Attualità

Vivere senza cash

Per una settimana a Milano abbiamo provato a vivere soltanto con carta di credito e Bancomat: è stato un incubo.

di Alberto Mucci

«Non sarà una settimana facile, ma neanche troppo difficile», mi consola Valeria Portale, responsabile ricerca dell’Osservatorio Mobile Payment & Commerce, quando le spiego che intendo passare i prossimi sette giorni utilizzando soltanto modalità di pagamento digitali per capire un po’ di più quale sia l’effettiva situazione in Italia su questo fronte. Secondo le classifiche europee non delle migliori: tra i 27 paesi dell’UE soltanto Grecia, Ungheria, Romania e Bulgaria fanno peggio di noi (pg.21 e pg.22). «Non facile» perché  «gli italiani amano e il contante». «Neanche troppo difficile» perché l’esperimento avverrà a «Milano, città dove i metodi di pagamento digitali sono più diffusi rispetto al resto del paese».

Secondo i dati dell’Osservatorio Digital Innovation del Politecnico di Milano, i trend sono dalla mia parte: in un momento in cui la maggior parte dei comparti economici regista un tasso di crescita negativo, il settore dell’e-payment segna una crescita positiva, a volte, addirittura, a doppia cifra. Un po’ di numeri per fare chiarezza e dare il contesto alla settimana che verrà: i pagamenti digitali in Italia sono cresciuti del 3,6% nel 2014, nonostante la contrazione dei consumi; i pagamenti con carta  hanno segnato un +1,6% anno-su-anno, mentre i pagamenti digitali innovativi, i cosiddetti “New Digital Payment” (eCommerce, ePayment, Mobile Payment & Commerce a distanza e in prossimità, Mobile POS e Contactless Payment) sono cresciuti del 20% e valgono oggi il 12% del transato con carta; nel 2014 il mercato dei pagamenti tramite Mobile Payment ha raggiunto due miliardi di euro e si prevede che nel 2017 raggiungeranno i quattro-cinque miliardi di euro; sono tre milioni i biglietti dei mezzi pubblici acquistati via smartphone, due milioni i servizi di car-sharing e un milione le ore di sosta nei parcheggi (2014).

Inizio un lunedì, cosciente che quando il punto di partenza è vicino allo zero, anche un lieve incremento in valore assoluto contribuisce a un significativo balzo percentuale in avanti. Il primo ostacolo è il pranzo. Guardo con diffidenza il kebabbaro dirimpetto all’ufficio dove mi trovo per un’intervista e penso già a come o rimarrò a digiuno («figurati se il kebabbaro accetta la carta», mi sono subito detto guardando le insegne piene di refusi e le foto sgranate di viarie tipologie di panini) o mi toccherà spendere più di dieci euro in un posto troppo costoso per il mio portafoglio da qualche altra parte. Entro a chiedere convinto di ricevere un “no” in risposta. Il kebabbaro la carta invece l’accetta, ma con un obbligo di spesa minima di sei euro. È più di quanto avrei voluto spendere, ma va bene, «sempre meglio dell’opzione locali costosi», mi dico. Mentre il titolare prepara il falafel gli chiedo qualche informazione sui costi di transazione di un pagamento fatto su carta. «Non lo so, non ne sono sicuro – mi risponde – forse trenta, forse quaranta centesimi. Ma tanto non importa. Se non avessi il Pos perderei clienti e ci rimetterei molto di più. Come te per esempio: adesso guadagno 5 euro e 50, se non avessi il Pos non compreresti nulla e dunque non guadagnerei niente».

Dopo pranzo affronto i bar delle vie circostanti in cerca di un caffè. «Eh no», «no, mi spiace», «con la carte non possiamo», «mi spiace, ma soltanto contante», mi rispondono con una faccia sempre leggermente indispettita i vari baristi/e a cui chiedo di poter pagare l’espresso con la carta. Il ragionamento fatto dal kebabbaro poco prima non sembra valere per i titolari dei bar. Eppure – ricordi universitari – a Londra era sempre possibile pagare con bancomat e simili. Di più. Da aspiranti rivoluzionari invaghiti di Žižek, ci illudevamo che pagando con carta l’espresso da una sterlina da grosse catene come Costa, Caffé Nero, Pret-a-Manger e simili, forzavamo il negozio ad assumersi più costi che guadagni e dunque lavoravamo in direzione di un suo fallimento. Non è stato così.

La sera torno a casa e faccio un po’ di ricerca on-line per capire quali sono le mie opzioni di e-payment al di là della carta. Ce ne sono molte, ma, scopro velocemente, rivolte quasi sempre ad una clientela specifica: con un determinato operatore telefonico, una determinata banca o una combinazione delle due cose. Scorro tra un po’ di opzioni in cerca di qualcosa che possa funzionare per me: Banca Mediolanum offre la Freedom Easy Card realizzata in collaborazione con CartaSì appoggiandosi sul circuito Mastercard. Ho un conto alle Poste quindi questa non va; Tim SmartPay, VISA, è rilasciata da Intesa Sanpaolo. Non serve avere un conto con Intesa San Paolo, ma come operatore bisogna avere Tim. Ho Wind, quindi nulla; Vodafone Wallet ha lo stesso problema dell’operatore telefonico e in più funziona soltanto con Android. Ho un iPhone, dunque niente.

Di possibilità ce ne sono altre, ma rinuncio all’opzione made in Italy e mi iscrivo a Google Wallet (Apple Pay funziona solo con l’iPhone6). Non c’è da districarsi tra combinazioni di operatori telefonici, banche e circuiti di carte di credito. Wallet è lineare: accetta tutte le banche e permette di pagare tramite iPhone, senza dover tirar fuori la carta. Anticipo già la soddisfazione di poter usare il sistema domani a pranzo. Ho un appuntamento al Bar Litta, su Corso Magenta, a due passi da Piazza Affari, pieno centro di Milano. Pranziamo e ci alziamo per pagare. Per la cassiera le parole Google Wallet non hanno alcun significato. Non accettano neanche le carte perché non hanno il Pos. «Ma come?», chiedo. «Non ce lo abbiamo, mi spiace». «Ma non è obbligatorio per legge?». Silenzio e faccia da “ehhh” con annessa alzata di spalle. Per riuscire a pagare rovistiamo sui fondi delle tasche. Il conto sarebbe di venti euro, ma arriviamo soltanto a sedici. Almeno ci fa lo sconto. Da quel momento diventa chiaro come le scelte per il pranzo della settimana a venire saranno: organizzarmi prima acquistando il necessario al supermercato, o rimanere in balia dei Pos e dei diversi minimi imposti dagli esercenti sul transato. La seconda vuol dire abdicare al controllo sul mio budget settimanale. Scelgo la prima, l’opzione decrescita felice.

«La bassa diffusione dei sistemi di pagamenti digitali – continua Portale – non è facile da spiegare. In Italia la media pro capite delle transazioni digitali è di 33 all’anno, poco più di due al mese, mentre nel resto d’Europa la media è sopra 100». Con l’obiettivo di chiarire i motivi dietro a questi numeri, i ricercatori del Politecnico si sono chiesti prima di tutto se il problema fosse strutturale, ovvero se a mancare fossero le condizioni base che permettono i pagamenti tramite carta o altri sistemi digitali. In cerca di una risposta Portale e la sua squadra hanno prima calcolato la diffusione pro capite di dispositivi Pos. A questa è seguito il calcolo della media di carte di credito/debito e infine quella dei cellulari. Il risultato? La prima è in linea con gli standard europei (26), la seconda pure (1,5 per persona), la terza è addirittura superiore (1,58).

Il problema non sono dunque le infrastrutture digitali, quelle sono adeguate. «La spiegazione deve essere culturale», conclude Portale. Qualsiasi spiegazione di tipo “culturale” mi lascia un po’ in dubbio, forse però in questo contesto, rimane l’unica. Ripenso alle parole di Portale il giovedì, subito dopo un pranzo in pizzeria (pagamento via Bancomat, senza problema). Sapendo già di voler comprare un barretta di cioccolato in un negozio poco lontano, cerco di improvvisare un modello cash back sulla falsariga di quello usato dai supermercati negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Propongo: «Sono otto euro in totale, aggiungetene due in modo che il totale arrivi a dieci euro. Pago e mi ridate due euro in modo che posso comprarmi una barretta di cioccolato dal tabaccaio».

La risposta è di nuovo il sorriso un po’ costernato riservatomi dai baristi il primo giorno dell’esperimento. «Non lo so», mi risponde la cassiera gentile dopo un attimo di esitazione. «A voi non cambia nulla e non costa niente in più», insisto. Mi guarda in silenzio. «Aspetta che chiedo», dice. «No, non si può, mi spiace», risponde il cameriere dall’altra parte. «Ma no, davvero, non vi costa niente di più. Il costo di transazione per il Pos lo dovete pagare lo stesso, aggiungete due euro e poi me li restituite. Tutto come prima». Nulla: niente contante e niente cioccolato. Arriva il fine settimana, i due giorni più difficili. La sera, soprattutto. Il week-end senza carta è risultato in un elaborato schema di «paga tu adesso che poi al prossimo posto pago io con la carta e così siamo pari» con la conseguenza che ho speso molto di più di quanto non avrei voluto e ho rinunciato all’unica cosa che veramente volevo acquistare, Il Libro delle parole altrimenti smarritescoperto a casa dell’autrice grazie ad una giornata di atelier aperti. L’artista, Sabrina D’Alessandro, vendeva il suo libro, ma siccome io non avevo contante e lei nessuna app in grado di trasferire denaro in maniera digitale ho dovuto rinunciare.

Lasciato lo studio dell’artista le difficoltà sono continuate. Camminando in cerca di un negozio dove acquistare una bottiglia di vino da poter pagare con la carta ho dovuto presto rinunciare e chiedere a un’amica di pagare in cambio di futuri acquisti digitali che mi sono costati ben di più dei dieci euro della bottiglia. Senza accorgermene, mi sono imbattuto in una delle maggiori critiche che viene fatta a una digitalizzazione completa dei sistemi di pagamento. Le difficoltà nel risparmiare. Il contante infatti, e ci sono studi a conferma (qui) aiuta a farsi una migliore idea dei propri limiti di budget e regolarsi di conseguenza. Con carte e altri sistemi di e-payment questa barriera cade e la propensione a spendere risulta maggiore.

Viene da chiedersi però se non sia un problema superabile, un problema dato dall’abitudine e di cui ci si possa facilmente liberare. Satispay, una startup milanese che offre servizi di digital payment, permette all’utente di imporsi un budget settimanale. Lo stesso fanno altri operatori, incluse molte banche.

Ma c’è di più, perché il passaggio dal cartaceo al digitale non è soltanto una questione di efficienza. Come evidenzia uno studio di Banca d’Italia, se non ci fosse più contante il Pil del nostro paese aumenterebbe immediatamente dello 0.52 per cento (equivalente e circa otto miliardi di euro), oltre a rendere la lotta all’evasione fiscale molto più semplice. Cosa si può fare per andare in questa direzione? Secondo Portale, i primi passi devono venire dalla digitalizzazione dell’amministrazione pubblica. Già alle Poste qualcosa, a breve, dovrebbe cominciare a muoversi: sarà possibile pagare con tutte le carte di credito/debito al bancone e non soltanto con quelle delle Poste. Lo stesso, a breve, sarà possibile per i pagamenti del canone, alcune imposte e simili. La direzione è quella giusta. Al momento vivere senza contante è ancora molto difficile, nonostante l’ottimismo di Portale, anche a Milano. Se la crescita evidenziata dai numeri dell’Osservatorio Mobile Payment & Commerce continuerà allo stesso modo, tra cinque anni, forse, a Milano almeno, sarà possibile vivere una settimana senza contante e con nessuna fatica.

Nell’immagine in evidenza, mazzette di Kyat, denaro birmano. Paula Bronstein/Getty Images