Cultura | Social

Tumblr, ritorno all’Eden dell’Internet

Abbandonato per anni, il social sta vivendo il suo rinascimento, complice la crisi di tutte le altre piattaforme e l'inaspettato entusiasmo della Generazione Z.

di Teresa Bellemo

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Quando abbiamo iniziato ad avere tutti un computer e una connessione semi decente, Internet era un luogo sconosciuto e magico. Per la prima volta potevi sapere le cose senza aprire un’enciclopedia, vedere posti senza esserci stato, avere amici anche senza averli mai visti di persona, comprare cose senza entrare in un negozio fisico. Bastava un modem e tutto questo era all’improvviso disponibile. Me lo ricordo il mio primo acquisto online. Era un’asta su Ebay e quando me la sono aggiudicata avevo quella adrenalina da magia rivelata per cui ogni giorno che mi separava dalla ricezione del pacco era una prigione di ansia e trepidazione. I social che nascevano, intanto, erano una sorta di comunità di persone stranamente felici di condividere fatti e informazioni e cose intime come se la vita reale non li tangesse. Msn, MySpace, FriendFeed erano piccoli microcosmi di amici virtuali a cui potevi copiare le T-shirt. E poi ti capivano, ascoltavano la musica che ascoltavi tu. Persino Tom, il mitico e fantomatico fondatore di MySpace, ti dava la sensazione di volere davvero essere un tuo fedele sodale. Quando è nato, Twitter aveva lo stesso sapore di confraternita che ogni tanto usciva addirittura dal virtuale grazie all’organizzazione di serate per i “Twitteri” che si seguivano e consigliavano altrettanti account valevoli del follow grazie al #followfriday, momento pacifico ormai dimenticato e sepolto ora da troll, hate speech, bot e milionari che decidono le feature del social tramite sondaggio.

Quando Tumblr è nato era l’apogeo di questo fantomatico Eden dei social (era il 2007), che ci piace ricordare come una pianura lussureggiante dove il sole splendeva ogni giorno e l’umanità non era ancora divisa in faide e fazioni dal desiderio di influenzare sconosciuti potenziali clienti di qualche brand. Quasi chiunque abbia più di trent’anni e abbia bazzicato il web sopra descritto aveva (almeno) un account su Tumblr. Un account che non rispecchiava quasi mai la propria vera identità, ma che ne riassumeva l’anima, spesso un po’ tormentata, un po’ incompresa, un po’ che la vita reale non riusciva a riassumere e a comprendere del tutto. Ogni account era un vero e proprio mini-sito, in grandissima parte customizzabile, una sorta di blog più facile e meno arzigogolato, senza date, senza bisogno di conoscere i tecnicismi del web design. A questo deve il suo nome, infatti: i “tumbleloggers” erano un manipolo di circa 30 mila “hacker” che nel 2007 avevano forzato WordPress per eliminare tutti i metadati. I fondatori di Tumblr – David Kant e Marco Ament – hanno voluto creare una piattaforma più facile e immediata dei blog, appunto, dove lo sharing e il posting fossero più immediati e meno macchinosi. Insomma, quella cosa di essere comunità e di fare le cose semplici come ci piaceva fare nell’Eden dell’Internet. Anche se è arrivato dopo Facebook e Twitter, nei primi anni Tumblr è stato quello che teen e ventenni volevano: un luogo dove riversare i proprio umori, renderli più facilmente intellegibili utilizzando immagini, gif, screenshot di film, serie tv. Scrivendo poche righe un po’ criptiche che diventavano post da rebloggare perché intercettavano lo stesso stato d’animo di qualcuno il cui Ip era a migliaia di chilometri di distanza. Una piattaforma molto creativa, in realtà, che ispirava milioni di utenti tanto da renderla in breve tempo uno dei dieci siti più frequentati di Internet. Un sito che ha condizionato e formato l’ideale estetico di una generazione – come scrive nel suo saggio Everything I Need I Get From You: How Fangirls Created the Internet as We Know It la redattrice dell’Atlantic Kaitlyn Tiffany, dove riporta l’opinione di Alexander Cho, professore dell’Università di Santa Barbara che ha esplorato le ragioni per cui i giovani queer di colore gravitavano verso Tumblr e di come è stato utilizzato «per coltivare una politica esplicitamente anti-eteronormativa e anti-suprematista bianca». Insomma, una piattaforma nuova, dove anche le minoranze, gli stati d’animo di un singolo potevano avere diritto di cittadinanza e diventare in taluni casi massa critica molto più facilmente che un’uscita tra amici in una birreria in una qualche provincia di uno qualsiasi dei cinque continenti.

Presto come sappiamo bene i social e Internet hanno smesso di essere tutto questo, lasciando mano mano il posto a visibilità, personal branding, costruzione di una web reputation e di un’immagine il più possibile simile alla versione migliore (o completamente fittizia) di noi. I nick pazzerelli di Tumblr sono stati soppiantati da account con nome e cognome bene in vista, le gif sono definitivamente andate in pensione in favore di Reel, le card coi pensierini relegate a qualche account motivazionale (che comunque continua a incassare migliaia di like), le scene di film della Nouvelle Vague soppiantati da trend su TikTok. Per anni Tumblr era rimasto un avamposto dei nostri profili ormai abbandonati, tenuto in vita però da centinaia di migliaia di contenuti pedopornografici (si stima che nel 2017 siano stati il 22 per centoi del traffico), tanto che nel 2018 l’app è stata rimossa dall’App Store di Apple fino a quando l’azienda non ha risolto il problema. Insomma, dopo l’Eden, una Sodoma e Gomorra senza possibilità di redenzione.

Ma siccome torna tutto, torna anche Tumblr. E proprio quei social che ora ne hanno preso il posto, sono il mezzo attraverso il quale si diffonde la sua estetica. Su TikTok infatti da un anno circa sono sempre più numerosi i video nostalgici sull’abbigliamento firmato American Apparel (il fatto che sia fallita ce lo dimentichiamo per un attimo), i tatuaggi dei baffetti all’interno del dito indice, il kajal bistrato. Quasi sempre sono video prodotti da ragazzi giovanissimi, che non hanno mai postato Anna Karina sul loro inesistenti account Tumblr, ma che ovviamente nell’infinita disponibilità, nell’impossibile obsolescenza dell’Internet e nella turbovelocità degli effimeri trend, sono riusciti ad affezionarsi anche alle mise di Zooey Deschanel di New Girl. E come biasimarli, diremo noi, che un paio di occhiali da vista con la montatura grossa l’abbiamo sfoggiato e avremmo sempre voluto essere le reginette di Tumblr.

In un’intervista dello scorso febbraio sul New Yorker l’allora Ceo di Tumblr Jeff D’Onofrio (ora sostituito da Matt Mullenweg, Ceo di Automattic, proprietaria di WordPress.com e dal 2019 anche di Tumblr, rilevata da Verizon per 3 milioni di dollari. Verizon l’aveva acquistata da Yahoo nel 2017 per 4,5; Yahoo dai fondatori per più di 10) raccontava che il 48 per cento degli utenti e il 61 di quelli nuovi fanno parte della Gen Z. «Noi non diciamo alle persone come si devono comportare – affermava D’Onofrio – Non gli diciamo cosa fare o cosa essere sulla nostra piattaforma. Gli altri social hanno un tipo di contenuto privilegiato, Tumblr è più aperto». Forse cercano questo, i giovani della Gen Z che scappano da Facebook e Instagram e che, con i loro comportamenti online, sembrano iniziare a mostrare la fine dell’ascesa inarrestabile del mondo social. Forse cercano un linguaggio più vario, un mondo meno regolamentato, dove ci si espone e si vive meno con ansia l’invidia per le vite degli altri. Complice la pandemia, dove essere qualcuno e vantare una vita meravigliosa era oggettivamente più complesso, dove tutti hanno dovuto rallentare, qualcuno (non tutti, visti i numeri che ogni mese registra il velocissimo TikTok) ha scelto di entrare o rientrare in un social più lento, dove non ci sono date, selfie, invidia sociale, ma anzi il “copiare” è un attestato di stima. Un mondo ovattato dove essere più sé stessi o fingere di essere qualcun altro senza mostrarsi, estetizzando la propria tristezza, mitizzando la propria unicità o tornando banalmente a trovare salvifico il condividere un nuovo screenshot di Fino all’ultimo respiro. O addirittura dove combattere il capitalismo, come sembra quasi dire il Ceo Matt Mullenweg in un’intervista su The Verge: «Volevo vedere se potevamo creare un social media mainstream che non facesse affidamento sul capitalismo della sorveglianza o sulla pubblicità come principale modello di business. Su Tumblr pubblichiamo annunci pubblicitari, ma abbiamo anche abbonamenti che li disattivano del tutto». Insomma l’obiettivo del nuovo Tumblr è nientepopodimeno che il ritorno all’Eden dell’Internet. Certo, il fatto che si sia decretata la morte delle gif non depone a favore di questo nuovo rinascimento, ma poco male. Nel bel mezzo del quiet quitting, di un’apparente riduzione dell’esserci ad ogni costo, questo nuovo ritorno a un’estetica meno individualizzante ma più larga, più inclusiva e meno #followforfollow forse potrebbe essere un’occasione per essere anche online diversi da come siamo stati finora. Mi piace immaginarlo possibile, ma forse è solo perché siamo ancora freschi dai buoni propositi di inizio anno.