha lanciato l’operazione via terra. (Per un resoconto un po’ più esteso sulla prima fase di questa escalation, cliccate qui. Per una timeline parziale, scrollate alla fine di questo articolo).

Perché Israele ha invaso via terra? Probabilmente, il fattore scatenante è stato il rifiuto da parte di Hamas di accettare il cessate il fuoco. In altre parole, il primo ministro Netanyahu potrebbe avere fatto questo ragionamento: visto che non si riesce a fermare questa guerra (e di conseguenza i razzi su Israele), tanto vale alzare il livello dello scontro, di modo da arrecare i più danni possibili ad Hamas. È opinione diffusa che Netanyahu – uomo di destra, filo-occupazione, ma anche poco propenso a prendersi dei rischi – fosse piuttosto scettico davanti alla possibilità di un’invasione via terra, anche se la parte più oltranzista del suo governo la desiderava. Da cui la decisione di accettare il cessate il fuoco fin da subito. Tuttavia il rifiuto di Hamas ha cambiato le carte in tavola: da un lato Netanyahu si è reso conto che da sola la campagna aerea non avrebbe fermato i razzi, dall’altro era in una posizione di potere dare la colpa agli avversari (“Sono stati loro a volere la guerra”) e dunque sentirsi più libero d’agire.

L’obiettivo di Hamas, al momento, è prima di tutto smuovere lo status quo, mentre quello del governo Netanyahu è conservarlo.

Perché Hamas ha rifiutato il cessate il fuoco? Per una serie di ragioni. Tra le altre, ci sono una componente d’immagine, una militare e una politica. L’immagine: Hamas non voleva mettere fine alla guerra prima di avere arrecato danni seri a Israele (insomma senza avere alcun “trofeo” da sventolare). Dal punto di vista militare: è possibile che Hamas volesse proprio questo, spostare il conflitto sul terreno, dove ha più possibilità di fare vittime israeliane (vedi il discorso “immagine”) e dove peraltro si è dimostrata più preparata del previsto. Pare insomma che Hamas si stesse preparando da tempo a un conflitto via terra, imparando le tecniche di guerriglia da Hezbollah (la milizia libanese generalmente considerata ad “un altro livello”). Hamas ha fatto i compiti ed è molto migliorata, se è vero che un ufficiale israeliano avrebbe dichiarato: «Sembrava di combattere con Hezbollah». Infine, si diceva, la motivazione politica: l’obiettivo di Hamas, al momento, pare prima di tutto smuovere lo status quo, mentre quello del governo Netanyahu pare sia conservare lo status quo (il concetto è spiegato molto bene da Max Fisher su Vox.com). In quest’ottica un cessate il fuoco faceva il gioco d’Israele molto più di quanto non facesse il gioco di Hamas.

Ma non è stata anche Israele a rifiutare il cessate il fuoco? Al primo giro, cioè in occasione della prima proposta, avanzata dal’Egitto il 14 luglio, Israele ha accettato di fermare i combattimenti, ma Hamas no. Successivamente però una seconda proposta per un cessate il fuoco è stata avanzata dalle Nazioni Unite, il 21 luglio: a questo giro hanno rifiutato ambedue le parti.

Perché Israele prima accetta il cessate il fuoco e poi lo rifiuta? La proposta egiziana è arrivata quando la guerra era ancora unicamente aerea. In quella fase Netanyahu, che non avrebbe voluto uno scontro via terra, era ben contento di fermarsi lì. La proposta dell’Onu è arrivata quando la guerra via terra era già iniziata. È possibile (ma si tratta ovviamente di un’ipotesi) che, una volta entrato a Gaza, Netanyahu voglia prolungare il conflitto per un po’, fino a quando l’esercito non avrà arrecato danni “sufficienti” (dal punto di vista di Israele) ad Hamas.

Sì, ma che cosa ci guadagna Israele da tutto questo spargimento di sangue? In realtà, non molto. Ufficialmente l’obiettivo dell’esercito israeliano è fermare il lancio di razzi: la strategia israeliana non è tanto “fare passare la voglia” ad Hamas a forza di bombe, quanto piuttosto distruggere le infrastrutture del movimento, insomma renderlo più inoffensivo. Anche se dovesse riuscire, però, questa operazione rimanderebbe soltanto il problema. Hamas ricostruirà infrastrutture e arsenale, e riprenderà il lancio dei razzi. (Per approfondire: la questione è spiegata da Giovanni Fontana sul Post)

E Hamas che cosa vuole ottenere con questa guerra? Da statuto l’obiettivo di Hamas è distruggere lo Stato di Israele… ma ovviamente non è questo l’obiettivo di questa campagna e anzi alcuni osservatori ritengono che, nei fatti, il movimento palestinese abbia (in parte) accettato l’esistenza dello Stato israeliano.  L’obiettivo di questa escalation, da parte di Hamas, sembra principalmente uno: porre fine al blocco della Striscia di Gaza. Formalmente il territorio non è occupato da Israele, che ha ritirato i coloni nel 2005. Ma Israele, che insieme all’Egitto controlla i confini della Striscia e pattuglia le coste palestinesi, di fatto impone un blocco, che riduce il transito di persone e merci allo strettissimo indispensabile (e forse anche meno). Inoltre ai pescatori di Gaza non è concesso pescare in mare aperto. Tutto questo, naturalmente, ha gravissime ripercussioni sociali ed economiche. Probabilmente Hamas vuole ottenere una tregua – non soltanto un cessate il fuoco – che preveda l’apertura dei confini e una maggiore libertà per i pescatori.

C’è una timeline? Posto che la situazione è in costante evoluzione, che gli eventi sono complessi, numerosi, e che dunque selezionarli comporta implicitamente rischi, abbiamo messo insieme questa cronologia – incompleta, ovviamente, ma che può aiutare a farsi un’idea:

-12 giugno: tre adolescenti israeliani sono rapiti mentre facevano l’autostop nei pressi di Gush Etzion, gruppo di colonie israeliane in Cisgiordania

– 13 giugno: Israele accusa Hamas del rapimento e inizia a una serie di rastrellamenti contro il gruppo palestinese. I rastrellamenti si svolgono principalmente in Cisgiordania, con il sostegno delle truppe dell’Autorità nazionale palestinese, che pure è governata da una coalizione di cui Hamas fa parte.

-30 giugno: i corpi senza vita dei tre ragazzi israeliani sono ritrovati in un appezzamento non lontano da Hebron, appartenente a un clan legato ad Hamas. Il primo ministro Netanyahu annuncia che Hamas “la pagherà”. Israele continua le operazioni di rastrellamento contro Hamas in Cisgiordania, cui si aggiunge qualche raid su Gaza. Ma questo non avviene.

-2 luglio: un adolescente palestinese viene rapito e bruciato vivo da tre israeliani, provenienti da ambienti estremisti. È chiaro che la tensione etnica dentro Israele è alle stelle.

– 7 luglio: Hamas lancia 80 razzi contro Israele

– 8 luglio: Israele lancia l’operazione Protective Edge: bombardamenti massici su Gaza.

– 14 luglio: l’Egitto avanza una proposta per il cessate il fuoco. I morti da parte palestinese sono quasi 200

– 15 luglio: la mattina il governo israeliano approva la proposta egiziana. Poco dopo Hamas la rifiuta

– 17 e 18 luglio: Israele lancia operazione via terra

– 21 luglio: le vittime palestinesi superano i 500.

-21 luglio: l’Onu invita ambedue le parti a un cessate il fuoco.

– 22 luglio: in mattinata si diffonde la notizia secondo cui sia Israele sia Hamas avrebbero rifiutato l’offerta Onu di un cessate il fuoco

 

Nell’immagine: un carro armato israeliano, fuori Sderot, a pochi chilimetri dal confine con Gaza. (Photo by Andrew Burton/Getty Images)