Attualità

Enigmisti (e gattini) conformisti

Cos'hanno in comune Saw e i virali di gattini? Una buona dose di conformismo creativo e una certa tendenza a rincretinirci

di Cesare Alemanni

Mercoledì 20 giugno, Buzzfeed.com (un sito di cui si è parlato spesso su queste pagine) ha pubblicato una gallery intitolata “21 immagini che ripristineranno la vostra fiducia nel genere umano”. Al suo interno: foto di giovani che salvano animaletti struggenti da svariati generi di morte, catene di fast-food che servono pasti gratuiti ai senzatetto, pompieri che tengono tra le braccia gattini sotto choc e altro materiale su questo tono. Abbastanza da sciogliere anche il più incallito dei misantropi e così, in breve tempo, l’articolo ha raggiunto 7 milioni di visualizzazioni uniche e quasi 2 milioni di condivisioni soltanto su Facebook.

L’ autore del post si chiama Jack Shepherd. Ha 33 anni, vive a Brooklyn (“con un gatto e i miei rimpianti” – una punta di malinconia estratta dalla sua bio) e lavora come Community Manager di Buzzfeed. Nella settimana successiva alla gallery in questione, un enorme successo anche per i sovrumani flussi di traffico del sito che la ospita, ha postato esattamente un contenuto al giorno con la sola eccezione del week-end. Ecco qualche titolo: “21 animali che ritornano al loro pianeta natio” (foto di animali in fase di apparente decollo, oltre 1000 like), “Gente incazzata con Adele per aver fatto una cover dei 311” (Tweet di gente incazzata per la suddetta ragione, 1000 like), “Cose che fanno i vostri animali domestici quando non siete in casa” (si spiega da sé, oltre 9000 like). Questo significa che il buon Jack ha messo insieme, in una sola settimana, un numero di condivisioni e visite che interi siti di medio/grosso cabotaggio arrivano a toccare in un anno. Ad andar bene. Se intascasse un centesimo per ogni like che riceve (e non è affatto escluso che non sia proprio questa la direzione in cui in futuro andranno i compensi per chi pubblica online) Shepherd staccherebbe assegni in bianco come mancia.

In un recente articolo scritto per Slate, Farhad Manjoo, uno dei più interessanti autori in circolazione, ha indagato meglio in cosa consiste il lavoro di Shepherd. Ha scoperto che non si tratta di nient’altro che aggirarsi con un “Geiger per virali” tra forum, community, siti minori, social network più o meno estesi e popolari etc. per raccogliere frammenti di idee da integrare con ulteriori frammenti di idee, reperiti con altre modalità o in altri luoghi della rete, spesso cercando direttamente tramite Google. Così, per esempio, la primogenitura di “21 cose che ripristineranno etc.” spetta a Ned-Hardy.com, un sito “simile a/ma molto meno noto di” Buzzfeed (il cui core business, lo ricordiamo, è sostanzialmente “creare virali” a partire da immagini di gattini e altri deliziosi cucciolotti) che tempo fa aveva postato un paio di classifiche identiche, soltanto più scarne: “7 immagini che ripristineranno etc.” e “13 immagini che etc“. Dal momento che, in questo genere di mercati, la quantità conta più della qualità, Shepherd ha “campionato” quell’idea (riutilizzando un buon numero delle immagini che conteneva) trovata in un angolino di rete frequentato da una percentuale di utenti insignificante rispetto a quella che visita abitualmente il sito per cui lavora, e l’ha arricchita cercando qua e là materiali affini, immettendo chiavi di ricerca specifiche nei motori o collezionando immagini da Reddit, Pinterest etc. Il tutto senza accreditare in alcun modo la paternità del “soggetto” all’ideatore originale. Interpellato da Manjoo, il fondatore di Buzzfeed Jonah Peretti ha dichiarato che in realtà il suo dipendente stava lavorando a quel post da molto prima che fosse pubblicato sull’altro sito e che, in ogni caso, giornalmente i contenuti dello stesso Buzzfeed vengono saccheggiati da tutto il web (Repubblica.it, per esempio, ne sa qualcosa). Come a dire: «È la rete, bellezza». E probabilmente lo è davvero e comunque non è nemmeno questa storia di netiquette violate, scorciatoie etiche e contenuti scippati la parte che più mi appassiona di tutta la vicenda.

La parte, secondo me, interessante  viene a galla in un post del blog di Derek Thompson, un senior editor di the Atlantic che abitualmente scrive di economia. Nel suo post, Thompson riprende le parole a conclusione dell’articolo di Manjoo («Il segreto della fortuna di Buzzfeed sta nel trovare cose che sono già un piccolo successo virale e renderle migliori. Ripetete il processo un certo numero di volte e otterrete alcune super-hit. Questo non è genio. È una macchina») come espediente per estendere il meccanismo al cinema, prendendo a campione l’inarrestabile ascesa della Lions Gate, la casa di produzione di Hunger Games. Fino a 10 anni fa era una piccola società di Vancouver con all’attivo alcuni cult minori come American Psycho, il film (brutto) tratto dal romanzo di B.E. Ellis, oggi è il quarto produttore cinematografico nord-americano per fatturato, davanti a colossi storici come Paramount e 20th Century Fox. Secondo Thompson, la filosofia dietro a questa scalata non è poi così diversa da quello seguita da Buzzfeed. Molto semplicemente, da un certo punto in poi, la Lions Gate ha deciso di produrre una serie di film seguendo un unico principio: se ha funzionato una volta, funzionerà anche la seconda, e la terza, e la quarta, e la quinta etc. Anzi, aumenterà. Ed è così che nel giro di cinque anni, tra 2004 e 2009, la Lionsgate ha prodotto macchinalmente sei episodi consecutivi di Saw, l’enigmista, il franchise che da solo ne ha decuplicato i fatturati, permettendo di investire in altri ricchi franchise come Hostel e ora Hunger Games, il più redditizio di tutti.

Questo cosa significa? Niente. O forse tutto. Significa che in un regime di libero mercato, giustamente nessuno può impedire a Buzzfeed o Lions Gate di spremere il massimo profitto dal loro “credo” seriale, tanto più che entrambe comunque hanno dimostrato di saper diversificare la loro produzione. Nel caso di Buzzfeed, affidando a Ben Smith, l’ex brillantissimo editor di Politico (ve lo raccontavamo su Studio numero 7), una finestra di attualità e politica sul sito mentre, nel caso di Lions Gate, puntando anche su film che non erano affatto dei successi scontati come Quel treno per Yuma. C’è però un altro lato della medaglia da prendere in considerazione ed è quello che riguarda la creatività intrinseca a questo modo di operare. O meglio, la mancanza di creatività e i conseguenti effetti sul pubblico.

Esiste infatti, almeno secondo me, un altro punto di contatto, anche se meno vistoso, tra le liste di Buzzfeed e le produzioni cinematografiche seriali, in particolare Saw ma non solo, ed è che entrambe procedono per pattern. Sia le liste del sito che gli indovinelli/modi di morire dello splatter e di altri film del genere, sono reiterabili all’infinito. Sono contenitori vuoti che sostanzialmente dispensano i loro autori dal minimo sforzo autenticamente creativo, riuscendo comunque ad attirare pubblico e quindi a produrre denaro sulla base di un input molto semplice: «Vediamo come hanno riempito le caselle questa volta». Può darsi che mi sbagli ma credo che scrivere ex novo una sceneggiatura coerente rappresenti una sfida creativa infinitamente più ardua che riempire degli spazi “narrativi” bianchi all’interno di un identico canovaccio, così come lo è creare da zero un autentico virale è molto più complesso che metterne insieme venti piccoli in una lista e ottenere una hit. In entrambi i casi, comunque, cioè che viene passato a un pubblico di milioni di persone è l’abitudine alla ripetizione, nonché a una bella dose di conformismo creativo. Nel loro modo di lavorare, Buzzfeed, Lions Gate e le molte altre imprese di intrattenimento che si muovono in modo simile, mi sembrano tra i più avanzati avamposti sorti all’incrocio tra un sempre più disimpegnato concetto di svago e la crescente oggettività e trasparenza introdotta dai nuovi media nella misurazione del successo di un qualsivoglia contenuto. Una esattezza statistica che ha dato il via a una gara, peraltro legittimata dal carattere imprenditoriale di queste realtà, a chi – in nome dei numeri – offre l’intrattenimento più rudimentale, più “a colpo sicuro” e a più basso investimento/rischio creativo. Una prassi al ribasso che livella non solo il carattere della competizione ma anche le aspettative e le pretese del pubblico, tanto che, credo, di fronte ai gattini non si possa più nemmeno parlare di Pop. Si sta parecchio più in giù. Sto dicendo che è un giochino a rincretinirci? Sì, sto dicendo che è un giochino a rincretinirci ma, tengo a precisarlo in conclusione, lo sto dicendo senza moralismi o istinti censorii. Del resto: «È il mercato, bellezza».