Attualità

Costantino contro i francescani

Abbiamo incontrato Costantino della Gherardesca per parlare del suo libro, Punto e di televisione, retorica e impegno.

di Federico Sardo

È uscito da un paio di settimane il primo libro di Costantino della Gherardesca, Punto. Aprire la mente e chiudere con le stronzate (Rizzoli Lizard) definito in quarta di copertina «punta di diamante della nuova televisione italiana». Si tratta di un divertentissimo anti-manuale di auto-aiuto, che ribalta tutti i principi di quel tipo di pubblicazioni, basandosi su cinque punti fondamentali: «Non seguire i tuoi sogni»; «Diffida della semplicità»; «Non cercare consensi»; «Evita la realtà»; e «Mentire è un atto civile». Abbiamo incontrato Costantino a casa sua – cui si accede dopo avere citofonato «Elizabeth Taylor» – tra arredi minimali e splendide fotografie d’autore alle pareti. In un caldo pomeriggio di luglio, fumando un’infinità di Marlboro al mentolo, ci ha raccontato qualcosa di più sul suo pensiero, la sua vita e la sua televisione.

 

ⓢ Intanto una cosa per metterti in una buona disposizione d’animo: io il libro l’ho comprato, non me lo sono fatto spedire.

Oh, bravissimo.

 

3990657-9788817094795ⓢ Una delle basi del libro è una sorta di rifiuto della spiritualità, delle guide di auto-aiuto pseudo-new age.

È un rifiuto della spiritualità e della matrice cristiana che pervade il pensiero in Italia sia a destra che a sinistra. È una cosa molto difficile da scrollarsi di dosso. Tanto è vero che molti intellettuali, registi, politici, fanno leva su queste aspettative del pubblico per vendersi. Calibrano il loro pensiero e i loro contenuti per soddisfare queste aspettative e per ottenere consensi, prendendo posizioni contro il progresso, in un modo abbastanza unico e peculiare del nostro Paese: è raro trovare posti in Europa o in Asia dove la gente si rivolta contro le costruzioni, i grattacieli e l’innovazione.

 

ⓢ Nel libro prendi abbastanza pesantemente in giro Grillo, Scanzi e Travaglio, tre personaggi famosi e di potere. Nella tua posizione di uomo di spettacolo non è sempre meglio tenersi buoni tutti?

Ovviamente va contro i miei interessi. Però io credo di avere una forte spinta ad agire così sin dall’infanzia, perché ho sempre visto la figura di mio padre, che ora non c’è più, come quella di un uomo molto debole. E questo mi spinge a non comportarmi come avrebbe fatto lui, e quindi a essere (tra moltissime virgolette) coraggioso, o incosciente, e fare quel salto nel vuoto dove rischi di farti male. Spesso mi faccio anche male, però poi la mia coscienza è soddisfatta. Non che io creda particolarmente in una coscienza, ma così credo di aver fatto il mio dovere.

 

ⓢ Con i seguaci di Grillo sei sempre stato piuttosto feroce, ne hai ricavato rotture di scatole?

Ne ho ricavato grandi rotture di scatole. Il tutto è iniziato credo cinque anni fa quando loro avevano cominciato a fare queste campagne sui vaccini, l’autismo, le multinazionali… Io per dispetto e per dovere ho deciso di fare una campagna Unicef per i vaccini. E quella è stata la prima volta in cui ho cominciato a ricevere insulti anche abbastanza pesanti, e anche minacce di morte, da parte della base grillina.

 

ⓢ Il libro mi ha fatto ridere…

L’idea è quella: soprattutto è un libro comico, non vorrei sembrasse un libro impegnato.

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ⓢ Però trovo anche che sia un libro “difficile” da comunicare per uno che potenzialmente ha un pubblico estremamente ampio, televisivo. È roba che comunque è composta da molta ironia e molti paradossi, che non è facilissima, che non va sempre intesa in senso letterale.

È importante fottersene, è fondamentale. Ed è importante anche uno dei punti del libro, «Diffida della semplicità». Come dici tu: ci sono vari strati di ironia e paradosso, ma fa parte dell’intrattenimento! Ti faccio un esempio: il lusso di Versailles contro il lusso di Dubai. Prima di andare a Dubai ero emozionatissimo: un luogo moderno, nuovo, sfrenatamente consumista. Il lusso, le Lamborghini, gli arabi sexy e ricchi… il paradiso. Invece ho avuto una delle più grandi delusioni della mia vita, seconda solo a quella di quando sono andato a Las Vegas e me la immaginavo come nel film Casino. Perché dietro ogni gioiello, ogni cosa in vendita… dietro quel lusso e quell’appariscenza non c’era nulla. Mentre a Versailles a una festa in maschera o a un ballo le duchesse si facevano delle parrucche con tutti dei retropensieri in onore dell’indipendenza degli Stati Uniti, parrucche con temi politici e indipendentisti, oppure vestiti da sera ispirati alla Cina… Facevano dei balli dove tutto aveva una storia anche politica e concettuale. E quello era il vero lusso: lì diventa interessante, nel momento in cui l’analisi diventa una perversione. Quello è intrattenimento efficace: quando qualcosa è troppo semplice, quando le cose sono troppo bianche o nere a me non interessano. O non mi divertono. In questo senso, quindi, ho cercato invece di fare un libro divertente.

 

ⓢ Nel libro celebri l’importanza del fare i soldi fregandosene dei sogni, però alla fine il paradosso è che poi hai scritto una cosa che non va bene per il pubblico di Barbara D’Urso, non è il tuo memoriale strappalacrime.

Lo so! Questa è una mia tara… Ho la mente troppo contorta, e sbatto sempre la faccia contro il muro per colpa di queste mie contorsioni mentali. Vado a Dubai aspettandomi chissà che e invece è una merda, scrivo il libro volendo fare soldi e in realtà scrivo un libro divertente ma che forse rischia di essere fatto con un po’ di narrow casting per te che scrivi su Rivista Studio e non su Tv Sorrisi e Canzoni o Il Mattino di Napoli.

 

ⓢ Il libro è piuttosto cattivo e politicamente scorretto, il che mi ha ricordato un po’ le prime cose che facevi. Ti ho visto sempre come uno molto lontano non solo, ovviamente, dalla destra ma anche dalla sinistra.

Estremamente. Perché la sinistra, che è l’ambiente dove mi hanno sempre collocato, dà enormi delusioni. Tanti miei colleghi di sinistra sono stati apripista al Movimento 5 Stelle e a quel tipo di pensiero, invitando nei loro programmi quegli scrittori come Erri De Luca o Mauro Corona, sempre questa retorica francescana. Perché la trovano chic. Per loro Cronenberg non è chic, invece vanno bene i film italiani che mostrano famigliole che sembrano uscite dalle soap opera dell’America di Reagan.

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ⓢ Però negli ultimi anni avevi cominciato anche a esporti in prima persona in un impegno politico a favore del Partito Democratico. Mi chiedevo sia cosa ti ci ha fatto avvicinare, sia se vogliamo considerare questo libro come un mezzo passo indietro rispetto all’uhm, “impegno civile”.

Innanzitutto era un impegno politico per schierarmi. Perché la maggior parte dei miei colleghi non hanno i coglioni oppure hanno troppa paura per schierarsi, e io come dicevamo prima sento l’esigenza – per ragioni personali – di non essere un cagasotto. L’impegno era per il sì ai referendum e per Sala a Milano. Per quanto riguarda Sala a Milano mi sembra abbastanza ovvio: dall’altra parte c’erano dei leghisti e una componente razzista. L’antirazzismo è una delle poche cause per la quale sento un minimo di spinta civile, non solo in senso morale ma anche perché credo che il razzismo e la chiusura abbiano davvero effetti deleteri sul Paese, anche a livello economico. Per quanto riguarda i referendum ero favorevole a delle riforme che hanno fatto in tanti Paesi europei e che avrebbero reso l’Italia più governabile. Oggi abbiamo visto come delle persone che si erano schierate contro il referendum per difendere la Costituzione antifascista in realtà hanno preso posizione contro il reato di apologia di fascismo.

Detto questo, nel libro più che parlare bene del Pd parlo bene di Mario Monti. Perché odio, cosa che fanno anche nel Pd (che ovviamente mi sta più simpatico della Lega o dei 5 Stelle) quando la politica parla di emozioni e di sentimenti. A me fa schifo. Io voglio che ci raccontino dei gasdotti russi, che ci spieghino l’economia. Perché ha vinto il No? Perché la gente vota certi partiti? Perché non viene spiegata la situazione economica reale fuori dall’Italia. È drammatico che anche in televisione non si parli mai di politica estera. I dirigenti dicono che non fa ascolti e la gente cambia canale, e quindi si trattano solo piccole scaramucce tra esponenti dei partiti italiani, gossip di politica interna in cui vince il più populista del mazzo. Il problema francescano è radicatissimo: molti a sinistra se dici “economia” pensano alla finanza d’assalto, mentre l’economia sono anche le fogne, i treni, le strade, l’import-export.

 

ⓢ Nel finale del libro, in un momento di riflessione su te stesso, ti concedi una specie di ammissione di colpa dicendo che in fondo sei «una Boldrini».

Alla fine il problema è riuscire a uscire da questo pensiero francescano, da questo boldrinismo. Per noi italiani è come il recupero per un alcolista: tutti i giorni vorresti bere, ma giorno per giorno devi resistere e dirti “no, non voglio tornare alla semplicità e leggere testi spirituali in una comune”.

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ⓢ Si può dire che ti trovi un po’ a metà strada tra queste tendenze moraliste, decorose, civili, e spinte più rivoluzionarie e di rottura. A metà strada tra la Boldrini e Mario Mieli?

Sì. Secondo me sì. Ho quel retaggio inculcato che cerco di superare. Poi io ho un altro retaggio spaventoso che non riesco a togliermi di dosso: l’antiberlusconismo. Io detesto il mondo di Berlusconi e quello che ha rappresentato in quegli anni. Faccio molta fatica ad accettare un pensiero capitalista provinciale, volgare. Per me è impossibile. E siamo noi di sinistra ad avere creato in quegli anni i Travaglio e quei personaggi che poi si sono rivelati per quello che erano. Ci siamo sbagliati. Zizek in quegli anni non riusciva a capire la fissa della sinistra italiana per la legalità. La sicurezza sopra la libertà è la base della legalità.

 

ⓢ Come vivi la popolarità? Ti fermano per le foto al supermercato?

Sì, spesso mi fermano. Sono tutto contento, anche perché posso cercare di vendere il prodotto: “Mi raccomando comprate il libro, mi raccomando guardate il programma”. È tutto una continua telepromozione. Perché spendo veramente troppo, e non guadagno quanto i miei colleghi: sono di quella generazione sfigata che è tra i Gerry Scotti e i Bonolis, e quelli dopo di me che non hanno sprecato tempo a studiare filosofia o a pensare all’ideologia, a farsi le seghe mentali, e sono molto più concentrati sul denaro come un Fedez, che a vent’anni già pensava a fare i soldi. Io sono quella generazione di mezzo, una generazione dimmerda. Vorrei fare la pubblicità! Invece solo beneficenza, mai un detersivo. Lanciamo un appello importante: all’estero mettono gli uomini buffi come me nelle pubblicità (qui vogliono ancora i figaccioni, purtroppo).

 

ⓢ È difficile fare una tv diversa in Italia?

È stato molto difficile. Ed è molto difficile portare avanti certe cose. È tutto cambiato con Mario Monti, in positivo. Lì è arrivata la meritocrazia. Da quel momento la mia carriera e la mia vita sono cambiate, parliamo proprio di due settimane dopo il suo insediamento… Ho cominciato a ricevere telefonate, una cosa incredibile. Però per fare un unscripted come Secondo Costa o per fare altri programmi come quelli che spero di fare in futuro ci sono voluti anni di convincimento. In televisione si tende sempre a pensare che la formula migliore sia quella di prendere un format dall’estero e seguire degli schemi, mentre secondo me adesso c’è una voglia di televisione che non segua formule, televisione più aperta.

Pechino Express piace a un pubblico sempre più giovane, mentre all’inizio piaceva a “noi”, quindi gli altri programmi cerco di farli per un pubblico come possiamo essere io e te, per il nostro pubblico, che tende a guardare sempre di meno la televisione. E a me spiace molto questa disaffezione, perché quando fanno i programmi di merda cacciano il pubblico più influente e il pubblico del futuro dalla televisione, che va sempre di più a guardarsi solo Netflix. Quando vedo programmacci populisti e sentimentali io mi dico “porca troia, ‘sti stronzi stanno uccidendo le mie possibilità di lavoro tra sette anni”, perché se si lavora così a guardare la televisione un certo pubblico non ci resterà mai più. E io non ho abbastanza soldi per andare già in pensione! Io quindi cerco di riportare davanti allo schermo chi non guarda più la televisione, cosa che – secondo tutti i dati – stiamo riuscendo a fare. Secondo Costa per esempio è andato anche meglio di quanto pensassi. Il problema è che l’operazione che faccio io la dovrebbero fare in tanti.

Nelle immagini: nel testo Costantino della Gherardesca in Secondo Costa e Pechino Express; immagine in testata Getty Images