Attualità

La lezione di Faceskin

Ci siamo iscritti al social network di Claudio Cecchetto. Siamo tornati per raccontarvelo

di Pietro Minto

Gerry Scotty, Fiorello, Jovanotti, Fabio Volo, 883 e Max Pezzali. Ma anche Radio Deejay e Radio Capital. Per non parlare dei Finley, gruppo pop che qualche anno fa prese possesso delle fantasie di molte teenager. A creare o scoprire tutto questo – e molto altro, a dire il vero – è stato Claudio Cecchetto, una figura ibrida interessante – un po’ deejay un po’ uomo di spettacolo, un po’ talent scout e molto “Gioca jouer” – e turboimpresario all’italiana.

Gran parte della cultura pop e televisiva italiana viene dal pentolone di questo signore oggi sessantenne, che negli anni ha collezionato una tale sfilza di successi che gli renderebbe possibile entrare in uno studio TV e gridare a caso “Ti ho inventato io!”, con quel fare megalomane con cui il Bagaglino imitava Pippo Baudo (sì, da bambino guardavo i programmi del Bagaglino, non so perché. Non fate domande, che è già difficile così. Andiamo oltre).

L’ultima mossa di Cecchetto ha fatto discutere molto, per alcune ragioni: non si tratta dell’ennesimo artista televisivo o musicale da lanciare e, anzi, con i media tradizionali non c’entra nulla, perché punta alla conquista della prateria sconfinata del social network. Si parla di Internet, quindi. Oh, e c’è un altro motivo che ha contribuito a spargere la voce sull’ultima creatura dell’ex dj: Fiorello, che qualche tempo fa ha abbandonato Twitter senza alcun preavviso – dopo aver accumulato un numero mostruoso di follower, convinto migliaia di italiani ad iscriversi al sito e aver intitolato il suo ultimo show #Ilpiùgrandespettacolodopoilweekend mutuando proprio il gergo dei tweet – rispuntando pochi giorni dopo in un oscuro sito dai colori accesi, Faceskin.

E che cos’è?
Faceskin è questa cosa qui. Il suo nome intero è Faceskin ROC, una sigla che sta per Ricerca Organizza Condividi, tre verbi che rappresentano la missione del sito, e il motivo della sua esistenza. A sua volta, però, Faceskin può anche essere chiamato Memoring, un’idea che frulla per la testa di Cecchetto dal lontano 2008. Ed è da Memoring che bisogna partire per (cercare di) capire tutto.

Quattro anni fa lo presentò come un mezzo in grado di rendere più facile la navigazione web per i neofiti del mezzo: «chi si approccia alla rete per la prima volta ed apre il browser… ok, chi già usa internet sa che deve inserire un indirizzo, però non sa dove andare. Questo invece è un browser… io lo chiamo “skin”, ovvero “pelle”… è un browser programmabile: basta che in casa ci sia un semi-esperto di internet, che possa programmare il browser per il papà, la mamma, la nonna, la zia, la fidanzata». Una visione del web molto anni ’90 (“Come si collega il telefono al computer?”) e non proprio da smanettoni, che dimostra come già quattro anni fa il target di Memoring fossero gli utenti alle prime armi.

Lo spostamento dall’etere al digitale, non deve far pensare che il sito si discosti del tutto dalla TV, anzi. Continua il fondatore: Memoring «è fondamentalmente un registratore di internet», in grado di archiviare le pagine preferite da un utente. Ecco svelato il mistero di Faceskin: non è altro che l’adattamento del vecchio progetto a una Rete in cui ormai la dimensione social domina il mondo. Un sito che permette di condividere con i propri amici quegli angoli di Internet che vogliamo ricordarci, “salvare” e magari segnalare agli altri. Ed è tutto qui.

Chi scrive si è iscritto al servizio la scorsa settimana, con l’intenzione di capirne il funzionamento e l’eventuale magia. Chi scrive, inoltre, avrebbe bisogno di quello che Cecchetto definisce “registratore” del web: un posto dove accumulare le cose che lo interessano o che potrebbero tornargli utile. E il punto è che per questo c’è già Delicious e che non è detto che ogni “web-list” sia fatta per essere condivisa con il proprio network. Che fare se si hanno delle letture “private” o delle chicche che egoisticamente si vogliono tenere nascoste per sfoderarle al momento opportuno? Faceskin, insomma, non fa per me. E questo non è affatto un problema, anzi, però rimane da chiarire a chi possa servire il servizio.

I VIP e i loro fan

Il social network riflette molto il network di conoscenze del suo stesso fondatore. Faceskin è popolato da volti famosi e non – showman, deejay, giornalisti televisivi, artisti, starlette decadute o meno –  per un totale di 15 mila utenti (secondo le stime d’inizio marzo citate da ANSA) probabilmente attratti dall’alto tasso di notorietà della community. Girovagando tra i profili, si notano due cose: l’ingombrante ombra lunga di Cecchetto, che sbuca di pagina in pagina come Clippy, la graffetta-guida di Microsoft Word, di cui il nostro condivide la stessa carica di simpatia, e lo sfacciato sfruttamento dei profili VIP, ognuno dei quali è presentato da una nota redatta da – indovinate un po’ – Claudio Cecchetto, che ci spiega perché ha chiesto a [inserire a piacere il nome di uno delle celebrità iscritte] di presentarsi agli utenti e condividere le pagine web che consulta più spesso. Di seguito un esempio significativo.

A salvare in corner Faceskin è proprio l’edonismo morboso che si respira tra le sue pagine. C’è un qualcosa di stupidamente interessante nel leggere le liste di pagine web che Volo, Jovanotti, Max Pezzali ecc. seguono e consigliano. Personalmente l’effetto è durato un qualche secondo, poi sono tornato a esempi più divertenti e stimolanti, come le “information diet” di Adweek, in cui i VIP e professionisti confessano le loro abitudini (e i loro problemi) nel rapporto con i media. Se proprio volete levarvi lo sfizio, comunque, ecco alcune soffiate: a Jovanotti piace molto Il Post, Fiorello legge Spinoza.it, Max Pezzali consiglia la nota rubrica “Ask the pilot” di Salon e il Fondatore consiglia Ovo.com, web-tv di Andrea Pezzi.

Quindi?
Per molti italiani Twitter è quella cosa nuova di zecca che hanno conosciuto perché Rita della Chiesa o Fiorello ne parlavano in tv. Il suo boom nel nostro Paese è stato recente e molto veloce. Come ha già dimostrato il caso di @Vendommerda, la TV è ancora Il Mass Media Per Eccellenza per milioni di persone, la cassa di risonanza in grado di portare sul web utenti la cui teledipendenza resiste al passaggio ai social network. Si parla di Amici sul divano. Se ne parla anche davanti al computer. Con questo, non ci stiamo riferendo dell’intera “twittosfera” italiana, ovviamente, ma di una sua parte, che Faceskin potrebbe intercettare, in quanto villaggio incantato dove tutti sono Very Important Person, ed essendo stato pensato per un pubblico poco alfabetizzato in termini di Internet, come confessato dallo stesso Cecchetto nel 2008.

Il fondatore sembra crederci molto, come ha dimostrato alla festa per il trentennale di Radio Deejay, tenutasi il primo febbraio scorso, quando ha annunciato la nascita del sito “ROC” davanti a un pubblico in visibilio (se si vuole capire l’atmosfera dell’impresa cecchettiana, il video è da non perdere). Anche Lorenzo Cherubini, già Jovanotti, ne è entusiasta ma lui, confessa, è “di parte” perché Claudio l’ha creato e gli insegnato i ferri del mestiere, e del resto la riverenza nei suoi confronti è ancora a livelli nordcoreani, come dimostra il video con cui il cantante ha presentato il sito agli studenti dello IULM.

Ma c’è un particolare che dovrebbe preoccuparci. Nel numero del New Yorker di questa settimana c’è un lungo articolo di Ken Auletta sul rapporto sempre più fitto tra la Valley e Stanford, l’università più prestigiosa del mondo. Un rapporto spesso controverso (i fitti legami tra i piani alti del campus e colossi come Google, per esempio) che ha però creato le basi per la rivoluzione economica e culturale che il settore tecnologico ha reso possibile negli ultimi anni (tanto che lo spettro della bolla del dot com torna a fare capolino di tanto in tanto). La lezione della Valley non è solo quella di persone disposte a investire milioni nelle idee di un ventenne; è anche e soprattutto la cultura della formazione di menti aperte in un ambiente unico al mondo, nel quale la competizione è feroce e a contare sono i fatti. Un esempio dalla cronaca recente: Instagram era una start-up produttrice di una “misera” app che dopo poco più di un anno di vita è stata acquistata da Facebook, a sua volta ex-start up e ora colosso, per un miliardo di dollari. I suoi fondatori non erano VIP annoiati: erano persone con un’ottima idea che sono riusciti a emergere in una giungla di creatività in cui la ricerca per la next big thing è continua. È ossessione.

A questo punto, immaginate Cecchetto che, senza alcuna fama alle spalle, parte per San Francisco per “vendere” Faceskin dovendo farsi strada tra le migliori menti creative del globo pronte a cambiare il mondo. Una scena grottesca che mette in luce un particolare inquietante: anche Twitter ha beneficiato dei cantanti, attori e politici che col tempo hanno adottato il sistema di microblogging; ma l’aggiunta di personaggi famosi, oltreoceano, è una fase secondaria in ordine di tempi: prima deve venire un’idea. Faceskin sembra seguire il percorso inverso: “questo è il nostro sito, fa un po’ di cose e, ehi!, ci sono anche Jovanotti e Fabio Volo!”

La Silicon Valley è sempre più legata a Stanford, si diceva. In Italia va ancora alla grande il filo diretto con Cologno Monzese e Viale Mazzini. I risultati poi si vedono.