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Verona, la Russia e la destra sempre più a destra

Il Congresso mondiale delle famiglie è stato una tappa importante nella costruzione del campo ideologico della nuova destra.

di Francesco Maselli

Un'attivista con una statuetta della Madonna all'Arena di Verona, il 31 marzo 2019 (foto di Filippo Monteforte/Afp/Getty Images)

Il Congresso mondiale delle famiglie che si è svolto a Verona ha trasformato la città nel temporaneo centro di gravità della politica italiana. Merito in particolare della Lega e dei suoi tre ministri, Matteo Salvini, Lorenzo Fontana e Marco Bussetti, della leader di fratelli d’Italia Giorgia Meloni, della ministra della Famiglia ungherese Katalin Novak e dell’eurodeputato francese Nicolas Bay, braccio destro di Marine Le Pen, che hanno deciso di intervenire dal palco della manifestazione, dando alla manifestazione un colore politico netto.

Al di là degli slogan e delle opinioni sostenute dalla maggior parte dei relatori, che hanno parlato in un clima di condanna dell’aborto, delle possibili adozioni gay e dei matrimoni gay in generale, con l’aiuto di qualche esponente di Forza Nuova munito di croce celtica al collo intento a raccogliere adesioni per abrogare la legge 194, il Congresso di Verona può essere considerato una delle tante tappe che definiscono un nuovo campo conservatore. Non è un mistero: i politici intervenuti a Verona affermano esplicitamente di essere affascinati dalle democrazie illiberali, in particolare dal modello russo.

La società europea, sostengono i sovranisti, sta tradendo le proprie radici perché costruita unicamente sulla tutela dei diritti individuali, quando una civiltà dovrebbe preservare la sua tradizione garantendo il suo nucleo principale, cioè la famiglia. Possibilmente bianca e cristiana. Anche perché, ha detto Salvini dal palco, l’obiettivo di non ben specificati soggetti è sostituire i figli che gli europei non fanno più con «ventenni che arrivano sui barconi già preconfezionati. Non hanno cultura, non hanno identità, non hanno radici». Insomma, la famiglia non è stata il solo argomento in gioco a Verona, ciò che è sotteso a iniziative come questa e al suo recupero politico è la costruzione di un immaginario più ampio, un’idea diversa di società.

Si tratta di un nuovo conservatorismo? Questa definizione non piace a una delle voci della tre giorni, Filippo Savarese, direttore di Citizen Go: «Non condivido questa impostazione, non si tratta di essere conservatori o progressisti, ci rifacciamo al dettato chiarissimo della carta costituzionale italiana, l’articolo 29 della Costituzione dice che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Facciamo questo congresso perché vogliamo che i temi della famiglia tornino al centro dell’agenda politica», risponde a Studio a margine dell’evento. E infatti della copertura mediatica e della penetrazione politica è molto soddisfatto Jacopo Coghe, vicepresidente del World congress family, che si ferma a discutere con i cronisti all’ingresso del palazzo della Gran Guardia: «Siamo contenti che i ministri abbiano partecipato, sappiamo che si può fare di più ma questi primi mesi di governo ci soddisfano. Anche se non abbiamo aspettative altissime: considero questo un “governo di tregua” sui temi etici». Inutile dire cosa spera Coghe per il prossimo anno: una maggioranza tutta leghista, alleata con Fratelli d’Italia, che dia piena cittadinanza alle idee del Congresso mondiale delle famiglie.

Attivisti di Forza Nuova all’Arena di Verona il 31 marzo 2019 (Filippo Monteforte/Afp/Getty Images)

Matteo Salvini, che della sua post-ideologia e del suo pragmatismo ha fatto bandiera, non è stato accolto con troppa enfasi dalla platea (come invece Giorgia Meloni, il politico più applaudito della tre giorni). Anche perché ha capito che la posta in gioco è più ampia e, senza poter condividere appieno le ragioni del congresso veronese – «non sono qui per togliere diritti a qualcuno, i diritti acquisiti non si toccano», ha chiarito –, dell’appoggio dei partecipanti ha bisogno per nutrire il suo progetto di egemonia politica in Italia. Per l’ideologia garantiscono le persone a lui più vicine, come il ministro della Famiglia Lorenzo Fontana, l’uomo che cura i suoi rapporti con la Russia, Claudio D’Amico, e la sua possibile alleata del futuro, Giorgia Meloni. L’entourage salviniano alla “civilizzazione russa” guarda eccome.

Certo, nella Lega c’è chi non condivide i toni della manifestazione, il governatore del Veneto, Luca Zaia, ha detto dal palco del congresso che il problema “è l’omofobia, non l’omosessualità”. Ma queste prese di distanza, che possono essere ricondotte al tradizionale atteggiamento leghista da “partito del buon senso” che governa le città in modo efficiente, fanno parte della strategia. La “Lega profonda” capisce che mostrarsi aperti a questo tipo di manifestazioni o addirittura sponsorizzarle ha le sue ragioni, come ci spiega il sindaco di Verona, Federico Sboarina: «Parlare di famiglia è parlare della cellula fondamentale della nostra società, concordo con quello che ha detto il governatore Zaia, la nostra impostazione non è certo escludente. Non condivido mica tutto quello che viene detto qui, non sono un robot!».

Pasquale Annicchino ha scritto sul Foglio che a Verona era in atto uno dei capitoli della “culture war” che investe l’occidente: «L’esportazione di un modello tipicamente statunitense e conservatore-protestante di confronto sociale in cui la battaglia sociale si combatte in primis sul piano delle norme». Ciò che mette in luce Annicchino, e aiuta a comprendere come si tiene il sovranismo di Salvini, il nazionalismo ambiguo del primo ministro ungherese Viktor Orban capace di sedere nello stesso partito europeo di Angela Merkel e inviare il suo ministro della Famiglia a Verona, l’ideologia declinista di Steve Bannon e il piano di divisione dell’Europa di Vladimir Putin, è che «questo modello d’ingaggio si è imbattuto nelle profonde trasformazioni teologiche e politiche che avvenivano in Russia e nella Chiesa ortodossa russa».

Ecco perché, forse senza rendersene conto, Matteo Salvini, costruisce il campo ideologico della nuova destra: «Non sono venuto qui a cercare voti, ma per costruire una società e una comunità con i medesimi valori che diano futuro a questo paese». Verona ci dice che il progetto sovranista e nazionalista che sta nascendo in Italia e attrae tutti gli illiberali europei non è soltanto confinato a cercare di chiedere qualche punto di deficit in più o a rimandare indietro chi attraversa il Mediterraneo. Ma promuove un’idea di società ben precisa, che di fronte alla globalizzazione può salvarsi soltanto imboccando una strada: il ripiego identitario.