Attualità

La grande hit colombiana

Nel 2010 l'esercito di Bogotà escogitò un modo peculiare per mandare un messaggio in codice agli ostaggi trattenuti dalle Farc: una canzone pop.

di Davide Piacenza

In Historias de Gigantes, pubblicato nel marzo 2012, la scrittrice e columnist colombiana Virginia Mayer mette insieme le storie di «10 colombiani eccezionali», come specificato nel sottotitolo del libro: l’artista Fernando Botero, l’attore hollywoodiano John Leguizamo, l’industriale degli alimentari e del caffè Leo Katz, l’economista e mago della Borsa Roberto Pinilla – uno yuppie alla Jordan Belfort ma senza lo skyline di Wall Street – lo scienziato della Nasa Raul Cuero. E poi anche Juan Carlos Ortiz, un nome comune e un’infanzia problematica con genitori troppo severi, pare, benché oggi sia una leggenda vivente della pubblicità e il presidente della divisione dell’America latina di Ddb, un conglomerato del settore advertising tra i più importanti al mondo. Ortiz, tra le altre cose, è anche protagonista di una di quelle vicende così inusuali da guadagnarsi l’appellativo di fiction mancata. Riguarda da vicino la storia recente colombiana e Jeff Maysh l’ha ricostruita e raccontata su The Verge.

In un giorno di fine primavera del 2010 Ortiz, quarantaduenne dal viso rotondo incorniciato da una folta frangia di capelli neri, era nella sua villa di Miami a giocare in piscina coi figli. Ricevette una chiamata inaspettata: all’altro capo si presentò il colonnello dell’esercito colombiano José Espejo, un veterano delle forze armate di Bogotà che di lì a poco, dopo ventidue anni di quello che si direbbe un onorato servizio, avrebbe ufficializzato il suo pensionamento.

Per introdurre il motivo per cui un alto gerarca come Espejo quel giorno avesse chiamato Ortiz bisogna fare un salto indietro nel tempo, alla ragione principale per cui il pubblicitario si era già guadagnato un posto nel novero dei connazionali più meritevoli e famosi. Dopo aver trovato lavoro alla sezione colombiana dell’agenzia Leo Burnett – quella che ha disegnato la fortunata mascotte Kellogg’s Tony the Tiger, tra le altre – come assistente copywriter, Ortiz diede grande prova di sé, arrivando nel giro di pochi anni ad assumere il titolo di direttore creativo, e in seguito anche quello di presidente della società. Nel 2000 il colombiano fu artefice di uno dei più fortunati spot dell’America latina: in Caspa, commissionato dal governo di Bogotà nell’ottica di una campagna di sensibilizzazione sul consumo di droga, un uomo su un autobus osserva la giacca di un signore più attempato che sta leggendo davanti a lui. È evidentemente sporca di forfora, ma il tipo in questione si guarda intorno, furtivo, e poi la sniffa di getto. Dopo appaiono soltanto le parole «Cocaine is addictive. Very addictive».

Caspa garantì a Ortiz non soltanto il primo leone d’oro colombiano del Festival internazionale della pubblicità di Cannes e una carriera in discesa, ma anche un’enorme popolarità in patria. In un paese come la Colombia, dove ancora nel 2011 l’industria della droga aveva un giro d’affari da 10 miliardi di dollari, le lobby malavitose non presero bene questa iniziativa. Anche per le Farc, i celebri gruppi armati di ispirazione marxista che da decenni compiono azioni di guerriglia e controllano aree rurali nel sud e nell’est del paese, e tra le altre cose si sostentano riscuotendo percentuali dell’indotto del mercato della droga, la guerra al consumo di cocaina era un problema: Ortiz venne ricattato da un membro del gruppo che gli chiese di pagare una cifra folle di pesos per aver salva la vita. Mentre le minacce si intensificavano, il pubblicitario prima comprò un’auto blindata per sé e la propria famiglia, e poi decise di trasferirsi a New York. Ma, come precisa The Verge, «non dimenticò mai la sua ostilità nei confronti delle Farc».

Il colonnello Espejo aveva una richiesta particolare. Quella primavera coordinava un’offensiva militare chiamata “Operazione camaleonte”, l’ennesimo sforzo delle autorità di Bogotà per liberare le persone prese in ostaggio dai guerriglieri, un programma di sei mesi affidato a forze speciali e incursioni a sorpresa. Dato che le Farc sono solite uccidere i loro prigionieri in caso di invasione, Espejo doveva comunicare agli ostaggi un messaggio rincuorante e in grado di fargli sapere come muoversi e valutare: l’operazione dell’esercito era in corso, si trattava solo di resistere ancora un po’.

Naturalmente ciò che per i carcerati – in gran parte militari e membri delle forze dell’ordine – doveva essere afferrabile, per le Farc sarebbe dovuto rimanere off limits. Serviva, in altre parole, un messaggio in codice da inviare a dozzine di persone sorvegliate da uomini armati nella giungla. E chi se non Juan Carlos Ortiz, il mago della creatività diventato paladino anti-Farc, poteva avere un asso nella manica? D’altronde non sarebbe stata la prima volta che il creativo aveva pensato a strategie non convenzionali per logorare i ribelli: nel 2008 aveva concepito una campagna di persuasione dei guerrieri Farc, ancora stimati nell’ordine delle diecimila unità. Nel corso di quattro mesi l’esercito aveva scaricato 7 milioni di succhiotti per neonati nelle zone da loro controllate per convincere le madri ad abbandonarle, unitamente a centinaia di palloni da calcio recanti messaggi di pace sganciati in direzione dei loro accampamenti. E per finire, giganteschi e luminosissimi alberi di Natale erano stati accesi al limitare della foresta, quasi a dire: ecco di cosa vi state privando per combatterci.

Espejo diede ai partecipanti un’informazione vitale: le Farc concedono agli ostaggi l’uso delle radio

Ortiz decise di accettare l’offerta. Prese il primo volo per Bogotà da Miami, e una volta tornato a casa riunì negli uffici della Ddb un all star team di creativi colombiani: Rodrigo Bolivar, Alfonso Diaz, Mario León, Luis Castilla. A un certo punto del meeting il colonnello Espejo diede ai partecipanti un’informazione vitale: le Farc sono solite concedere agli ostaggi l’uso delle radio, sia per mantenerli di buon umore che per permetter loro di ascoltare Las voces del secuestro, uno show di una radio di Bogotà, Caracol, che permette ai familiari degli scomparsi di mandare ai propri cari brevi messaggi audio.

Si pensò quindi subito di inserire un messaggio in una réclame da trasmettere in radio. Diaz, il direttore creativo, suggerì di ricorrere al codice Morse, che i soldati rapiti avrebbero inteso mentre i militanti delle Farc, perlopiù di origine contadina, con ogni probabilità non avrebbero saputo decifrare. Ma come nascondere dei segni in codice Morse dentro uno spot radiofonico? Si tratta di suoni. Sarebbe stato meglio inserirli in una canzone. E questa fu la proposta finale che il mago dell’advertising Ortiz fece all’esperto generale Espejo.

L’insolito gruppo si recò negli uffici di Radio Bemba, un piccolo studio di registrazione di Bogotà nato tre anni prima per produrre jingle destinati all’industria dell’intrattenimento. Stavolta però, spiegò Espejo ai titolari, bisognava creare qualcosa in grado di entrare nella “Lista 40” (la classifica colombiana dei singoli più ascoltati). E per un motivo nobile, ma che sarebbe dovuto necessariamente rimanere segreto.

Si poteva inserire un segmento di codice Morse in una canzone? Certo, riferì alla squadra il produttore Carlos Portela, che oggi rivela a Verge di aver pensato inizialmente di trovarsi di fronte a dei pazzi. Si iniziò subito a testare soluzioni con percussioni e tastiere, scoprendo che le persone più allenate sono in grado di leggere questo tipo di segnali a un ritmo di 40 parole al minuto. Ma la metà di questo valore era il numero giusto: inserendo 20 parole in codice Morse all’interno di un ritornello il ritmo della canzone risultava inalterato. Il messaggio fatale sarebbe stato: «19 [ostaggi] salvati. Il prossimo sei tu. Non perdere le speranze».

Il testo venne curato da Portela e il cantautore Amaury Hernandez, e sviluppato parallelamente ai tentativi di far convivere segnali acustici non musicali e il ritmo di una canzone pop. Alla fine ne venne fuori una ballata dal testo colmo di rimandi: «Nel mezzo della notte / Pensando a ciò che amo di più / Sento il bisogno di cantare… Quanto mi mancano». Il messaggio in codice venne inserito nell’interludio tra il coro e la strofa seguente, introdotto da un eloquente: «Ascolta questo messaggio, fratello». Per meglio allacciare il codice alla sonorità della canzone venne usato un software musicale specializzato, Reason.

Inserendo 20 parole in codice Morse all’interno di un ritornello non si alterava il ritmo della canzone

Rimaneva da trovare l’artista che avrebbe suonato il pezzo, e la scelta ricadde su una piuttosto anonima collaboratrice di Radio Bemba, Natalia Gutierrez Y Angelo. Scavalcato, a fatica, il dilemma del riuscire a inserire il messaggio in modo che risultasse chiaro ma al contempo non troppo evidente (lo occultarono nella melodia tre volte, dopo altrettanti ritornelli, per assicurarsi che venisse inteso), la canzone era pronta. Ortiz era entusiasta: «La prima volta che l’ho ascoltata ho pensato che fosse una canzone di libertà», ha commentato con Verge. Le radio colombiane solitamente trasmettono quasi esclusivamente grandi successi pop, ma nel caso dei territori occupati dalle Farc il problema non si poneva: tutte le radio del posto sono sotto il controllo governativo.

Seguì un appello televisivo del generale Luis Mendieta Ovalle Herlindo, a sua volta ostaggio delle Farc liberato da un’incursione tra le prime dell’Operazione Camaleonte: «Questo messaggio è per i membri delle Farc. Per coloro che sono tenuti prigionieri senza radio: per favore, date loro una radio». Alle orecchie del colombiano comune non suonò niente di più che un invito caritatevole a permettere agli ostaggi di ascoltare i messaggi dei loro cari su Las voces del secuestro.

Iniziò il bombardamento mediatico: 130 stazioni minori programmarono “Better Days” – questo il titolo finale scelto dalla squadra di Ortiz – ininterrottamente per mesi, rendendo il brano di una popolarità ineguagliabile per milioni di persone delle regioni rurali della Colombia. Mentre i raid dell’operazione continuavano senza sosta, nel dicembre del 2010 i ribelli annunciarono il rilascio di cinque ostaggi come atto umanitario. E nella primavera del 2012 vennero liberati gli ultimi dieci prigionieri di provenienza militare, alcuni dei quali si trovavano nella giungla da più di un decennio. Più recentemente, lo scorso 18 dicembre all’Avana, appena dopo lo storico annuncio con cui Barack Obama ha indicato la fine del gelo fra gli Stati Uniti e Cuba, i gruppi di ribelli hanno annunciato un cessate il fuoco unilaterale a tempo indeterminato.

Non esiste una prova inconfutabile dell’efficacia dello stratagemma di Juan Carlos Ortiz e José Espejo. In almeno un caso, però, quello del soldato semplice Joshua Alvarez, c’è motivo di pensare che si sia trattato di una buona idea. Secondo Espejo, Alvarez nella valutazione psicologica seguita alla sua liberazione ha raccontato di aver ascoltato «il codice nascosto nella canzone», che col passare dei giorni si era diffuso di ostaggio in ostaggio nell’impenetrabilità della foresta tropicale. Per qualche ragione anche le Farc avevano apprezzato “Better Days”. Quando passava in radio, testimonianze raccontano che i rivoluzionari fossero visibilmente contenti.

Nell’immagine in evidenza: un soldato controlla l’autostrada per San Vicente del Caguan dalla sua base. 31 luglio 2002. (Carlos Villalon/Getty Images).