Attualità

Londra Underground

L'esplorazione del sottosuolo ci rende cittadini più consapevoli? Il caso Londra

di Nicola Bozzi

Tra un paio d’anni, quando sarà finito, lo Shard di Renzo Piano sarà l’edificio più alto d’Europa. Darà quel tocco di modernità in più allo skyline di Londra, che oltre al classico Big Ben ha visto più recentemente arricchirsi il proprio orizzonte di icone come il London Eye, il Gherkin di Norman Foster o il bruttarello One Canada Square a Canary Wharf (adesso relegato a seconda struttura più alta nel Regno Unito proprio dall’opera dell’architetto italiano). Ma le nuove vette della capitale inglese, diciamocelo, non colpiscono l’immaginazione come quella parte di città molto più modestamente affondata nelle sue viscere: la London Underground, la più antica del mondo e da sempre presente nell’immaginazione collettiva.

Fin dal logo (che più di un mezzo di trasporto pubblico evoca una promessa di ribellione culturale) e dalla banalissima ma popolare frase “Mind the Gap”, il Tube è un’istituzione, e non solo per chi ha fatto la vacanza studio in Inghilterra ed è tornato con una maglietta. La rete sotterranea è stato l’ambiente tristemente designato per gli attacchi terroristici del 7 luglio 2005, oltre a un attore chiave in opere diverse come Sliding Doors e V for Vendetta. Nel fumetto di Alan Moore e David Lloyd, in particolare, i tunnel della metropolitana assumono il ruolo di spazio urbano in negativo, il canale attraverso cui viaggia la sovversione del potere che governa i cittadini dall’alto. E sia in termini di sovversione che di mappe urbane alternative, anche oltre all’Underground, vale la pena spendere qualche parola sugli esploratori urbani.

Mix con proporzioni variabili di Situazionismo, speleologia e sottoculture urbane giovanili, l’urban exploring è una pratica sempre più diffusa nelle città di tutto il mondo. Attratti in particolare da luoghi nascosti e/o in rovina, gli esploratori urbani si muniscono di scarpe, zaino e torcia (oltre ovviamente a costose apparecchiature fotografiche) e si vanno a infilare in un cunicolo o in cima a una gru, facendo foto che poi posteranno sul loro blog tematico o condivideranno con i propri compagni d’avventura.

Per capire un po’ meglio cosa c’è dietro, mi sono scambiato qualche e-mail con Bradley L. Garrett, ex skater, esploratore urbano e dottorando alla Royal Holloway di Londra. Bradley è anche dietro a una serie di documentari sull’urban exploring chiamata Crack the Surface che potete trovare qui.

“Mi sono trasferito a Londra tre anni fa e ho iniziato subito a esplorare edifici abbandonati. Poi siamo passati a fogne, tunnel stradali, rifugi anti-bomba, la rete della London Underground, bunker governativi, la ferrovia postale… Stare sotto la città è una scoperta che non finisce mai.” Ovviamente non tutte le location sopracitate sono per tutti. “A Londra siamo in pochi a cercare posti nuovi attivamente ogni settimana. C’è una ‘scena’ più grande di qualche migliaio di persone in tutto il Regno Unito, ma non ci incrociamo più di tanto. Paradossalmente noi siamo più connessi con altri gruppi di Brescia, Stoccolma, Parigi, Minneapolis o New York rispetto a quelli di qui. Il ché, devo ammettere, dà al tutto un’aria piuttosto elitista. Ma come in tutti gli ambienti sociali, alla fine si tratta solo di interessi in comune.” Come in tante altre cose, però, condividere è importante. E più si è meglio è. “L’anno scorso, a gennaio, abbiamo fatto l’International Drain Meet nelle fogne di Londra. C’erano più di 50 persone da sei paesi diversi e abbiamo fatto una festa gigante con fuochi d’artificio, discorsi e champagne. Conosciamo un paio di posti dove potremmo portare qualche centinaio o forse anche qualche migliaio di persone, mi piacerebbe fare qualcosa anche lì in futuro. Abbiamo un evento in programma per il 2012 che probabilmente sarà il più grande nella storia delle esplorazioni urbane, quindi tenete gli occhi aperti.”

Ovviamente l’esplorazione ha i suoi rischi. “Per prima cosa ci sono i pericoli fisici: cedimenti, allagamenti, sostanze tossiche. E poi c’è il rischio di essere beccati, andando incontro a potenziali conseguenze giudiziarie. In realtà entrambi i rischi sono facili da mitigare, con un po’ di ricerca, abilità e buon senso. Detto questo, l’anno scorso un nostro amico è rimasto bloccato nell’ascensore di un cantiere. Mi ha lasciato un messaggio confuso sulla segreteria telefonica e ci siamo intrufolati con gli attrezzi per liberarlo, ma dopo ore di lavoro abbiamo dovuto desistere e ce ne siamo andati, chiamando i vigili del fuoco, che incredibilmente non hanno mosso un dito. Alla fine quando la gente del cantiere è venuta al lavoro il mattino dopo l’hanno trovato che dormiva”. Se questi sono gli svantaggi, avventurarsi vale comunque la pena. “Di solito andiamo in giro con un’idea di quello che vogliamo trovare, quindi la scoperta di solito è l’esperienza stessa di essere lì. A volte, comunque, scopri degli strani collegamenti sotterranei. Magari sei in un tunnel e trovi uno sportello che ti porta in un altro sistema di gallerie. Sali e cammini per miglia, poi sbuchi da una botola in un’altra parte della città. Adoro quando succedono cose del genere!”

È facile immagine che, soprattutto nella Londra post-attentati, le autorità non siano proprio felici di tutto questo sgattaiolare. “E’ una cosa che non ci riguarda. Casomai facendo quello che facciamo dimostriamo che tutte queste barriere e misure di sicurezza non sono poi così solide. Se un gruppo di nemmeno trentenni determinati può entrare in un posto con una mappa e un cacciavite, di sicuro qualcuno con milioni di dollari, allenamento e una rete di supporto potrebbe fare lo stesso”.

In un articolo che Bradley ha scritto per Domus, l’esploratore spiega con cautela il rapporto tra la sua pratica e la politica. “Ci sono un sacco di persone che ti diranno che ciò che fanno non è politico, ma solo un divertimento. Ma, come ho detto, trovare buchi nella sicurezza, sfruttarli e mostrare quello che hai scoperto, per me è politico in sé per sé. Può essere paragonato al lavoro di WikiLeaks e Lulzsec, anche se con risultati meno drammatici e più belli. L’esplorazione urbana è una democratizzazione dello spazio. C’è un evento annuale qui che si chiama Open House London, dove un gruppo chiamato Open-City permette alla gente di visitare luoghi altrimenti chiusi. È una figata, ma noi facciamo lo stesso, solo che senza chiedere permesso e tutte le notti. Nella nostra società è sempre meglio chiedere perdono che permesso”.

Sempre nell’articolo su Domus, Garrett definisce l’esplorazione urbana come un “progetto di produzione di conoscenza locale”. Siccome mi piace come espressione, gli ho chiesto di approfondire. “Il filosofo Henri Lefebvre ha scritto della differenza tra un abitante e un cittadino urbano. L’abitante esiste e basta, sono un corpo che si muove, mangia, va al lavoro. Ma il cittadino si fa coinvolgere, fa attenzione, tasta, gioca e rivaluta costantemente le possibilità. Per me l’esplorazione urbana ha il potenziale di creare cittadini più attivi e consapevoli, che agiscono e reagiscono, riconfigurando la possibilità umana a ogni incrocio”. Ma questa conoscenza che si accumula, a parte condividerla tramite i vari blog (quello di Garrett è placehacking.co.uk), è di accumulazione complessa e, soprattutto, personale. “Abbiamo un sacco di mappe, alcune le abbiamo fatte, altre le abbiamo prese. Conosco due esploratori, uno di Parigi e uno di Minneapolis, che si sono tatuati addosso delle mappe sotterranee. Quelle migliori comunque sono nella mia testa e sono più di topografia e coordinate, piuttosto un registro soggettivo intriso di centinaia di notti in giro per la città con i miei amici, in cui l’abbiamo aperta e abbiamo imparato un sacco di cose guardandoci dentro. Nessuno può togliermele e non posso nemmeno condividerle, si creano solo tramite l’esperienza.”