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19:40 giovedì 6 novembre 2025
Si è scoperto che uno degli arrestati per il furto al Louvre è un microinfluencer specializzato in acrobazie sulla moto e consigli per mettere su muscoli Abdoulaye N, nome d'arte Doudou Cross Bitume, aveva un bel po' di follower, diversi precedenti penali e in curriculum anche un lavoro nella sicurezza del Centre Pompidou.
La Presidente del Messico Claudia Sheinbaum è stata molestata da un uomo in piazza, in pieno giorno e durante un evento pubblico Mentre parlava con delle cittadine a Città del Messico, Sheinbaum è stata aggredita da un uomo che ha provato a baciarla e le ha palpato il seno.
Una foto di Hideo Kojima e Zerocalcare al Lucca Comics ha scatenato una polemica internazionale tra Italia, Turchia e Giappone L'immagine, pubblicata e poi cancellata dai social di Kojima, ha fatto arrabbiare prima gli utenti turchi, poi quelli italiani, per motivi abbastanza assurdi.
Nella vittoria di Mamdani un ruolo importante lo hanno avuto anche i font e i colori della sua campagna elettorale Dal giallo taxi alle locandine alla Bollywood, il neo sindaco di New York ha fatto un uso del design diverso da quello che se ne fa di solito in politica.
Il nuovo album di Rosalía non è ancora uscito ma le recensioni dicono che è già un classico Anticipato dal singolo e dal video di "Berghain", Lux uscirà il 7 novembre. Per la critica è il disco che trasforma Rosalia da popstar in artista d’avanguardia.
La nuova serie di Ryan Murphy con Kim Kardashian che fa l’avvocata è stata demolita da tutta la critica All’s Fair centra lo 0 per cento su Rotten Tomatoes, in tutte le recensioni si usano parole come terribile e catastrofe.
Un giornalista italiano è stato licenziato per una domanda su Israele fatta alla Commissione europea Gabriele Nunziati ha chiesto se Israele dovesse pagare la ricostruzione di Gaza come la Russia quella dell'Ucraina. L'agenzia Nova lo ha licenziato.
Lo Studio Ghibli ha intimato a OpenAI di smetterla di usare l’intelligenza artificiale per creare brutte copie dei suoi film Assieme ad altre aziende dell'intrattenimento giapponese, lo Studio ha inviato una lettera a OpenAI in cui accusa quest'ultima di violare il diritto d'autore.

Il sogno americano di Tommy Hilfiger

Ha segnato la storia del costume americano e occidentale, ora esce un suo libro di memorie: come si è trasformato il marchio nel corso del tempo.

23 Novembre 2016

Faccio parte di quella generazione che, soprattutto a cavallo dei primi anni Zero, ha considerato per lungo tempo Tommy Hilfiger un designer di cui fare sfoggio, uno di quei marchi attraverso cui affermare al mondo (leggi, il liceo) il proprio, reale o agognato, status sociale, naturalmente senza cogliere proprio del tutto l’estetica “preppy” e “East-Coast”, che noi italiani abbiamo poi tradotto sommariamente in “fighettismo”. I maglioncini di Tommy e il suo profumo, Tommy Girl, hanno finito per essere l’apoteosi dello stile personale per molte confuse preadolescenti di quel periodo. In fondo, lo indossavano all’epoca tutti quelli considerati giusti, da Britney Spears (pre debacle 2007) a Lenny Kravitz, e a guardare la stessa fascia di consumatori di oggi, pare che le cose poi non siano così cambiate. La testimonial di Tommy nel mondo è ora Gigi Hadid, che impersona bene nell’immaginario collettivo l’idea dell’all-american girl che una volta era Britney, anche se poi Gigi americana, in realtà, lo è molto poco.

Il suo è il volto perfetto per il marchio fondato nel 1985 dal designer che ha fallito l’esame del secondo anno di college ma che quando era al liceo, nel 1969, aveva già aperto una boutique a Elmira, la sua città d’origine nello stato di New York. Il negozio si chiamava People’s Place ed era pieno di tutti quegli abiti che in provincia non si trovavano, quelli indossati dalle rockstar come Mick Jagger.

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Campagne pubblicitarie memorabili avevano come protagonisti David Bowie (nel 2003, insieme a Iman) e Beyoncé (testimonial del profumo True Star, che mi sorprende oggi non aver mai comprato), a dimostrazione di come Tommy abbia sempre saputo nutrirsi di cultura pop e trarne ispirazione per riformulare continuamente la propria immagine. Ma non si trattava solo dei famosi: anche i modelli e le modelle scelti per le pubblicità di Tommy sembravano sempre felici esponenti di un club di cui sarebbe stato bello far parte. Non è un caso, allora, che la modella figlia dei social media fosse lo step successivo, quello più adatto a raccontare Tommy oggi: lo si è scritto quando si è cercato di tirare le somme dei primi esperimenti di see now, buy now, ovvero delle collezioni immediatamente disponibili all’acquisto che hanno debuttato lo scorso settembre. TommyXGigi è stato il caso eclatante: +220% delle vendite online, +60% di vendite nei negozi e traffico del sito a +420% rispetto alla stessa data dell’anno precedente, insomma quello che possiamo definire un successo.

Sempre nell’anno di debutto 1985, un enorme cartellone a Times Square definiva Tommy Hilfiger come la “next big thing in American fashion”, mettendolo al fianco di giganti come Calvin Klein o Ralph Lauren. E gli elementi della favola americana, in effetti, c’erano tutti, come racconta lui stesso nella sua autobiografia di recente uscita, American Dreamer: My Life in Fashion & Business (Ballantine), scritto a quattro mani con Peter Knobler. «Dopo essermi trasferito a New York e aver fondato il mio brand, ho realizzato quanto fosse difficile iniziare tutto dal nulla. Ho imparato a fare tutto da solo», ha dichiarato lo stilista in una concisa intervista a Forbes «Quell’esperienza mi ha fatto conoscere dei partner d’affari che mi hanno aiutato a costruire il marchio e tutto quello che significa oggi. Trent’anni dopo, mi sembra incredibile constatare quanto lontano siamo riusciti ad arrivare».

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Oggi Hilfiger designer è spesso protagoniste delle cronache di moda, sia in occasioni delle sfilate-evento di cui ha saputo sfruttare bene le potenzialità mediatiche, sia quando si tratta di qualche dichiarazione più o meno politically correct. Non troppo tempo fa, ad esempio, in molti avevano scritto che il designer avrebbe mandato in passerella la stessa Gigi con addosso un poncho perché non abbastanza magra per sfilare, storia poi smentita da entrambe le parti con tanto di post Instagram e immancabile dichiarazione di “body positivity”. «I social media sono una piattaforma fantastica per condividere lo spirito inclusivo e la filosofia democratica del nostro brand», chiosa infatti Hilfiger, sempre a Forbes. L’ultima, invece, è la decisa presa di posizione pro Melania Trump, rilasciata niente meno che a WWD, proprio in un momento in cui più di un commentatore iniziava a chiedersi se il rifiuto del mondo della moda di vestire la nuova First Lady si sarebbe riconfermato tale anche quando la scottatura delle ultime elezioni sarà meno dolorosa (ovvero, la prossima stagione di sfilate). Come a dire, il sogno americano è anche questo.

In testata: la campagna Tommy Jeans 1999, (foto di Peter Armell); all’interno: la cover del libro e un ritratto del designer scattato da Trevor Collens (AFP/Getty Images).
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