Attualità

Benedette copertine!

Nel dibattito tra pro e contro e-book, la grafica del libro gioca un ruolo centrale: ecco perché

di Cristiano de Majo

Nel frequentatissimo dibattito ebook versus libro cartaceo che in questi mesi calamita le opinioni degli esperti su pagine culturali e social network, il fronte dei tradizionalisti ha gioco facile nel rimarcare l’insostituibilità del libro in quanto oggetto multi-sensoriale. L’odore della carta, il rumore delle pagine sfogliate e soprattutto il piacere visivo del progetto grafico sono istanze, dicono i tradizionalisti, non riproducibili in digitale e che quindi dimostrerebbero la sostanziale incompletezza degli ebook. Bisognerebbe capire quanto questi valori siano importanti per il lettore medio. E nessuno lo sa, a parte alcuni che dicono: poco, tanto da prevedere per il libro un destino simile a quello del vinile: diventare oggetto di culto per una nicchia di appassionati e super-esperti.

Se è insensato accomunare l’ascolto della musica alla lettura per quanto riguarda il rapporto sentimentale che si instaura tra fruitore e supporto, d’altra parte, pur mantenendo fermo l’odore della carta e il rumore delle pagine sfogliate, costanti al variare del libro, l’aspetto visivo non è sempre un valore aggiunto. Le librerie abbondano, per usare un eufemismo, di monnezza grafica e fare tutta questa poesia su centinaia di cloni mondadoriani di ragazze misteriose che ti guardano in tralice con occhi di ghiaccio, o di tuffatori/acrobati feltrinelliani sospesi a mezz’aria o, peggio, di pastiche iperrealisti che ricordano il peggior Koons, è un po’ come combattere per la salvezza del cinema aggrappandosi a Ferzan Ozpetek o a Fausto Brizzi. Meglio un po’ di pulizia a questo punto, meglio ma molto meglio un display retroilluminato che accecarsi con colori sgargianti e immagini pacchiane.

Se non fosse che esistono le eccezioni. Gli stoici continuatori della gloriosa tradizione modernista delle copertine e dei progetti grafici. In Italia soprattutto piccoli-medi editori in sintonia con il loro pubblico di riferimento. Ecco, per esempio, alcuni progetti grafici da ricordare – o meglio: che io ricordo – di questi anni, oltre all’immarcescibile Adelphi sempre fedele alla linea: le prime collane di :duepunti edizioni, la prima collana Greenwich di Nutrimenti (con Duchessa del nulla che è un vero capolavoro grafico, oltre che letterario), cose vecchie e meno vecchie di minimum fax, le collane La Cultura e i Tascabili del Saggiatore, il disegno della nuova 66thand2nd, Guanda con Scarabottolo, e praticamente tutti i libri di Isbn, che non a caso con le sue copertine disegnate da Alice Beniero ha vinto l’European Design Award.

Quasi sempre le copertine e i progetti grafici memorabili sono riconducibili al cosiddetto modello forte, in cui il designer, più che un traduttore del contenuto testuale, è un coautore dell’oggetto libro e dove l’identità estetica (ilcorporate si direbbe in termini di marketing) della casa editrice è sempre prevalente.

In questa direzione si muove anche la neonata filiazione latinoamericana di minimum fax, Sur, che grazie a Riccardo Falcinelli, tra i più bravi designer degli ultimi anni, è uscita con il miglior progetto editoriale del 2012. Ho in questo momento tra le mani Gli addii, ripescaggio di Onetti, ed è un oggetto così bello che ci si affeziona. Hardcover senza sovraccoperta, stile grafico che richiama il segno di Saul Bass, ma senza essere plagiario, identità corporate fortissima, se si guardano anche le altre cinque uscite.

L’idea che c’è dietro Sur è stabilire un contatto diretto con librerie indipendenti e lettori, oltrepassando così gli annosi problemi della distribuzione dominata dalle mega-concentrazioni editoriali. Il che, se si nota appunto quanto siano curati questi oggetti, farebbe pensare che le tesi catastrofiste – e cioè che il libro cartaceo è destinato a un mercato di nicchia – saranno in qualche modo confermate.

In realtà, i progetti grafici ispirati al modello forte hanno contraddistinto la storia editoriale italiana (e soprattutto la storia dei grandi marchi). E hanno alimentato il nostro immaginario visivo non solo di lettori, ma anche di semplici osservatori delle librerie dei nostri genitori, dei nostri nonni e di bancarelle.

Alcuni significativi esempi…


Bob Noorda per Vallecchi



Max Huber per De Agostini



Bruno Munari per la Piccola Biblioteca Einaudi (modello fortissimo)



John Alcorn per BUR (un modello a metà strada tra forte e debole, ma alla fine riconoscibilissimo)



Mimmo Castellano per Laterza



Enzo Mari per Bollati Boringhieri (modello fortissimo)



Karel Thole per Urania (Thole, olandese, era un illustratore, e non un designer, autore di molti surrealisti e angoscianti oblò di Urania, celebrato tra l’altro da Michele Mari, figlio di Enzo, nel racconto “Le copertine di Urania”)


E a proposito di Urania… Questa ricerca di vecchie copertine e di estetica moderna, mi ha fatto ripensare a un racconto di William Gibson, il suo più bel racconto secondo me, intitolato “Il continuum di Gernsback” contenuto nella raccolta La notte che bruciammo Chrome, pubblicato per la prima volta in Italia in un Urania speciale del 24-9-1989 in mio possesso. La voce narrante del racconto è un fotografo incaricato di immortalare architetture americane retro-futuriste degli anni Venti e Trenta, che a un certo punto inizia ad avere le allucinazioni e a vedere pezzi di architetture retro-futuriste ovunque: Gradualmente mi sintonizzavo sull’immagine umbratile di un’America che non c’era, di fabbriche di Coca-Cola simili a sottomarini arenati, di cinema di quinta visione simili a templi di una setta perduta che aveva adorato specchi azzurri e la geometria. Gernsback è in sostanza l’inventore della fantascienza e l’editore diAmazing Stories e il racconto di Gibson una storia di meta-fantascienza in cui viene fuori quanto l’estetica di un dato periodo storico sia utopica e immagini un futuro, estetizzandolo, completamente diverso da quello che sarà (o anche: di come, vista da un certo futuro, l’estetica del passato sia utopica rispetto al presente). Alla fine del racconto, per farsi passare le allucinazioni, il protagonista va alla prima edicola per prendere tutto quello che riesce a trovare sulla crisi petrolifera e il rischio nucleare per immergersi nella prova lampante della quasi-distopia in cui vivevamo. Allo stesso modo queste vecchie copertine italiane presagiscono da un punto di vista estetico un futuro che non si è realizzato. Sono un concentrato di utopie. E sono bellissime. Da diventare allucinazioni.