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Nel primo teaser del nuovo Scrubs c’è la reunion di (quasi) tutto il cast originale J.D., Turk, Elliot e anche il dottor Cox al Sacro cuore dopo 15 anni, invecchiati e alle prese con una nuova generazione di medici. Ma c'è una grave assenza che i fan stanno già sottolineando.
Anche il Vaticano ha recensito entusiasticamente il nuovo album di Rosalía José Tolentino de Mendonça, prefetto per il Dicastero per la Cultura e l’educazione del Vaticano, ha definito Lux «una risposta a un bisogno profondo nella cultura contemporanea».
La nuova funzione di geolocalizzazione di X si sta rivelando un serio problema per i politici Non è facile spiegare come mai i più entusiasti sostenitori di Donald Trump postino dall'India o dalla Nigeria, per esempio.
Gli Oasis hanno detto che adesso che il reunion tour è finito si prenderanno una pausa di riflessione Ovviamente, sono già partite le indiscrezioni: si separano di nuovo? Faranno un nuovo tour? Stanno lavorando a un nuovo album?
Il Grande Museo Egizio di Giza ha appena aperto ma ha già un grave problema di overtourism A nulla è servito il limite di 20 mila biglietti disponibili al giorno: i turisti sono già troppi e il Museo adesso deve trovare una soluzione.
È morto Jimmy Cliff, l’uomo che ha fatto scoprire il reggae al mondo Aveva 81 anni e senza di lui non sarebbe esistito il reggae per come lo conosciamo oggi. Anche Bob Marley deve a lui il suo successo.
Gli elettori di Ompundja, Namibia, sono così contenti del consigliere regionale Adolf Hitler Uunona che lo rieleggeranno Si vota il 26 novembre e il politico dallo sfortunato nome è praticamente certo di essere rieletto nel consiglio regionale dell'Oshana.
Edoardo e Angelo Zegna: la quarta generazione della famiglia Zegna diventa Co-Ceo del brand Ermenegildo Zegna, nipote del fondatore del marchio, si sofferma sull'importanza come leader del guardare avanti impegnandosi a formare la prossima generazione di leadership

Voyeurismo da bowling

O del perché non si può trasmettere un documentario sui furries senza dare un giudizio implicito

10 Ottobre 2011

Fino a non troppo tempo fa la parola fanboy poteva essere usata come sinonimo di “fan ossessivo di una persona o un prodotto”. (Varianti accettabili: “fissato senza vita”, “l’uomo dei fumetti dei Simpson”, “donna che scrive fanfiction sui Tokio Hotel e discute su chi interpreti la parte passiva”, “la puntata di CSI sui furry“). Oggi, invece, può capitare che qualcuno dica «sono fiero di essere un fanboy», col sorriso stampato in faccia. Un po’ come quando una parte del movimento femminista ha cominciato a usare la parola bitch: se tu rivendichi un insulto, gli togli potere.

Detto ciò, se tu sei un regista, e stai facendo un documentario su un gruppo di furry, e riesci a girare una scena dove i furry giocano a bowling in costume, o sei un genio della persuasione o sei uscito di casa col preciso intento di beccarli nel secondo momento più imbarazzante possibile.

Fanboy Confessional è una serie di documentari andati in onda sulla rete TV canadese Space, specializzata in fantascienza e horror. La struttura è semplice: sei episodi di mezz’ora, ognuno dedicato a una cultura di minoranza, con alcuni personaggi usati come “guide” all’interno di quel mondo. (Ad esempio, la puntata dedicata al cosplay segue due gruppi di ragazze che si preparano a partecipare a una convention.)  A detta del regista, la rete aveva messo in chiaro fin da subito di non essere interessata a una galleria di macchiette, ma a uno sguardo allegro e informativo. E infatti da ogni singolo episodio si trae una morale del tipo “coltivare una passione ossessiva fa di te una persona migliore, perché ti porta a conoscere gente nuova e a stare meno tempo davanti alla TV”. (La morale è reiterata dal 90% degli intervistati, comprensibilmente stufi di essere sfottuti dai servizi dei TG.)

Se volete, però, Fanboy Confessional è un ottimo esempio di cosa succede quando un autore decide di confrontarsi con una cultura estranea. Per ottenere l’ingresso in posti dove tutti si considerano trattati alla stregua dei peggiori freak, tu regista devi entrare tenendo le mani alzate sopra la testa; devi promettere un ritratto “equilibrato e positivo” di quello che stai per trovarti davanti, anche se, in tutta onestà, tu non sai cosa stai per trovarti davanti; devi passare più tempo possibile con le persone che filmi, ottenere la loro fiducia, farli sentire a proprio agio. Poi, arrivato in sala di montaggio, puoi sempre decidere di distruggerli. Nessuno te lo impedisce. Qui, invece, il regista ha scelto La Luce. E la voce fuori campo ripete, ecco, vedete? Vedete questi mono-maniaci come sono carini e normali? Vedete quanto si divertono?

Sì, lo vedo che si divertono. Ma nel frattempo, in maniera semi-involontaria, Fanboy Confessional stabilisce una graduatoria tra i grossi fan di qualcosa, mettendo in scena sei tipi-base molto diversi tra loro. E questi tipi sono:

1. il fanboy che trasforma la mono-mania in un lavoro produttivo e gratificante, come l’illustratore “Ghoulish” Gary Pullin;

2. il fanboy che dal suo hobby non si mette in tasca niente, ma si applica per rendere più piacevole il mondo in cui vive, come gli appassionati di steampunk che si organizzano la casa in stile post-vittoriano e vanno in giro su biciclette customizzate;

3. il fanboy che tiene distinte la sfera lavoro/studio e la sfera ludica, come i LARPer, amanti dei giochi di ruolo dal vivo, che di solito ci danno dentro durante il fine settimana (ma fanno pure i workshop per arrivare più allenati);

4. il fanboy che sacrifica tempo/denaro/energia in nome della causa, come Thea Munster, madre della prima Zombie Walk, che tuttora non guadagna un centesimo da una manifestazione che è cresciuta a dismisura, e anzi, solo per coprire le spese-base si deve fare un culo così, organizzando attività come lo zombie car wash;

5. il fanboy che vive tutto come una missione in prima persona, non importa quando agli altri possa sembrare pericolosa o estrema (i real life superheroes, principi del vigilantismo mascherato);

6. i furry.

Già poco propensi a fare da ciceroni per i curiosi, i furry si sono chiusi a riccio negli ultimi dieci anni: a parte CSI, c’è stato il reportage di Vanity Fair, Pleasures of the Fur, e un documentario della serie MTV Sex2K. (Entrambe cose da cui la loro cultura usciva maluccio. Eufemismo.) Perciò buona parte dell’episodio dà aria alle lagnanze. In effetti, poverini: da un lato sono l’ultra-nicchia che quasi tutte le altre trovano ridicola, dall’altro tendono a dipingere se stessi come una razza ingiustamente perseguitata. (Esiste il sostantivo fursecution.) E nel momento in cui mi fai vedere un gruppo di furry che giocano a bowling in costume, mi stai dicendo che nella loro città viene tutto vissuto come un’innocua stravaganza. Ma nel momento in cui mi fai vedere la camera da letto di una donna adulta, e quella camera è piena di auto-ritratti in cui lei si disegna come una volpe rosa shocking con delle gran tette, stai dando un giudizio eccome: stai solo scaricando su di me la responsabilità.

Tra parentesi, i cinque minuti di furry bowling sono l’unico spezzone del documentario che circola allegramente. Se provi a caricare una puntata su YouTube, ti arriva una mail gentilissima dal regista, che ti chiede di rimuovere tutto – altrimenti va in fumo la possibilità di vendere i diritti alla TV americana. (Nel frattempo Morgan Spurlock, quello di Super Size Me, è andato a girare un documentario al Comic-Con. Auguri.) Quindi un reportage super-positivo e ottimista non se lo fila nessuno (io l’ho trovato qui, fate voi), mentre la puntata di CSI sui furry continua a essere replicata in tutto il mondo, con i reaction shot allucinati della poliziotta bionda e l’attore inquietante di Mulholland Drive che ti fa il discorso sulla libertà sessuale oggigiorno. D’altra parte, questo è un documentario canadese farcito di buone intenzioni, e quella puntata l’ha scritta Jerry Stahl.

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