Attualità

V per Veltroni

I sessant'anni del più importante e multiforme politico di sinistra degli ultimi vent'anni. Chi è Walter Veltroni?

di Redazione

Oggi Walter Veltroni compie sessant’anni. Per fargli gli auguri abbiamo costruito un ritratto parziale giocando con le sue diverse identità culturali e politiche.

Veltroni come Perdente

È il 2001, Walter Veltroni è il segretario dei Ds, partito formatosi nel 1998, sotto la guida di Massimo D’Alema. La sinistra italiana non vive giornate felici da un po’ di tempo: il Governo Prodi I è caduto il 9 ottobre 1998, quello D’Alema I, iniziato lo stesso mese, si è trasformato dopo un anno in D’Alema II, ma è caduto per la seconda volta nell’aprile del 2000, dopo le elezioni regionali. Rispetto alla situazione precedente il voto, il centrosinistra perde ben quattro regioni: Liguria, Lazio, Abruzzo, Calabria. D’Alema, come detto, rassegna le dimissioni e il 25 aprile del 2000 si instaura il Governo Amato II, che porta a termine la legislatura fino al maggio 2001. Si apre, a questo punto, la campagna elettorale per le elezioni politiche del giugno 2001. La sinistra, o il centrosinistra, si presentano nel peggiore dei modi: Rifondazione Comunista esce dalla coalizione e corre da sola. La sfiducia verso il partito – che ha sì concluso la legislatura, ma alternando quattro diversi governi – è a livelli alti. Ma bisogna scegliere il candidato da opporre a Silvio Berlusconi. È in questo contesto che Corrado Guzzanti si presenta in quanto “Walter Veltroni” a L’Ottavo Nano su Rai Tre, cercando un nome, al congresso, da “mandare a suicidarsi”. Tra cui: i Fichi d’India; Batistuta («non c’ha il passaporto italiano»); il famoso Amedeo Nazzari («lo dico a tutti i compagni della mozione Nazzari: È MORTO! È MORTO! Era perfetto… è morto. Ho pensato: candidiamolo anche da morto, ma non si può»); Heidi («c’era pure Heidi. Dice che il nonno vota a destra»); fino al finale: Napo Orso Capo. Storia della tv.

Veltroni come Editore

Il primo grande passo nella carriera politica di Veltroni è la direzione dell’Unità che gli viene affidata nel 1992 (ci resterà fino al 1996). Oltre che luogo di dibattito, il giornale diventa un laboratorio di produzione di gadget culturali (libri, audiocassette, videocassette di film rari e fuori catalogo e la ristampa degli album delle figurine Panini dei calciatori). La cosa viene vista come una forma di eccessiva concessione alle regole del libero mercato dai puristi di sinistra. In realtà è una strategia che non solo farà scuola e sarà seguita da tutto il resto dell’editoria periodica italiana, ma rappresenterà anche una tappa memorabile nell’immaginario di una generazione. La furbizia strategica dell’operazione si capisce bene se si guarda il titolo del primo film in vhs distribuito con il quotidiano: Ultimo tango a Parigi. Mentre l’ultimo, uscito già quando Veltroni aveva lasciato la direzione, Molto rumore per nulla. Il 31 marzo 1996, nel giorno in cui viene proclamato un importante  scioper dei giornalisti, l’Unità spaccando il comitato di redazione esce in edicola in un’edizione di quattro pagine riempita con la sceneggiatura di Novecento per non far slittare l’uscita programmata della videocassetta con il film di Bertolucci. Premesse di renzismo? Vittorio Feltri commentò sul Corriere della Sera: «Pecunia non olet, evidentemente se ne sono accorti anche loro». Sulla stessa pagina appariva il giudizio di segno opposto di Nanni Balestrini: «Il caso dell’Unità è un sintomo esemplare della malattia: il giornale diventa appendice di un’ altra cosa. Qui però c’è un particolare in più: la scelta commerciale viene dal quotidiano storico della sinistra… Il che dimostra che la sinistra e il suo giornale non sono più qualcosa di speciale e diverso». Sembra la preistoria.

Veltroni come Buonista

Era il 18 settembre del 1995 quando Ernesto Galli della Loggia, in un suo editoriale sul Corriere della Sera coniò il termine «buonismo» proprio per descrivere l’attitudine di Walter Veltroni. Il tema dell’articolo era l’immigrazione – si discuteva animatamente del tema animatamente in quel periodo: la Legge Dini, che inasprì i rimpatri forzati per i clandestini, fu approvata due mesi dopo – e l’editorialista si scagliava contro chi, come Veltroni, si diceva sostenitore dell’accoglienza. Nell’ottobre del 1995 l’Espresso pubblicò una copertina in cui criticava Veltroni, tra le altre cose, per avere «poca grinta» ed essere, per l’appunto, «buonista». Il termine “buonismo” è entrato nella Treccani nel 1998 (con la seguente definizione: «Ostentazione di buoni sentimenti, di tolleranza e benevolenza verso gli avversarî, o nei riguardi di un avversario, spec. da parte di un uomo politico; è termine di recente introduzione ma di larga diffusione nel linguaggio giornalistico, per lo più con riferimento a determinati personaggi della vita politica»).

Veltroni come Ma-anchista

«Senza i ma anche la vita finisce tutti con la maglietta dello stesso colore», ha dichiarato recentemente Walter a una trasmissione condotta da Myrta Merlino su La7. E il ma anche, vera e propria fase 2 del buonismo, si è trasformato anch’ esso in corrente di pensiero entrando come sostantivo (maanchismo) nella Treccani: «Il tener conto di qualcosa e del suo esatto contrario». Origini: Veltroni pronunciò un celebre discorso, in cui delineava la nascita del Partito democratico. Nel testo l’espressione «ma anche» compare diverse volte: «Possa essere sorretto da un patto tra generazioni che sappia ispirarsi ai valori eterni di solidarietà ed eguaglianza, ma anche modificare profondamente gli strumenti e le politiche per attuarli», «perché gli anziani esprimono tante energie non solo per le loro famiglie, ma anche per la collettività»,  «il problema non sta solo nelle regole, ma anche nella loro applicazione concreta». Celebre frase di Cossiga: «Veltroni si intende di cinema e Africa. Non costringiamolo a capire anche questa cosa. Lui è il ma anche, è per il giustizialismo e l’antigiustizialismo, per il freddo e per il caldo». Imitando Veltroni, Maurizio Crozza porta il concetto all’esasperazione: «Noi stiamo con le giovani donne che stentano a tenere insieme il lavoro e la cura dei figli, ma anche coi loro mariti che serenamente, pacatamente, vanno a puttane».

Veltroni come Africano

Lascio la politica, me ne vado in Africa: Veltroni lo aveva annunciato durante il suo secondo mandato da sindaco (2006-2008) e lo aveva nuovamente annunciato nel 2012, quando decise di non candidarsi alle elezioni legislative, per dedicarsi al sostegno del continente nero. Lo sfottò di Beppe Grillo: «Giurò allora che dopo il suo mandato si sarebbe ritirato dalla politica per andare in Africa. Non mantenne la parola e gli africani ancora ringraziano». Quando accettò di guidare il PD nel 2007 si racconta che qualche compagno di partito gli rinfacciò: «Ma come, Walter, non dovevi andare in Africa?». Leggenda vuole che anche Francesco De Gregori, pur amico di Veltroni, abbia dedicato la sua canzone “Vai in Africa, Celestino” (2005) all’ex sindaco di Roma. La frase, presente nel titolo e ripetuta più volte nel testo («Gira i tacchi e vai in Africa, Celestino!») dovrebbe essere riferita a Walter, in cui Celestino rappresenta l’omonimo Papa che abdicò al soglio pontificio nel 1294, a indicare le indecisioni e le titubanze del politico. In Africa, a dire il vero, Veltroni c’è stato: nel 2012 ha visitato Maputo, la capitale del Mozambico (Paese travagliato da una guerra civile negli anni Novanta e con cui l’Italia ha strettissimi rapporti diplomatici) dove ha contribuito a costruire un asilo nido.

Veltroni come Anticomunista

Nel 2000 Stampa alternativa pubblicò un volume a metà tra la satira e la biografia non autorizzata intitolato Dossier sul più abile agente della Cia.  Dopo il dossier Mitrokhin, si faceva riferimento a un fantomatico dossier Kuriakhin, che rivelava che Walter Veltroni fin da ragazzo fosse stato reclutato dalla Cia per infiltrarsi nel PCI e conquistarne la leadership. In quegli anni la discussione seria sull’eredità del comunismo era molto sentita. Con un famoso articolo pubblicato sulla Stampa del 15 ottobre 1999, Gianni Riotta chiese ai dirigenti post-comunisti «riconoscere che la rivoluzione russa non fu un successo tradito, ma lo stravolgimento di tanti nobili ideali». Veltroni  disse che lo aveva già fatto presentando la mozione per il Congresso Ds del 2000 (ospiti Sting e Moni Ovadia, parola d’ordine I care), che lo avrebbe riconfermato segretario, in cui dichiarava apertamente di non essere mai stato comunista, sostenendo di essersi iscritto al Pci solo a causa dell’ammirazione provata per Berlinguer, nonostante la sua precocissima militanza nella Fgci.

GIANNI CUPERLOVeltroni, Occhetto, Cuperlo (o Civati?)

Veltroni come Prefatore

Nel 2008 Christian Raimo sul Primo amore proponeva il gustoso quiz Cos’hanno in comunque questi libri? 

Claudia Hassan, Ripartiamo dal network, Reset 2000.

Francesco Sirleto, Quadraro. Una storia esemplare, Fondazione Giuseppe Di Vittorio 2006.

Ettore Siniscalchi, Zapatero. Un socialista gentile, Manifesto Libri 2007.

Fabio Poggiali, Missione 993 rispondete, Gaffi 2003.

Candidò Cannavò, E li chiamano disabili, Rizzoli 2006.

Niccolò Rinaldi, Invenzione dell’Africa. Un viaggio, un dizionario, La Meridiana 2005.

Marco Girardo, Sopravvisuti e dimenticati, Edizioni Paoline 2006.

Leonora Sartori e Andrea Vivaldo, Ustica, scenari di guerra, Beccogiallo 2007.

Volfango De Biasi e Francesco Trento, Matti per il calcio, libro + dvd, Valter Casini 2006

Oscar Bartoli, E anche questa è America, ILG 2007.

Giorgio Gaber, Storie del signor G, Fandango 2006.

Nadia Ciani, Da Mazzini al Campidoglio. Vita di Ernesto Nathan, Ediesse 2007

Cecilia Gentile, Buongiorno Senegal: in bicicletta da Dakar a Podor, Ediciclo 2007.

Erika Silvestri, Il commerciante di bottoni, memoria e speranza: l’amicizia tra un sopravvissuto ad Auschwitz e una ragazza, Fabbri editore 2007.

Alessandro Levi, Ricordi dei tempi e della vita di Ernesto Nathan, Fazi 2004.

Gianguido Palombo, Amparo dove vai? Storie romane di badanti e badati, Ediesse 2004.

Antjie Krog, Terra del mio sangue, Nutrimenti 2006.

Robert Reich, Perché i liberal vinceranno ancora, Fazi 2004.

Livio Zerbini, L’ultima conquista, Editori Riuniti, 2006.

AA.VV, Il futuro delle radici, Fefè editore 2007.

Neria Di Giovanni (ed.), Maria Carta a Roma, Nemapress 2007.

Giorgio La Pira, Il segreto di Isaia, Edizione Paoline 2004.

Cecilia Moreschi e Alessandra Sartori, Se ci fosse stata la pace, Edizione Corsare 2006.

Pietro Salvagli (ed.), Roma capitale del XXI secolo, Palombi 2007.

Pasquale Gallicchio, Passaggio Democratico, Delta3 2007.

Pino Toscano, Il mare rubato, Città del sole 2007.

Patricio Estay, Tibet. Land of exil, Skirà 2007.

Saverio Pezzotta e Diletta Grello, L’orso e l’agnello. Storia di un sindacalista, San Paolo 2006.

AA.VV, I bambini di Phi-Phi Island, Gorée 2006

Carlo Molfese e Gennaro Colangelo, Un teatro a Roma. L’avventura del teatro tenda di Paizza Mancini, Gangemi 2007.

Paolo Mirti, La Società delle mandorle. Come Assisi salvò i suoi ebrei, La Giuntina 2007.

Stefano Mastrosimone, Donne dell’altro mondo. Dodici donne celebri si raccontano al soprannaturale, Il punto di incontro 2007.

Fausto Giovanelli, Ilaria Di Bella, Roberto Coizet (ed.), Ambiente condiviso. Politiche e bilanci territoriali, Edizione Ambiente 2005.

Alessandro Fusacchia, Fabio Oliva, Davide Rubini, Linfa Nuova. Aprire la politica ai giovani professionisti, Quaderni del Laboratorio Democratico Europeo, 2007.

Isabella Marinaro, Il dialogo della speranza. La speranza del dialogo, Nuovi tempi 2004.

Silvia Cecchini, Necessario e superfluo. Il ruolo delle arti nella Roma di Ernesto Nathan, Palombi, Roma 2006.

AA.VV., Roberto Benigni di Luigi fu Remigio, Leonardo Arte 1997

Donatella Trotta, Napoli. L’amore degli amori, Intra Moenia 2005.

Alberto Benzoni e Roberto Gritti, La terra di nessuno. Alla ricerca della repubblica perduta, Edizioni Lavoro 1995.

Silvia Boschero, Gilberto Gil. L’immaginazione al potere, Arcana 2004.

Renato Sorace, effe emme. Gli anni delle radio libere, Memori 2005.

Claudia Catalli, Metamorfosi, Il Filo 2007.

Shlomo Venezia, Sonderkommando Auschwitz, Rizzoli 2007.

Barack Obama, L’audacia della speranza, Rizzoli 2007.

Cecilia Brighi, Il pavone e i generali, Baldini Castoldi Dalai 2006

AA.VV., AmoRomaPerché, Electa 2005.

Cesare Mangianti, Passeggiate romane, MMC 2006.

Fausto Giustinelli, Letteratura e pregiudizio, Diversità e identità nella cultura greca, Rubbettino 2007.

Jerzy Kosinski, Oltre il giardino, Feltrinelli 2000.

Fabio Severino, Roma e i piaceri dell’ozio, MCC 2005.

Giovanni Salvi, Il terrazzo di Maria (quasi un diario), FM edizioni 2003.

Francesco Totti, Mo’ je faccio er cucchiaio, Mondadori 2006.

Riccardo Liguori e Massimo Vincenzio, Autogol. Il campionato ha fatto crac, Avverbi 2002.

Luciano Lama, Cari Compagni, Ediesse 1996

Irma Tobias Perez, Manila-Rome, Sinnos 2006

AA.VV., Il futuro che vogliamo, Zelig 1996.

Alfredo Angeli, Rosso Malpelo schizza veleno, Fazi 2005.

AA.VV., L’impegno della città di Roma per lo sviluppo e la pace, Cespi 2004.

AA.VV., La lotta per la liberazione di Roma, Anicia 2006.

Vittorio Martinella e Umberto Ruzzi, Chi vuol salvare il mondo?, Editori Riuniti 2006.

Federico Bonadonna, Il nome del barbone: vite di strada e povertà estreme in Italia, DeriveApprodi, 2005.

AA.VV., A flash of art. Fotografi d’azione a Roma 1953-1973, Photology 2003.

Stefano Disegni e Massimo Caviglia, Occhio per occhio, Feltrinelli 1995.

Bartolhömeus Grill, Africa, Fandango 2005.

Maurizio Chierici (ed.), Favelas e grattacieli, Nuova Iniziativa Editoriale, Roma 2005.

AA.VV., Spaghetti & Stars, Damiani 2004.

La risposta giusta era: hanno tutti una prefazione di Veltroni. (E nel frattempo sono aumentati).

 

Veltroni come tifoso

Nel 2007 il Corriere della Sera riporta un aneddoto di Lucio Dalla, risalente ai tempi del tour “Banana Republic”, al fianco di Francesco De Gregori. Fa così: «Diceva di avere due sogni: diventare allenatore della Juve o direttore di Tv Sorrisi & Canzoni». Il soggetto della frase è Walter Veltroni, nato romano ma da sempre tifoso juventino. Eppure, cosa non comune per un bianconero, con una grande simpatia per il capitano dell’AS Roma, Francesco Totti. L’affetto romanista dell’ex segretario non è segreto, ma una particolare amicizia per “l’ottavo re di Roma” è cosa nota. Nel 2009, ad esempio, in un’intervista alla Gazzetta, dice: «Sono juventista. Io amo la Juve, mia squadra per sempre, e ho simpatia per la Roma e amicizia per Totti». Anni prima, in occasione dell’uscita di Tutte le barzellette su Totti, dichiarò: «Francesco è una persona vera, carica di umanità. Questo libro lo ha voluto e promosso con il sorriso sulle labbra e con la generosità di chi sa di essere un campione, ma non dimentica di essere un uomo». Il 24 febbraio 2008, in piena campagna elettorale per le elezioni politiche dell’aprile 2008, brutalmente perse contro il Popolo delle Libertà, al teatro Capranica, il leader del neonato Pd riceve l’endorsement di Totti, anche se soltanto con un videomessaggio via megaschermo: «Caro Walter, grazie per l’amicizia che hai dato a me, che hai dato a Roma e ai romani. In bocca al lupo». Berlusconi, dopo poco, risponde: «Totti è un grande campione, gli ho sempre voluto bene(…). I campioni dello sport non si devono schierare politicamente, devono puntare ad avere la simpatia di tutti. Se chiedessi ai giocatori del Milan di schierarsi molti lo farebbero volentieri. Anzi molti mi hanno chiesto di farlo ma io l’ho proibito. Totti è un bravissimo ragazzo, credo sia stato strumentalizzato su un fatto su cui doveva stare più attento». Il capitano della Roma, con qualche anno di ritardo, si è fatto perdonare dal presidente onorario del Milan: nel corso dell’ultimo campionato (dicembre 2014) ha regalato a Berlusconi una maglia autografata. Un po’ democristiano, più che veltroniano. O forse. (Post scriptum: tra le innumerevoli opere che Veltroni ha lasciato spunta anche un monologo dedicato alla notte dell’Heysel di Juventus-Liverpool, Quando cade l’acrobata, entrano i clown (Einaudi), la frase di Michel Platini con cui spiegò la decisione di giocare la partita anche dopo il crollo del muro e i morti. Un uomo, dopo dieci anni di matrimonio, racconta alla moglie l’unica cosa che ancora non le aveva confessato: che quella notte era all’Heysel, a vedere la partita. Attraverso il racconto, soltanto in prima persona (lei dorme), cerca un’espiazione. Ne scrivono come uno dei suoi testi più felici)