Attualità

Rogoredo – Rio A/R

La Coppa del Mondo dalla prospettiva di quelli che ce la faranno vedere. La preparazione di una pay-Tv ai Mondiali è più complicata di quanto si possa immaginare. Il caso di Sky raccontato dai suoi protagonisti.

di Francesco Costa

È uscito in edicola e libreria il primo numero di Undici, la rivista calcistica diretta da Giuseppe De Bellis e curata da noi di Studio (qui ne trovate il manifesto). Pubblichiamo di seguito un articolo estratto dalla prima uscita, la cui copertina è “a tema Mondiali”.

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«Alla fine tutto quello che facciamo passa da un cavetto. Un fottuto cavetto della fibra ottica. Se viene attaccato un po’ male, un po’ storto, può rovinare tutto». Angelo Carosi, capo dei registi sportivi di Sky, mi spiega così un concetto ricorrente nel racconto di qualsiasi impresa sportiva – l’importanza dei dettagli, il centimetro di Al Pacino in Ogni maledetta domenica – che evidentemente si applica anche a chi le imprese sportive ha il compito di mostrarle. Dentro quel tutto ci sono molte cose: se i Mondiali di calcio sono quello che sono, cioè un evento sportivo e un fenomeno popolare paragonabile forse soltanto alle Olimpiadi, che di tanto in tanto paralizza interi pezzi di mondo, è grazie alla televisione. Uno magari non ci pensa, lo dà per scontato, ma esclusi pochissimi fortunati, i Mondiali sono di fatto quello che ne vediamo attraverso la televisione. Se sei Sky, e sei l’unica Tv italiana a trasmettere tutte e 64 le partite dei Mondiali di calcio, sai che si parla – come per i calciatori – del coronamento di sforzi che cominciano molto lontano. E sai che un cavetto attaccato male non rovinerebbe soltanto il tuo lavoro: per il pubblico italiano, rovinerebbe i Mondiali. Non si può sbagliare.

Le Tv cominciano a lavorare ai Mondiali nel momento in cui la Fifa designa il paese organizzatore: era il 2007, i network sapevano che la scelta del Brasile avrebbe comportato un torneo diviso tra dodici città anziché dieci come in Sudafrica su un paese molto più esteso, con le relative conseguenze su costi e tempi. Come è noto, solo alcuni canali televisivi possono trasmettere le partite dei mondiali: la Fifa detiene i diritti per la trasmissione delle partite e attraverso un mediatore li vende sui mercati internazionali. Il mediatore si chiama Hbs, Host Broadcasting Service, è una società del gruppo svizzero Infront: gli stessi che curano la vendita dei diritti per le partite di Serie A. Il suo presidente e amministratore delegato si chiama Philippe Blatter, nipote proprio di quel Blatter. Quelli di Hbs forniscono anche servizi e strutture ai canali licenziatari attraverso l’International Broadcast Centre, il quartier generale dei media ai Mondiali, che sarà allestito a Rio de Janeiro e dentro il quale lavoreranno migliaia di persone provenienti da oltre 70 nazioni per più di 180 canali televisivi diversi. Per capire la portata dello sforzo organizzativo, basti pensare che Hbs sta già facendo le prime ricognizioni in Russia, in vista dei Mondiali del 2018.

La trattativa per la cessione dei diritti di trasmissione delle partite – una faccenda legale e finanziaria non da poco, di cui i network non parlano volentieri – si è conclusa nel 2009. Poi si è partiti sul serio. Vincenzo Flores, responsabile della produzione dei Mondiali per Sky, mi spiega che i contatti diretti con Hbs e la Fifa sono iniziati nel 2012. Sulla base delle loro risorse e dei loro progetti, i canali Tv titolari dei diritti decidono che genere di copertura dedicare a ogni singolo evento, su cosa concentrare le attenzioni, come distribuire gli sforzi, quante persone mandare in Brasile, dove, a fare cosa. Il lavoro di progettazione dura mesi. Hbs raccoglie le centinaia di richieste dei network e tenta di accontentare tutti: si va dal numero e dalla dimensione di redazioni e studi fino alla possibilità di avere telecamere in esclusiva sul campo. Spazi e risorse non sono infiniti, quindi c’è una dimensione politica e diplomatica non indifferente. Hbs gestisce anche gli eventuali conflitti tra i network: quando si parla di una singola partita, di norma le Tv dei paesi delle squadre impegnate hanno la precedenza, così come ce l’hanno quelle in chiaro rispetto alle pay Tv. Alle brutte si va in arbitrato, ma è sempre nell’interesse di tutti trovare un accordo per tempo.

Sky manderà in Brasile circa 130 persone per lavorare ai Mondiali di calcio. E si porterà dall’Italia praticamente tutto, dall’arredamento degli studi fino alle telecamere, i microfoni, le luci, i mixer, le cuffie, i cavi. D’altra parte affittare la strumentazione sul posto è considerato impossibile (non esiste un’offerta tale da soddisfare le esigenze di tutti i network) e comporterebbe l’eventualità di trovarsi tra le mani oggetti inadeguati. Quindi si fa una lista e si spedisce tutto via nave, con un paio di container. Chi si occupa della produzione pensa anche a organizzare spostamenti e sopralluoghi, prenotare voli e alberghi, fare i conti con le difficoltà logistiche del caso. Un esempio: Manaus, la località amazzonica dove l’Italia esordirà contro l’Inghilterra, è tanto affascinante quanto complicata da raggiungere. E alcune delle città che ospiteranno le partite non sono collegate da voli diretti.

Sky manderà in Brasile circa 130 persone per lavorare ai Mondiali di calcio. E si porterà dall’Italia praticamente tutto, dall’arredamento degli studi fino alle telecamere, i microfoni, le luci.

Quando gli chiedo se sono preoccupati per i problemi e i ritardi nell’organizzazione del Mondiale e nell’allestimento delle strutture, quelli di Sky mi dicono che anche se qualcosa dovesse andar storto sul piano dell’organizzazione, chi seguirà le partite da casa non si accorgerà di nulla. «Una partita è una partita», mi dicono lapidariamente. All’inizio potrebbe sembrare un interessante esempio di laicità e distacco, ma in realtà è una specie di memento, perché si tenga a mente quello che conta davvero. Anche per questa ragione, l’esistenza della produzione e della regia internazionale curata da Hbs non esonera affatto i singoli network e i loro registi: il prodotto standard va integrato e migliorato, magari con le immagini di alcune telecamere da diffondere in esclusiva; l’analisi di ogni partita va arricchita con informazioni, dati e statistiche; il racconto di una squadra e di ogni calciatore interessante va allargato alla sua situazione contrattuale, alla sua posizione sul mercato, a quello che gli gira attorno. Tutto questo comincia mesi prima del torneo e va avanti fino all’ultimo minuto dell’ultima partita.

Sembra che sia finita qui, invece no: il lavoro che era iniziato con delicate trattative internazionali ed era proseguito con un’articolata progettazione logistica. Bisogna allestire gli studi, cercando di tenere insieme la forte identità del network – «quella cosa che fa sì che se tu oggi prendi la cosa più brutta del mondo e ci metti sopra il marchio Sky, quella cosa funziona e piace», sintetizza l’art director Vincenzo Lagattolla – e quella della nazione ospitante (risultato: la scenografia di uno dei due studi Sky a Rio sarà semplicemente un’ampia vetrata con vista sulla spiaggia di Copacabana). Bisogna occuparsi delle campagne di marketing, perché anche un prodotto come i Mondiali va venduto: e perché la Rai sui Mondiali offre un servizio limitato nell’offerta e nella qualità, però gratis. Significa che Sky deve proporre qualcosa per cui valga la pena spendere dei soldi, e non pochi. Bisogna costruire il Mosaico, quel canale interattivo che permette di non perdersi niente di niente. E bisogna attrezzarsi con quella che forse è l’unica grande novità rispetto ai Mondiali del 2010: un lavoro intenso e professionale sui social network. Tra Facebook e Twitter, Sky raccoglie quasi due milioni e mezzo di iscritti ai quali invia quotidianamente link, opinioni e dati; ne ottiene in cambio un mezzo impareggiabile per monitorare le reazioni degli utenti, verificare cos’ha funzionato e cosa no, migliorarsi. Se per il lavoro di un canale Tv le partite dei Mondiali sono la punta dell’iceberg, siamo a quello che arriva appena prima: la costruzione editoriale dei contenuti che le accompagnano.

Seguendo una tendenza internazionale, soprattutto britannica, Sky sta investendo molto in due direzioni complementari: una fatta di analisi tattiche e comprensione del gioco – ai Mondiali esordirà un simulatore 3D con le immagini delle partite per spiegare i movimenti delle difese, gli inserimenti da dietro, le linee di passaggio – e una fatta di narrazione e storie, da Federico Buffa in giù. «In fin dei conti», mi dice Federico Ferri, responsabile editoriale di Brasile 2014, «un Mondiale è fatto anche di memoria». Qui realizzo, finalmente, cosa intendeva forse Fabio Caressa il 9 luglio del 2006 quando con la voce roca, nel delirio che seguì il rigore di Grosso, disse: «Guardate dove siete, perché non ve lo dimenticherete mai; guardate con chi siete, perché non ve lo dimenticherete mai». Come dimenticarlo: eravamo con gli amici a casa oppure in piazza. Eravamo comunque davanti a una Tv.

 

Fotografie dagli studi Sky di Francesco Pizzi.