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08:33 domenica 21 dicembre 2025
Di Digger di Alejandro G. Iñárritu non sappiamo ancora niente, tranne che un Tom Cruise così strano e inquietante non si è mai visto La trama della nuova commedia di Iñárritu resta avvolta dal mistero, soprattutto per quanto riguarda il ruolo da protagonista di Tom Cruise.
C’è un’estensione per browser che fa tornare internet com’era nel 2022 per evitare di dover avere a che fare con le AI Si chiama Slop Evader e una volta installata "scarta" dai risultati mostrati dal browser tutti i contenuti generati con l'intelligenza artificiale.
Kristin Cabot, la donna del cold kiss-gate, ha detto che per colpa di quel video non trova più lavoro e ha paura di uscire di casa Quel video al concerto dei Coldplay in cui la si vedeva insieme all'amante è stata l'inizio di un periodo di «puro orrore», ha detto al New York Times.
I Labubu diventeranno un film e a dirigerlo sarà Paul King, il regista di Paddington e Wonka Se speravate che l'egemonia dei Labubu finisse con il 2025, ci dispiace per voi.
Un reportage di Vanity Fair si è rivelato il colpo più duro inferto finora all’amministrazione Trump Non capita spesso di sentire la Chief of Staff della Casa Bianca definire il Presidente degli Stati Uniti una «alcoholic’s personality», in effetti.
Il ministero del Turismo l’ha fatto di nuovo e si è inventato la «Venere di Botticelli in carne e ossa» come protagonista della sua nuova campagna Dopo VeryBello!, dopo Open to Meraviglia, dopo Itsart, l'ultima trovata ministeriale è Francesca Faccini, 23 anni, in tour per l'Italia turistica.
LinkedIn ha lanciato una sua versione del Wrapped dedicata al lavoro ma non è stata accolta benissimo dagli utenti «Un rituale d'umiliazione», questo uno dei commenti di coloro che hanno ricevuto il LinkedIn Year in Review. E non è neanche uno dei peggiori.
C’è una specie di cozza che sta invadendo e inquinando i laghi di mezzo mondo Si chiama cozza quagga e ha già fatto parecchi danni nei Grandi Laghi americani, nel lago di Ginevra e adesso è arrivata anche in Irlanda del Nord.

Oltre i “glassholes”

I wearable, la privacy, la moda e la società: Google ed Apple stringono alleanze con le case di moda per rendere davvero "indossabili" i loro prodotti. Funzionerà o la strada giusta è un'altra?

09 Luglio 2014

È difficile stabilire con certezza cosa è cool ma sapete cosa di sicuro non sarà mai cool? Un tizio con un computer in faccia. È quel genere di visione sublime che riesce a essere imbarazzante e inquietante allo stesso tempo, eppure sta interessando le principali aziende tecnologiche del mondo, le stesse che – strana coincidenza – mantengono lo scettro della coolness globale. Google si è mossa per prima, inaugurando la corsa delle grandi al settore wearable (“indossabile”) con Project Glass, il paio d’occhiali in grado di portare Internet davanti ai nostri occhi. Da allora i gadget indossabili hanno tentato di conquistare il nostro polso, trasformando l’orologio in un prolungamento del nostro smartphone, ed è solo l’inizio.

Ma quello sguardo convinto dei possessori di Google Glass rimane nello sfondo come un monito: è forse possibile rendere oggetti del genere belli, se non “cool”?

«Sono il peggior tipo di occhiali per architetti nerd tedeschi» – il T Magazine sui Google Glasses

Se diamo retta al Tumblr “Persone Cool con Google Glasses”, pare di no. L’utente medio di questo oggetto, molto diffuso nella zona di San Francisco e solo da poco in vendita negli Usa e in Gran Bretagna, si è già meritato un nomignolo poco simpatico, glasshole (sintesi di “glasses” e “asshole”, coglione); alcuni rappresentanti di questa categoria non hanno infatti aiutato nella prima fase del prodotto, quella dell’accettazione del pubblico, giustamente preoccupato dalle implicazioni che questi “occhiali” hanno nella privacy. Quando una persona indossa i Glasses e se ne va a spasso per la città, cosa sta facendo in realtà? Sta forse riprendendo tutto ciò che vede?  E se i passanti non volessero diventare comparse delle sue riprese? La tensione non è mancata: lo scorso marzo Sarah Slocum, esperta di social media e volto noto della Valley, è finita per dare un volto a questo nuovo problema, quando in un bar di San Francisco si è confrontata con altri avventori fortemente critici nei confronti del suo gadget. Il clima si è agitato quando uno di loro le ha fatto notare che sono persone come lei a «rovinare» la città»; Slocum ha replicato definendo il trattamento subito un «atto d’odio». Purtroppo per lei, pochi giorni dopo l’accaduto, il Los Angeles Times ha rivelato che due anni prima era stata denunciata dai suoi vicini per «averli ripresi di nascosto con il suo smartphone», che è il peggior precedente penale che un tale con una telecamera sugli occhi possa avere.

Se alle torbide vicende legate a Slocum associamo la carriera di Robert Scoble, blogger ed «evangelista tecnologico» che ha deciso di indossare gli occhiali in tutte le occasioni, anche sotto la doccia, è chiaro che Google abbia perso di mano la questione “endorser” del suo nuovo prodotto. Da quando il New York Times ha rivelato al mondo l’esistenza del progetto, i Glasses hanno goduto di un fascino strano – un prodotto che sembra sbucato da un film di fantascienza con un design goffo e banale. Citando Deborah Needleman del T Magazine, «sono il peggior tipo di occhiali per architetti nerd tedeschi» L’azienda è stata quindi costretta a chiedere aiuto a chi di accessori se ne intende per disegnarne una nuova versione, questa volta carina. Da qui è nata l’alleanza con la stilista belga Diane von Furstenberg, che ha puntato su una forma più tradizionale e tondeggiante. Il risultato varia dal casual al tamarro invernale e rimane poco piacevole, per quanto arrivi a somigliare a un oggetto utilizzabile in un giorno qualsiasi.

Rimane lo scoglio dell’asticella grossa e colorata con prisma trasparente, un impiccio notevole nella strada dell’effettiva indossabilità del prodotto, che gode tuttora dell’allure particolare dato dalla novità ma alla lunga potrebbe soccombere sotto il peso della sua bruttezza. Parallelamente a questa alleanza tra tech e moda belga, è nata quella tra Google e Luxottica, gigante italiano del settore chiamato per rendere i Glasses del futuro un fenomeno di consumo per tutti.

Nel frattempo, dall’altra parte delle barricate Apple è attesa da tempo al varco con il suo gadget indossabile, che sarà molto probabilmente un orologio chiamato iWatch. Di questi tempi i polsi mondiali sono già contesi dal citato Moto 360 di Google, le proposte di Samsung e di Pebble, il primo arrivato sul campo. Di iWatch non si sa ancora molto ma questa settimana la notizia del passaggio di Patrick Pruniaux (responsabile vendite di TAG Heuer) a Cupertino è suonata come l’ulteriore conferma della sua vicina uscita – e dei mille problemi che i giganti tecnologici stanno incontrando cercando di conquistare il nostro corpo, incrociandosi con la moda.

Il mondo al di fuori dell’elettronica di consumo sembra molto pericoloso, anche per giganti del settore come Apple e Google. A vincere, almeno finora, è l’approccio terzo e alieno di Withings, azienda d’elettronica parigina creatrice di uno smartwatch rivoluzionario perché normale. Uno smartwatch umile, chiamato “Activité“, che non teme di nascondere la sua intelligenza camuffandosi da orologio classico ed elegante: cinturino tradizionale, quadrante grande e curato, un aspetto che cela molte delle potenzialità degli smartwatch più eccessivi, soprattutto quelle  legate all’analisi del proprio corpo nel corso della giornata.

A benedire l’esperimento Nina Garcia, creative director di Marie Claire: «Alcune [aziende tecnologiche] hanno provato ad avvicinarsi al settore della moda prendendo in prestito la credibilità di designer prestigiosi e famosi attraverso partnership ed edizioni speciali dei loro prodotti» ha spiegato alla presentazione di Withings. Però, ha suggerito, «il vero matrimonio tra moda e tecnologia avviene attraverso la creatività di innovatori e un nuovo tipo di designer».

Non è un caso che Activité sia lo smartwatch più bello insieme al Moto 360: si tratta di due prodotti innovativi ma dalle forme tradizionali – il primo più del secondo – che non osano inserire dettagli futuristici su cose che dovremmo indossare. Come ha detto Garcia, la tecnologia indossabile non vincerà applicando semplicemente degli innesti a prodotti esistenti: deve reinventarsi. È strano che sia necessario ripetere questa vecchia lezioncina proprio a Google ed Apple, che hanno fatto dell’innovazione distruttiva la loro cifra: devono essersela dimenticata.

Immagini: Carlo, Principe del Galles, indossa i Google Glasses in Canada (Chris Jackson / Getty Images; modificata da Jacopo Marcolini); due modelli di Google Glasses realizzati da DVF; Withings Activité

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