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La campagna antifumo del Terzo Reich

Uno dei centri nevralgici del pensiero nazista fu l’eugenetica, ovvero quell’insieme di metodi volti all’affermazione di una specie umana “perfezionata” (di razza ariana, nel caso specifico). Comprensibilmente nascosta dalle pagine più orribili dei crimini degli anni di Adolf Hitler, tuttavia, nei decenni si è persa un’iniziativa di allora che l’istinto difficilmente accosterebbe a quel periodo: la lotta al tabagismo. Come scrivere Robert Proctor, ricercatore del dipartimento di Storia di Stanford, nel suo libro The Nazi War on Cancer, «la Germania tedesca era governata da un’élite attenta alla salute e votata alla conquista dell’Europa e allo sterminio di massa».

Di certo c’è che nel 1939, l’anno dell’inizio del secondo conflitto mondiale, fu un tedesco, Franz Müller, a presentare il primo studio epidemiologico che postulava l’esistenza di un rapporto tra l’uso del tabacco e la comparsa di tumori. E nel 1943 una ricerca di Eberhard Schairer e Erich Schöniger, ricercatori all’università di Jena, confermò questa tesi: il tumore ai polmoni era un effetto diretto della apparentemente innocua sigaretta. Addirittura, ricerche tedesche coeve dimostrarono efficacemente l’esistenza del fumo passivo e i suoi rischi.

Come scrive Proctor, «il nazismo fu un movimento di giovani robusti e attenti alle condizioni di salute, preoccupati dall’influenza degli ebrei sulla cultura tedesca, dal comunismo ma anche dagli effetti nocivi del pane bianco, delle tinture alimentari e dell’amianto». Un articolo di Toxicological Sciences dimostra che prima del Novecento i casi mondiali di tumore ai polmoni erano decisamente rari. Dagli anni Trenta, con l’avvento della popolarità del fumo, aumentarono considerevolmente. Il merito di aver provato il collegamento tra i due dati, però, va dato a scienziati legati alla dittatura più feroce della storia.

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Nell’immagine: una campagna antifumo propagandata dal regime hitleriano.