Attualità

Vi presento mio marito

Chris Hughes, 30 anni, ha fondato Facebook, mandato online Obama, e comprato uno dei giornali americani più autorevoli. Ma soprattutto ha sposato Sean Eldridge, venture capitalist e politico in erba con il quale ha finanziato la battaglia per legalizzare i matrimoni omosessuali. La storia e i piani futuri di una delle coppie più influenti d'America.

di Paola Peduzzi

A guardarlo, Chris Hughes, non lo diresti mai che a lungo il suo soprannome è stato “The Empath”. Il proprietario e direttore editoriale del magazine americano New Republic non perde occasione per regalare un sorriso, è vero, ma ha ben poco di empatico, pare venuto da un altro pianeta, un avatar tanto bello, giovane, potente e innamorato quanto algido e inarrivabile. Suo marito, Sean Eldridge, è ancor più cibernetico (e pure più bello e più giovane): ha deciso di buttarsi in politica, a New York, e passa da un evento all’altro senza una sbavatura, senza un’espressione preoccupata, nemmeno lui perde un sorriso, anche se è candidato da qualche mese e ha già dovuto spiegare, tra le altre cose, perché ha cambiato tre case nel giro di poco tempo. È anche stato attaccato, Eldridge, perché nel suo primo spot elettorale non ha detto di essere il marito di Hughes, «vogliamo sapere com’è nella vita privata», ha spiegato accalorata una elettrice del diciannovesimo distretto di New York in cui Eldridge correrà a novembre, «abbiamo bisogno di tutti gli elementi per giudicare», ha insistito.

Come se non lo sapessero tutti che Hughes ed Eldridge formano una delle coppie più potenti dell’establishment americano, a cavallo tra media e politica, in area prettamente democratica, con un forte accenno alla vita privata, altro che nasconderla, visto che prima di voler fare il deputato Eldridge si è dedicato quasi esclusivamente a far sì che a New York gli omosessuali potessero finalmente sposarsi. Loro, i sempre-sorridenti Hughes e Eldridge, sono ufficialmente coniugati dal 30 giugno 2012, ma già prima si sapeva che erano stati disegnati per stare assieme, fanno coppia fissa da anni. Ora vogliono, devono, togliersi di dosso quell’aria da giovinetti troppo inesperti per essere affidabili. È così che hanno imparato a comportarsi come una coppia di cinquantenni, tra scacchi, cani, cene di gala, Downton AbbeyGuerra e Pace letto in contemporanea (Hughes quasi tutto sull’iPhone, e ha finito per primo) e campagna – e cinquant’anni, o poco più, in effetti ce li hanno, ma in due.

Nel 2009 sono andati a vivere insieme a New York, tenuti assieme da quello che definiscono, con seriosità quasi tenera, «il desiderio di avere un impatto sul mondo».

Hughes e Eldridge si sono incontrati la prima volta a Boston, nell’ottobre del 2005. Un amico del college di Eldridge aveva conosciuto Hughes e, improvvissandosi Cupido, aveva pensato che i due si dovessero incontrare, così organizzò un brunch ad Harvard Square e li mise allo stesso tavolo. «Una settimana dopo ho chiesto a Chris di uscire per un “real date”», ha detto Eldridge e il primo appuntamento ufficiale è avvenuto nel novembre del 2005, a cena, al Temple Bar di Cambridge. Per tutta la sera hanno parlato di filosofia e politica, ha ricordato una volta Hughes, e l’alchimia dev’essere stata evidente fin da subito se, come ha spiegato Eldridge, «la relazione è diventata piuttosto seria velocemente», e non ha ancora smesso di esserlo. «Siamo monogami, impegnati, oserei dire “tradizionali”», ha detto Eldridge in un’intervista. Nel 2009 sono andati a vivere insieme a New York, tenuti assieme da quello che definiscono, con seriosità quasi tenera, «il desiderio di avere un impatto sul mondo». Hanno acquistato un loft da 380 metri quadri a SoHo, a Crosby Street, che è rimasto, volutamente, poco arredato: tutto lo spazio vuoto è tornato utile quando la coppia ha iniziato a organizzare eventi a casa, molto mondani e molto glamour. E anche molto politici: una sera è stato invitato il governatore dello stato di New York, Andrew Cuomo; un’altra è stata dedicata al comitato della campagna dei democratici per il Congresso: quella volta arrivò nel loft anche Nancy Pelosi, colosso del partito dell’asinello al Congresso. Ma la signora che più s’è spesa per la coppia è Kirsten Gillibrand, senatrice di New York, che fa impazzire le mamme perché ha bimbi piccoli e ne parla spesso, e che è già stata definita “la nuova Hillary Clinton”. Richard Socarides, che ha lavorato alla Casa Bianca negli anni di Bill Clinton e oggi studia le strategie del partito democratico, racconta che in poco tempo «Sean e Chris hanno avuto un grande ascendente sulla vita politica di New York. Sono molto generosi con i loro soldi e con il loro tempo. Sono giovani, ricchi, intelligenti e carini. È una combinazione molto potente».

Chris Hughes è nato a Hickory, nella Carolina del Nord, nel 1983. Figlio unico di un edicolante e di un’insegnante piuttosto anziani e dai mezzi limitati, è andato via da casa per frequentare l’high school ad Andover, in Massachusetts, alla Phillips Academy, tra le esclusivissime prep school del New England che si occupano di preparare studenti in grado poi di accedere alle università più prestigiose degli Stati Uniti (l’hanno frequentata anche i due presidenti Bush). La prima trasformazione avviene qui: «Arrivai ad Andover – ha raccontato Hughes – con il mio piglio del sud, religioso (la famiglia è luterana, ndr) ed eterosessuale; me ne andai che non ero più per nulla religioso e per nulla eterosessuale». Tradizionalmente, la destinazione naturale dei ragazzi della Phillips è sempre stata Yale, ma da qualche decennio c’è una predilezione per Harvard, ed è proprio lì che Hughes è andato a studiare storia e letteratura: ha una passione per la Francia, passa un semestre a Parigi, scrive la tesi sull’urbanizzazione di Algeri durante la decolonizzazione. Soprattutto ad Harvard Hughes ha il colpo di fortuna che gli cambia la vita. Suoi compagni di stanza al campus sono Mark Zuckerberg e Dustin Moskovitz: quel loro cubicolo, che poi avrebbero sempre ricordato per la sua piccolezza, è il luogo di nascita di Facebook. Hughes ha la user id numero 5, la 4 è di Zuckerberg, la 1, la 2, e la 3 servivano da test. Hughes è l’unico del team a non sapere – né volere – scrivere una riga di codice, lui si occupa di far funzionare il prodotto, di studiare i comportamenti di chi lo usa, di spiegarlo a chi ancora non lo comprende. È qui che inizia a essere conosciuto come “The Empath”, perché è, secondo una definizione fornita dagli insider di Facebook, mezzo antropologo, mezzo customer service, mezzo portavoce (soltanto Zuckerberg continua a chiamarlo “Prada”, perché è sempre il meglio vestito del gruppo). Quando Zuckerberg e gli altri si spostano in California, nell’estate del 2004, per trasformare la loro idea nell’avventura internettiana che è ora, Hughes non li segue: dice che non ha abbastanza soldi, che vuole finire gli studi, ma continua a lavorare per Facebook, parecchie ore al giorno dedicate “alla comunità”.

Soltanto dopo la laurea va a Palo Alto con gli altri. Qui diventa l’uomo della comunicazione di Facebook, continua a non sapere niente degli aspetti tecnici, ma affina la capacità di comprendere la comunità, perché, a differenza del suo capo e di buona parte della gente che lo circonda, Hughes non è sociopatico. Sorride, è empatico. In seguito dirà, con ispirazione thatcheriana, che non esiste una cosa chiamata “comunità”, che se ci sono tante persone che potrebbero interagire ma non si trova il modo di organizzarle e ordinarle, la comunità non serve a nulla. Ma in questo lavoro di studio e di commercializzazione, Hughes capisce la più importante delle regole, quella che gli tornerà utile nella seconda parte della sua vita nella comunità, ben lontana dalla California, ma al centro di un altro mondo, un altro colosso, un altra rivoluzione: la campagna elettorale di Barack Obama a Chicago. La regola è: “Keep it real and keep it local”.

Uno di Facebook che prende New Republic? La fine del mondo, sembrava. Ma come ha raccontato Leon Wieseltier, anche Balzac raccontava di persone che dalla campagna arrivano nelle grandi città, così come da Internet si arriva ai grandi giornali.

Il loft di SoHo oggi non è più il nido d’amore principale di Hughes e Eldridge. In quattro anni le loro vite sono cambiate, gli esperimenti di mondanità sono diventati establishment, ambizione, politica. Nel 2012 Hughes ha comprato The New Republic, magazine storico della cultura democratica americana: negli anni Novanta la vita pubblica del paese era legata a quelle pagine come a un cordone ombelicale. È da sempre considerato il covo degli intellettuali progressisti d’America, quelli capaci di vedere nella campagna irachena una guerra per la democrazia e non per il petrolio, e anche quelli che hanno iniziato, in solitudine ma con forza, la campagna per i diritti degli omosessuali. Come per buona parte dei media del mondo, la crisi economica ha ridotto col tempo i mezzi di New Republic, e quando Hughes si è presentato al magazine, con i soldi, con la sua aria da ragazzino, pioniere dei new media e del nuovo mondo, nel tempio degli intellettuali ci sono stati attimi di disperazione. Uno di Facebook che prende New Republic? La fine del mondo, sembrava. Ma come ha raccontato Leon Wieseltier – che della rivista è una firma imprescindibile oltre ad essere uno dei pensatori più raffinati degli Stati Uniti – anche Balzac raccontava di persone che dalla campagna arrivano nelle grandi città, così come da Internet si arriva ai grandi giornali, «ci siamo permessi di essere speranzosi. Avevamo bisogno di sollievo e sostegno». (Hughes si era preparato all’incontro con Wieseltier leggendosi centinaia di microfiche di New Republic seduto nella mitica biblioteca pubblica di New York).

In realtà Hughes non era uno di Facebook, piuttosto era uno di Obama: “il mio Internet man”, come l’aveva definito nel 2008 l’allora candidato democratico dopo i successi alla primarie. Per Obama Hughes aveva lasciato Facebook (con una fortuna stimata da Forbes in 600 milioni di dollari); per Obama si era trasferito in un cubicolo come nemmeno ad Harvard; per Obama si era messo a studiare persino i codici per capire a fondo il suo prodotto, il suo gioiello, uno dei segreti dello straordinario successo elettorale del 2008: My.BarackObama.com, meglio noto come MyBo, il social network, la comunità del presidente degli Stati Uniti d’America. Se si pensa che allora lo stratega di Hillary Clinton Mark Penn disse con disprezzo che i sostenitori di Obama «look like Facebook», è facile capire quanto poco capì di quelle primarie Hillary, e quanto invece contribuì Hughes.

Obama tiene uniti Hughes e Eldridge, anche se come collante il presidente non funziona più da nessuna parte. Le crepe che attraversano l’Amministrazione americana toccano anche la coppia d’oro, con quell’Obamacare che è politicamente inspendibile per i democratici stessi e con quella frase che Eldridge s’è lasciato scappare su quanto gli piacerebbe che Hillary diventasse presidente. Ma i due sono figli della speranza che Obama ha dato – con le sue consuete contraddizioni – alle nozze omosessuali, e New York è diventato il terreno per la prova di forza di Eldridge. Quando nel 2009 il Senato della città bloccò una legge a favore dei matrimoni gay, il giorno seguente Eldridge decise di lasciare la Law School della Columbia per diventare un attivista della causa. «Possiamo dare tanti soldi, ma vogliamo anche impegnarci in prima persona in quel che crediamo», ha detto. Nel 2010 è diventato il direttore della comunicazione di Freedom to Marry, una delle associazioni a sostegno delle nozze gay più influenti a livello nazionale. La coppia ha sostenuto il governatore Cuomo e la sua battaglia per i matrimoni omosex con decine di migliaia di dollari, ma secondo una ricostruzione di Andy Kroll, giornalista del magazineMother Jones che ripete sempre di aver avuto la fortuna di sedersi e parlare con Eldridge, il contributo di Freedom to Marry è stato essenziale per vincere la battaglia ad Albany. Una volta ottenuto l’obiettivo – e dopo una festa di matrimonio con 400 invitati al Cipriani di Wall Street – Eldridge ha capito che con il suo potere poteva conquistare molti altri trofei, e ha fondato Protect Our Democracy, un Pac no profit concentrato sulla riforma del sistema di finanziamento della politica. Ha assunto un ex protegé del temibile Karl Rove, architetto delle vittorie elettorali del repubblicano George W. Bush, e ha messo insieme le consulenze di un economista come Jeffrey Sachs, dell’ex capo della Sec William Donaldson (che fu nominato proprio da Bush) e dell’ex sindaco di New York Ed Koch. Con questo “team of rivals” è riuscito a convincere – spendendo centinaia di migliaia di euro – anche il governatore Cuomo a farsi padrino della campagna per introdurre fondi pubblici nei finanziamenti della politica nello stato di New York.

Sean Eldridge è nato a Montreal, in Canada, nel 1986, ma è cresciuto a Toledo, in Ohio, assieme alle sue due sorelle più grandi e ai genitori medici. Ha studiato al Deep Springs College, una scuola molto esclusiva per soli uomini nel deserto della California, dove si lavora tanto, si impara la disciplina e la concretezza dei cowboys, e si vive in modo molto spartano. Con i 26 compagni di scuola del suo anno, Eldridge ha imparato a mungere le mucche e pulire i gabinetti, ma anche e soprattutto a parlare in pubblico. Il presidente del college ricorda che era interessato in particolare a come muoversi, a come essere divertente ed efficace su un palco con davanti degli spettatori. È così che Eldridge ha imparato a farsi amare, e a farsi applaudire anche quando ripete frasi vuote come «trovare soluzioni di buon senso per aiutare le famiglie della middle class». Eldridge sta ancora cercando di capire che candidato vuole essere, incarnare la modernità non serve quasi mai, figurarsi lassù nella Hudson Valley, dove già è trattato come “il presuntuoso”, pensa di venire qui dove tutti si conoscono e rappresentarci?, hanno ripetuto molti residenti a un giornalista del New York Times che sei mesi fa ha scritto uno degli articoli più antipatizzanti pubblicati su una coppia solitamente adorata. Iniziava dicendo: «Questa è la storia di come una giovane coppia è arrivata nella Hudson Valley con una fortuna e grandi sogni politici».

Il legame con la Hudson Valley – che è meta turistica lussuosa: qui si assaggiano i colori degli alberi del New England assieme a una visita all’accademia militare di West Point o alla casa di Franklin Delano Roosevelt, e volendo tutto un mix con una lussuosa crociera sul fiume – risale al 2011. Eldridge ha fondato la Hudson River Ventures per far crescere i piccoli business della regione, far circolare un po’ di investimenti, sia nella formazione sia nella tecnologia, e così posizionarsi per quella che da sempre è una campagna elettorale annunciata. Sempre nel 2011 la coppia ha acquistato una casa a Garrison, cinque milioni di dollari, una fattoria che risale al 1800 ed era dei Vanderbilt, una casa principale da 500 metri quadri e un giardino abbastanza grande da far divertire Lucy, il cane della coppia. Ma nel gennaio del 2013 c’è stato un altro acquisto, poco più a nord geograficamente, ma politicamente un altro distretto, altri avversari, un’altra corsa. Due milioni di dollari per una casa più moderna a Shokan, che dà su un laghetto ed è già il quartier generale di Eldridge per il 19esimo distretto di New York: ci vanno spesso il filantropo milionario George Soros e Sean Parker, il ragazzino che ha inventato Napster e Spotify (e che nel film di Aaron Sorkin, The Social Network, era interpretato da un indimenticabile Justin Timberlake). Il saltellino più su non è piaciuto ai residenti, questo opportunismo politico a suon di milioni è parso subito stonato in una regione in cui i ricchi bazzicano parecchio, ma hanno imparato a conquistarsi il consenso dei vicini con ben altre carinerie. Il deputato di questo distretto è il repubblicano Chris Gibson, un veterano dell’Iraq che vive in una casa modesta a due passi da dove è cresciuto e che ha subito fatto sapere che «ci sono cose che i soldi non possono comprare». Eldridge sa che il suo punto debole è proprio la pianificazione a tavolino – l’aria da robot – e per compensazione non fa che rilasciare dichiarazioni d’amore per la Hudson Valley, «è la mia casa, dove lavoro, dove mi sono sposato» ripete, si fa vedere mentre va a fare la spesa e chiacchiera con i passanti. Nel frattempo Eldridge ha fatto in modo che arrivassero alle piccole aziende locali prestiti del valore di 800 mila dollari e ha speso di tasca sua almeno 250 mila dollari nella State University of New York a New Paltz. È così che ha preparato l’annuncio ufficiale della candidatura, arrivato alla fine del settembre scorso con quel video in cui non parla del marito (il filmato è stato gestito da un’azienda di consulenza, la SKDKnickerboker, che ha già fatto eleggere a New York Sean Patrick Maloney, il primo deputato apertamente omosessuale dello stato, nel 2012).

Hughes non ama il “buzz”, per lui conta produrre un giornale con gli articoli che la gente dovrebbe leggere, altrimenti, come ha detto al magazine New York, «se la gente non sostiene questo tipo di giornalismo, avremo cittadini sempre meno colti e così è ben più difficile che la democrazia possa prosperare».

Il partito repubblicano ha annusato l’ipocrisia e ha subito testato la coppia. Il capo della comunicazione del partito a New York, il lanciatissimo David Laska, ha detto che Sean Eldridge è «un venditore di tappeti multimilionario molto amico di Nancy Pelosi che vuole divertirsi con lei in qualche festa di Washington con una piccola spilla con scritto “membro del Congresso”». Il National Republican Congressional Committee ha alzato la posta e ha cercato di piazzare un suo spot contro Eldridge sulla homepage del sito di New Republic, il dominio di Chris Hughes. La pubblicità diceva: «Il tuo voto è in vendita? Sean Eldridge pensa di sì». Il direttore commerciale di New Republic, Ben Brennan, ha deciso di rifiutare lo spot, scrivendo ai repubblicani: «Ci riserviamo il diritto di approvare la creatività delle pubblicità che girano sul nostro sito. La vostra creatività non ha incontrato il nostro permesso. Grazie per aver preso in considerazione New Republic». Va sempre così, ribadiscono i manager del magazine, è una policy interna, ma quando è venuta fuori la faccenda – per mano di Politico, che sta iniziando una nuova avventura editoriale proprio a New York: la competizione sarà sanguinosa – ci sono stati parecchi malumori fuori e dentro l’entourage della coppia. Circola già la battuta secondo cui, se Eldridge non dovesse farcela a New York, «gli basterà comprarsi casa da un’altra parte», tanto prima o poi sarà costretto a fermarsi: è nato in Canada, non può andare alla Casa Bianca.

A 18 mesi dal suo arrivo a New Republic, Hughes ha fatto un primo bilancio pubblico, inaugurando per l’occasione un blog che si occupa di informare i lettori su quel che accade dentro l’azienda (è l’espressione di quella trasparenza che deve aver assorbito lavorando alla campagna di Obama, e che Obama non ha mai davvero avuto). In un anno e mezzo lo staff è raddoppiato, il sito e il giornale sono stati ridisegnati, è stata lanciata una nuova app ed è stato aperto un ufficio a New York. I lettori sono aumentati del 20 per cento dal 2012 e anche per il 2013 è prevista una crescita allo stesso ritmo, ma quel che più conta è che Hughes vuole migliorare l’esperienza della lettura, creando una comunità che gira attorno al suo giornale così come ha già fatto con Facebook e con Obama. Qualità è il suo mantra: è il motivo per cui, prima di cadere tra le braccia di New Republic, Hughes ha cercato di avvicinare la New York Review of Books (che non perdeva tanti soldi quanto New Republic, tra l’altro) ed è il motivo per cui il giovane editore dice di non amare il “buzz”, queste cose le lascia ad altri, per lui conta produrre un giornale con gli articoli che la gente dovrebbe leggere, altrimenti, come ha detto in una bella e famosa intervista al magazine New York, «se la gente non sostiene questo tipo di giornalismo, avremo cittadini sempre meno colti e così è ben più difficile che la democrazia possa prosperare». È con questo spirito che Hughes prepara i festeggiamenti del centenario del suo giornale, lui che a novembre ha compiuto 30 anni, che si terranno per tutto il 2014.

Nel 2002, poco prima della graduation, Hughes ha scritto una “riflessione” sul giornale degli studenti di Andover in cui spiegava che nel campus aveva imparato a mettere da parte le debolezze tipiche del liceo, «sesso, sonno e sbevazzamenti», e piuttosto aveva scelto un’etica che lo migliorasse. L’aveva definita «ascetismo per il progresso». Non l’ha mai abbandonato, questo ascetismo, anzi forse l’ha ritrovato in Eldridge, e per questo si sono piaciuti e innamorati tanto in fretta. Ecco perché sono tanto seri, perché pensano sempre alla missione ultima delle loro azioni, perché vogliono lasciare il segno, ma che sia un bel segno, di salvezza e democrazia e diritti. Ecco perché sono quanto di più moderno ci sia, Hughes ed Eldridge, con i loro sorrisi e le lentiggini e il brand obamiano del nuovo sogno, ma anche quello della Silicon Valley con la sua genialità, eppure pensano che per farsi accettare – o per ingannarci tutti meglio, chissà – debbano essere tradizionali, e molto più vecchi dei loro trent’anni.

 

Fotografie: Getty Images

Dal numero 18 di Studio